Il caso “Rocky II”: una grande tragicommedia italo-americana

Fino a non molto tempo fa, la mia conoscenza del canone cinematografico soffriva di una lacuna abbastanza grave. Non avevo mai visto quella che è forse la serie più importante di tutta la storia del cinema italo-americano. No, non sto parlando de Il Padrino. Che vi viene in testa? Tutti hanno visto Il Padrino. Sto ovviamente parlando della saga di Rocky. Proprio io, italoamericana e abitante di Philadelphia, non avevo mai avuto modo di dare un’occhiata alle vicende del pugile per eccellenza interpretato dal buon vecchio Sly. Per fortuna ho deciso di rimediare. Da qualche giorno a questa parte, sto guardando tutti i film di Rocky in sequenza insieme a un gruppo di amici. L’ultimo che mi è appena capitato di vedere è il secondo capitolo della saga, Rocky II per l’appunto. Ed è proprio di questo classico del cinema italo-americano che vorrei parlarvi oggi.

Ora, non so proprio cosa avete pensato la prima volta in cui avete letto il titolo di questo film. Va bene Rocky, che è anche un bel film. Ma che bisogno c’era di girare Rocky II? Diciamocela tutta: Rocky II non è proprio questo gran capolavoro. Ma, se devo essere franca, a me questo film è piaciuto anche per questo. Rocky è stato forse il più grande melodramma cinematografico del suo tempo. Come tale, ha ispirato, direttamente o indirettamente, quasi ogni film hollywoodiano a tema sportivo degli ultimi quarant’anni. Sì ok, ma Rocky II? Beh, tenetevi pronti perchè la mia missione per oggi è quella di convincervi che Rocky II è non solo a tutti gli effetti una grandissima commedia (anche se forse non sempre in modo voluto) alla quale gli autori hanno voluto aggiungere anche un pizzico di tragedia, ma è anche un film che dice qualcosa di molto pertinente sulla nostra epoca attuale.

La trama di Rocky II è, essenzialmente, quasi la stessa di quella del primo Rocky. Non mi faccio tanti problemi a dirvelo perché il film è uscito nel 1979 e quindi nessuno può lamentarsi degli spoilers senza fare la figura del cretino. Il film ci mostra il buon Rocky che si allena come un matto per un nuovo grande incontro di pugilato contro il campione Apollo Creed. Ma questa volta il pugile italo-americano non è solo, ed anzi fa proseliti. Nella scena in cui Rocky fa la sua famosa corsa attraverso Philadelphia, per esempio, il pugile è circondato da un gruppo di ragazzini in crescente aumento. Evidentemente siamo ancora nel 1979. E quindi le loro mamme ancora non lo sanno che a fare i pugili da piccoli si finisce a farsi fare gli elettroencefalogrammi dal mattino alla sera da grandi. Come dimostrato da alcuni abitanti di Philadelphia che hanno elaborato una mappa precisa del percorso concretamente effettuato da Rocky durante la sua famosa corsa, però, l’itinerario stabilito dal pugile non ha senso alcuno, nè dal punto di vista della geografia nè da quello del fitness. Infatti, questa celebre corsa sarebbe stata lunga circa cinquanta chilometri.

Nel frattempo, fra una corsa da far impallidere i peggio maratoneti di Mentana e l’altra, il nostro protagonista si sposa e diventa pure padre. E’ tutto molto romantico: Rocky continua a dire cose sceme, Adriana continua a trovarle molto carine, il cognato Paulie continua a fare lo stronzo, ed io continuo a non capire perché Rocky e Adriana non lo mandino semplicemente a quel paese (per non dire di peggio). Ma passiamo ora all’analisi degli aspetti di tragi-commedia propri di questa importante pellicola.

Iniziamo parlando degli aseptti comici del film. Apollo Creed è ossessionato dalle lettere dei fan, i quali lo provocano a sfidare nuovamente Rocky Balboa per una rivincita. Perché questo mi fa ridere così tanto? Perché mi sto immaginando Apollo Creed oggi alle prese con Twitter. Me lo immagino che si collega cinque volte al giorno ad internet con il telefonino per cercare su Google le parole “Apollo Creed”, e poi di nuovo “Ap*llo Cr**d” per non perdere i subtweets. Me lo immagino che ogni paio di settimane pensa di cancellare l’account. Ma poi lascia perdere, perchè proprio non ci riesce. Lo immagino creare almeno altri cinque o sei fake accounts su Facebook tipo Simone Pillon, per smentire e rispondere da solo a chi lo insulta online. Me lo immagino così perché conosco questo tipo di persone. E se anche tu ti stai riconoscendo in questa descrizione, non posso che darti lo stesso identico consiglio che il personaggio di Duke offre ad proprio ad Apollo a proposito di Rocky: “We don’t need that kind of man in our life” (“Non abbiamo bisogno di quel tipo di persona nella nostra vita”).

E poi c’è la scena della proposta di matrimonio fatta da Rocky ad Adriana: obiettivamente terribile, ma allo stesso tempo geniale. “Mi chiedevo se non ti dispiacerebbe molto sposarmi?” chiede il nostro eroe alla sua morosa. Mi spiego meglio: mi sto forse sbagliando o questa scena sta intenzionalmente trollando ogni commedia romantica americana mai girata nella storia del cinema? Fra l’altro, non si capisce come mai Rocky ed Adriana alla fine decidano di sposarsi tramite una cerimonia in Italiano, visto che chiaramente nessuno dei due né parla né capisce una parola di questa lingua in tutto il resto non solo del film, ma dell’intera saga.

Passiamo ora agli aspetti tragici di questo manifesto di arte cinematografica italo-americana. Stallone avrebbe potuto scrivere un film in cui Rocky accetta la sfida di Creed perché ha una voglia pazzesca di tornare al ring, perché il suo sport gli manca da morire e, nonostante le sue tante ferite, non vede l’ora di tornare in campo a combattere. Ma il buon Sly questo film non l’ha scritto così. Per metà del film, Rocky cerca disperatamente di evitare il suo ritorno al pugilato, al quale si trova alla fine costretto per disperazione economica.

Quando lo Stallone Italiano non riesce a proprio più mantenere la sua nuova famiglia nemmeno svolgendo i lavori più duri ed umilianti, non può che accettare di mettere a rischio la propria salute facendosi malmenare da Apollo per 45 minuti a dispetto di qualunque consiglio medico. Non possiamo sentire qui un’eco del mondo di oggi, tormentato dal COVID? A ben vedere, i lavoratori (italo-americani e non) si sono visti costretti a mettere la propria salute in pericolo in pericolo per molto meno nel corso dell’ultimo anno. E quei personaggi che nel film danno del vigliacco a Rocky per la sua riluttanza a tornare sul ring non ricordano forse quei datori di lavoro che oggi si lamentano della presunta pigrizia di chi non accetta condizioni di lavoro degradanti e stipendi da fame?

Potremmo poi parlare di Adriana, vero e proprio avatar di tutte quelle donne (ed a maggior ragione quelle incinte) che hanno da sempre ricevuto una considerazione secondaria nella nostra società, specie sul piano del lavoro. La salute di Adriana viene considerata dai personaggi del film secondaria al suo lavoro, persino quando il negozio che la impiega le crolla in testa. La sua vita è secondaria nel discorso della dottoressa sorridente che comunica a Rocky che, a dispetto dell’incidente, il bambino che Adriana porta in grembo sta bene ed è un maschio. Per poi comunicare al marito che Adriana è in coma solo dopo che egli ne fa esplicita richiesta. Adriana è secondaria (se non in quanto lavoratrice e generatrice di bambini) per tutti tranne che per Rocky. Che la ama. Speriamo non la ami anche lo spettatore contemporaneo.

Ad ogni modo, non c’è da preoccuparsi: per Rocky e Adriana finirà tutto bene. Non può che essere così perché i personaggi di Rocky II, a differenza di tutti quanti noi, sono protagonisti di una saga cinematografica che, fra tragedia e commedia, ha trovato fondi di produzione e sponsors a sufficienze per ben altri quattro sequels.

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