Benvenuti in Congo: provincia, fiume, capitale e metafora dell’Africa centrale

Inongo è la capitale, o (per meglio dire) il capoluogo, della regione congolese del Mai-Ndombe. Una città vera a propria, uno potrebbe pensare guardadola su di una mappa. E si sbaglierebbe. Inongo è una distesa di capanne, in mattoni seccati al sole e tetti di sterpi su terra rossa, ai bordi del lago che fu dedicato al Leopoldo II (re del Belgio, colonizzatore e genocida), della cui memoria non resta oggi che l’allusione evanescente a posti sudici. “Vado un attimo sulla tomba di Leopoldo” è da queste parti un malcelato eufemismo per dire “vado al cesso”.

Il Mai-Ndombe, “Acque Nere”, il centro del bacino del fiume Congo, la conca centrale, come viene chiamata, è come il depositario di tutta l’umidità della foresta, che in un modo o nell’altro, a ovest, sgocciola in questo regno palustre dove nessuno capita mai, dove nessuno si reca. La riserva privata del re del Belgio…è oggi un’ampia provincia piena di niente e di nessuno, ricolma di acqua.

La provincia congolese di Mai-Ndombe

Sebbene Inongo ne sia la capitale, gli affari restano tutti a Nioki, di qua dal lago, più vicina a Kinshasa. Quando la gente del luogo cerca di persuaderti che prendere le vie d’acqua sia cosa facile, forse dovrebbe imparare ad omettere il capitolo sugli incidenti in barca. Eppure la conclusione che sembrano tutti trarre dall’evidenza del lutto non è tanto “stai attento, stai in casa”, quanto piuttosto: “tanto, prima o poi, moriamo tutti”. Quando risulta palese che io non possa né voglia accettare una prospettiva simile, si mettono a ridere. Non so  spiegarmi il perchè, ma sembra che a loro non importi troppo. E da questo paiono discendere una serie di strani usi della capitale.

Pensate, per esempio, agli omaggi medievali. Un Professore di Inongo aveva inviato, come tributo alla rettrice dell’università di Kinshasa, ben tre alligatori vivi, legati, in aereo. Io immagino ancora questa povera donna, con tre alligatori nella vasca da bagno. Ma soprattutto immagino, per converso, cosa debba pensare Kinshasa del suo sterminato entroterra. La grande città, prima in Africa, con diciassette milioni di persone, enorme, spropositata, sfavillante, e comunque minuscola rispetto a un paese, la Repubblica Democratica del Congo, che fa impressione solo a pronunciarlo.

Il mercato all’aperto di Inongo, nella provincia congolese del Mai-Ndombe

Quando arrivi dall’aeroporto e attraversi il Boulevard Lumumba, la sensazione che hai è quella di essere in un posto abnorme: cartelli sterminati, à la Doctor Eckleburg, strade amplissime, lunghissime, un attraversamento interminabile di periferie e periferie prima di arrivare al centro; e lì, poi, la vista sul fiume, in sé ipnotica, in sé inimmaginabile. Il Congo trascina con sé non solo acqua, ma tutta la fattura magica del suo bacino, sicché starvi dappresso comporta di necessità un senso istantaneo di ubriachezza. Tu guardi il Congo, come l’abisso, e ti dimentichi di dove sei – esso mescola i sensi, ne odori lo sguardo, ne vedi il sapore.

La musica intanto batte sotto il letto, la senti che con le sue onde unisce e rimbalza, Kinshasa e Brazzaville, Brazzaville e Kinshasa, e capisci mentre lo vivi cosa doveva provare Stanley a percorrerlo. E ovviamente senti lo schifo, fino in fondo, di quello che è successo… ma vorresti solo risalire, risalire, risalire. Questa, pensi, è l’aorta dell’Africa – non il Nilo. Il Nilo è una trachea che porta dal noto all’ignoto, è vero… ma il Congo è un fiume di brandy, è fatto di gocce di magia distillata, e ti risucchia. Dove? Nella foresta equatoriale, nel polmone del mondo. Il Nilo è un viaggio nella storia, il Congo è un viaggio nel corpo. Una mano ti ferma prima che tu ci possa cascare dentro. Ma la voce ti chiama.

Scena di vita quotidiana sul fiume Congo, arteria pulsante del continente africano

E da dove viene questo incantamento senza cura? Da tutta la giungla, è chiaro, ma per qualche motivo le gocce ne scolano proprio dal Mai-Ndombe. La sera esci, sulla terra rossa, guardi la croce del sud e pensi che il polo, in fondo, è lì davanti, dritto, pronto per essere raggiunto. Un cielo nuovo. Un amico mi diceva: “i cieli del sud sono così tanto più belli di quelli del nord”. Il nord è fatto di storia, di leggende sempre scritte da qualche parte, ma il sud è ammobiliato per la vita di tutti i giorni, con la sua nave, la squadra, gli oggetti della quotidianità. Non so se sia così, ma è vero che il lago, le acque nere, riflettono su una superficie quasi oleosa il firmamento, come fossero là apposta per mescere i fiumi di quaggiù, caldi, pieni di zanzare, con le profondità siderali che ci si riflettono.

Calore e gelo, sopra e sotto. Mentre vai in moto tra le paludi della provincia alla ricerca dei pigmei senti la forza di un territorio che batte al ritmo delle sue canzoni, che richiama gente da tutta l’Africa centrale, e ti fa impressione. L’Africa centrale… Non puoi credere che sei davvero lì, di tutti i posti al mondo, ci sei arrivato, lontano dai turisti, unico disperso in un paese che non ti aspettava. Un paese, peraltro, grande, pieno della propria consapevolezza, di fronte a sfide epocali: capitale per il mondo a suo modo, eppure periferia obbligata. “Shithole country”, come direbbe qualcuno, dove si capita solo per caso. Come potrebbe mai uno, si dicono, voler vivere, con tanti posti al mondo, proprio in Congo?

E io che continuo a chiedermi perché mai dovrei voler vivere a Mostacciano.

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