Appartengo a quel particolare tipo di persone che amano l’autunno. Quando, anni fa, vivevo in Italia, ricordo che l’autunno sembrava portare solo un senso di leggera tristezza fra gli amici; estate finita, giorni più corti, più freddi.
Invece qui negli States, dove vivo ora, si fanno battute sull’insana passione per l’autunno delle “basic white women”; il classico stereotipo di donna caucasica americana da villetta a schiera per capirci. Non appena la temperatura scende sotto i 25 gradi, questo esemplare di americana media contemporanea si arma di stivali, maglioni, e sciarpa, e si affanna a riempire la casa di zucche intagliate sorseggiando Pumpkin Spice Latte (una specie di cosa-caffè imperglicemica che Starbucks vende ai gusti di canella e noce moscata).
Beh, guilty as charged. Amo pazzescamente l’autunno. Anche se non bevo Pumpkin Spice Latte, ormai sono due mesi che mangio chili di muffin alla zucca ed indosso la camicia di flanella pure quando dormo. Ho anche piazzato una zucca tattica di terracotta sulla libreria. E poi è anche un mese che leggo libri horror. Perché chi può mai dimenticare che esiste una festa autunnale essenziale in tutti i paesi anglosassoni? Da noi Halloween è una cosa seria.
Negli Stati Uniti, ottobre viene anche anche chiamato la “spooky season”. Tutto il mese ruota intorno all’attesa della festa di Halloween, e non solo per i bambini, un po’ come una specie di periodo dell’Avvento prima di Natale, solo con i mostri. Non si tratta quindi solo di festeggiare per una notte sola al grido di “Jack O’ Lantern” e “trick or treat”, ma di una serie di attività festive di tutti i tipi che dura per diverse settimane.
Iniziamo dalla mia parte preferita: leggere i libri di paura. Non sono assolutamente l’unica a lasciare per ottobre questo tipo di letture. Quest’anno, come al solito, ho letto romanzi e racconti horror di ogni tipo, dai classici (come Carmilla, un fantastico racconto gotico di fine Ottocento che ha per protagonista una vampira lesbica) ai nuovissimi (come A Haunting on the Hill —non male, ma vi consiglio l’originale della grande Shirley Jackson— e La nostra parte di notte, consigliatissimo, della scrittrice argentina Mariana Enriquez).
I classici della stagione non mancano: Jackson e Poe, ma anche Stephen King per chi preferisce i moderni. Ma forse vi sorprenderà scoprire che di libri Halloweeniani ce ne sono anche per i bambini. Da piccole, io e le amiche facevamo a turno per spaventarci a morte con i racconti della raccolta Scary Stories to Tell in the Dark di Alvin Schwartz, di cui solo le illustrazioni (di Stephen Gammell) mi fanno ancora oggi venire gli incubi.
Comunque non siamo solo noi topi di biblioteca che amiamo farci spaventare ad ottobre. Ovviamente ci sono i film horror, ma questi li conoscete già. Parliamo di decorazioni. Delle case, dei negozi, dei posti pubblici, di tuttecose. Qualche zucca sulla veranda è il minimo, ma non è difficile trovare chi ci si impegna molto di più. Qualche settimana fa ho fatto un piccolo road trip negli stati del New England, e mi sono messa a raccogliere prove delle decorazioni più originali.
Quest’anno va molto di moda lo scheletro gigantesco in giardino (alto fino a 4 metri) e, come sempre, si sono visti tanti giardini truccati da cimiteri con le lapidi di plastica. Ma alcuni hanno voluto soprenderci, come i proprietari di questa simpatica gelateria nel Maine.
Ma non bisogna sempre esaggerare per inquietare. L’orrore è nei dettagli. Prendete per esempio questo scheletro che ho incontrato davanti alla biblioteca pubblica della ridente località di Stockbridge, Massachussetts.
La parte più bella di questo simpatico amico è che molto probabilmente chi ce l’ha messo lo ha fatto semplicemente perchè lo ha trovato carino e festivo. Le decorazioni macabre sono viste negli Stati Uniti come una cosa talmente nromale che forse sarò stata anche la prima a chiedermi come mai questo spettro stia leggendo una favola per i bambini. Fa il babysitter?
E poi, a parte le decorazioni, ci sono eventi, festival e le classiche haunted house. Qui a Philadelphia, fino a pochi anni fa, l’evento della stagione era sempre Terror Behind the Walls. Una cosa dove per venti dollari potevi girare al buio all’interno di una prigione ottocentesca (da tempo in disuso), mentre attori vestiti da fantasmi, zombie ed altri mostri assortiti saltavano fuori dagli angoli per afferrarti o darti caccia. Purtroppo la pandemia ha costretto questo posto meraviglioso a chiudere i battenti.
Se questa esperienza vi inquieta troppo, haunted house molto più family-friendly spuntano fuori come i funghi durante i weekend di ottobre. Altra classica attività per famiglie in questa stagione è visitare una fattoria qualunque, per andarci a comprare zucche, mele e sidro. E magari ci si ritrova anche in bellissimi labirinti costruiti apposta con gli steli dentro ai campi di granturco.
Nelle fattorie americane ad ottobre si trovano anche dei labirinti a tema “haunted”. Però questi si visitano di notte, e di solito senza bambini piccoli. Questo labirinto che ho visitato a Great Barrington, Massachussetts, non è della varietà “haunted”, però è a tema. E tanto tranquillizante proprio non è. Ecco, il tema è Alice nel Paese delle Meraviglie.
Poi, ci sono posti e città che Halloween lo vivono di più di altri. Il penultimo giorno del nostro viaggio, passavo dal Maine al Rhode Island, dove dovevo incontrare degli amici per una cena. Proprio di mezzo a questi due luoghi si trova la famosa Salem, Massachussetts, capitale mondiale indiscussa della caccia alle streghe since 1692. Non ho resistito, ho girato la macchina, e ci sono passata.
E’ stato un grave errore. Salem + ottobre = folla pazzesca.
La città era strapiena di gente stramplata, entusiasti di stregoneria. Ne ho visti di tutti i tipi: uomini e donne di ogni età vestiti da strega, chi con il classico capello nero a cono, chi con costumi elaborati e dettagliati tipo le tre streghe di Hocus Pocus, chi da strega sexy in pizzo nero, chi con felpe che puntano tutto sul lato femminista della stregoneria tipo quelle con su scritto: “Salem 1692: They missed one”.
Insomma, c’era gente vestita da ogni tipo di strega a palate. Mi pento molto di non aver fatto una foto al tizio (o tizi*?) che girava per la piazza vestito da decapitato, con la testa su di un piattino che portava nella mano. E poi ovviamente ogni negozio era pieno di roba kitsch a tema streghe e roba wicca assortita.
Insomma, di che cosa tratta questa nostra vecchia tradizione, questo Halloween? Le origini della festa (come è facile scoprire anche da una semplice ricerca su Google) sono pagane e celtiche, con un pochino di vernice cristiana strisciata sopra (la vigilia di Ognissanti, “All Hallows’ Eve” in Inglese antico). Ma cosa ne rimane oggi? Ancora più di altre feste celebrate nel mio paese, gli Stati Uniti, questa è una sagra del kitsch ed anche —diciamocelo pure— del trash impenitente, dell’esagerazione. Ed è per questo che la amo.
Il costume che hai speso ore ed ore a disegnare ad ottobre, nella luce fredda di novembre sembrerà forse un po’ imbarazzante, come se fossi stata ubriaca. Ed è giusto che sia così. Non sarò certo la prima a notare che Halloween in fondo assomiglia al Carnevale, non solo per le maschere, ma per il senso di straordinarietà, di ribaltamento delle regole, anche se solo per una notte. Ed è altrettanto vero che questa è una festa commerciale: gli americani spendono oltre tre miliardi di dollari all’anno solo per le caramelle del trick or treat.
Ma c’è anche della grande creatività nell’American spooky season. Anche la NPR (la radio pubblica statunitense) quest’anno ha sostenuto apertamente che i costumi pre-confezionati sono un po’ da sfigati. Molto meglio farseli da soli e dare libero sfogo alla fantasia. In questo senso, forse Halloween rimane la più autentica fra le feste americane, la meno capitalista. È troppo caotica per essere interamente appropriata da aziende e corporations. Un Halloween senza i costumi inventati, senze le decorazioni bizzarre ed i labirinti di mais, in fondo, che Halloween sarebbe?
Nata in Ohio e vissuta in passato a Bologna e a Genova, Mary Migliozzi attualmente vive vicino a Philadelphia, dove lavora nell’ambito dei programmi internazionali universitari. Per oltre 15 anni ha insegnato e ha fatto ricerca accademica in Italian Studies, concentrandosi sulla letteratura dialettale italiana e sulla musica pop e cantautoriale del Bel Paese. È un’appassionata di romanzi gialli inglesi, romanzi russi troppo lunghi per essere letti tutti d’un fiato, e del Festival di Sanremo.