Due popoli, due Stati. Sarebbe questa la più logica tra le soluzioni all’eterno conflitto arabo-israeliano. Del resto lo sforzo diplomatico di tutta la comunità internazionale, e non solo delle parti in causa, è stato sempre questo, che poi è anche il contenuto della risoluzione ONU n. 181 del Novembre del 1947.
Un fine che Netanyahu in questi giorni ha affossato, almeno per i prossimi 50 anni. Un progetto che non si è infranto su di una spianata desertica durante un rave party per celebrare la festa ebraica dello Sukkot. Ma che è andato via via affievolendosi nel corso dei tanti anni in cui la destra israeliana del Likud ha governato, rafforzando i radicali di Hamas a Gaza a scapito della comunità dialogante di Al Fatha in Cisgiordania.È quello che pensa la coltissima e influente comunità ebraica all’estero, da sempre critica nei confronti della destra estremista ebraica. Golda Meir sosteneva che l’arma segreta degli israeliani era il “non sapere dove altro andare”, e ciò ha costituito un indubbio vantaggio rispetto al popolo palestinese, sparpagliato tra la Giordania (in cui sono la maggioranza), il Libano, la Siria e altrove in tutto il mondo arabo.
I palestinesi sono stanziati tra la striscia di Gaza e la West Bank, un territorio pari al 22% della “Palestina Mandataria”, cioè quella su di cui aveva un mandato di amministrazione la Gran Bretagna, a cui lo aveva conferito la Società delle Nazioni nel 1920. Il riassegnamento di quei possedimenti scaturì poi dall’esito del conflitto arabo-israeliano del 1949. Erano aree occupate, alla fine della guerra, rispettivamente da Egitto e Giordania, che comunque Israele finì con il conquistare nel 1967, con “la guerra dei sei giorni”, quando in meno di una settimana riuscì a sconfiggere gli eserciti di Egitto, Giordania e Siria. Tra la fine degli anni Sessanta e quelli degli anni Ottanta i palestinesi iniziarono ad organizzarsi per liberare i territori occupati. Erano gli anni dell’intifada, quella dei palestinesi che combattevano con le pietre contro uno degli eserciti migliori del mondo, movimenti che aprirono la porta agli Accordi di Oslo negoziati tra il 1993 e il 1995, con i quali l’OLP di Arafat “riconosceva il diritto dello Stato d’Israele all’esistenza pacifica e sicura” e Rabin il diritto all’autodereminazione del popolo palestinese.Erano le basi per dare attuazione alla direttiva Onu n. 181 sul principio della esistenza di due popoli-due Stati. Il problema è che non può esistere uno Stato senza una continuità territoriale. Figuriamoci una convivenza pacifica fra Israele ed un ipotetico Stato palestinese che controlla due aree geografice distanti 100 km l’una dall’altra, le quali a loro volta dipendono in tutto e per tutto da Israele stessa, che li ha pure circondati da Kibbutz abitati da ostili coloni ultraortodossi.
La divisione dei palestinesi distribuiti in due aeree diverse è ad oggi l’ostacolo maggiore verso la creazione di un sistema che comprenda due popoli governati da due Stati separati che si riconoscono l’un l’altro.Abbiamo visto come le spaccature in seno alla comunità araba (e non solo palestinese), hanno storicamente favorito Israele. Indebolire i moderati dell’Autorità Nazionale Palestinese, agevolando l’ala radicale di Hamas per dividere il fronte palestinese, è stato il cinico e spericolato calcolo di Netanyahu, quanto sbagliato e pericoloso lo si è visto in quel tragico shabbat del 7 ottobre ai confini della striscia di Gaza.
Era dal 1996 che Netanyahu tentava di sabotare gli accordi norvegesi faticosamente raggiunti tra Rabin e Arafat. Ci ha messo quasi trent’anni, ma alla fine ci è riuscito.Avvocato e giornalista, coltivo un’antica passione per l’America Latina e l’Europa Orientale. Ma resto comunque convinto che non esista un paese che non valga la pena di essere visitato. E mi sono regolato di conseguenza. Siccome arriva sempre il momento in cui ti rendi conto di sapere meno di quanto pensi, mi sono rimesso a studiare e quelle quattro cose che so ho deciso di spacciarle su Deep Hinterland. Senza pretese che esse siano risolutive dei dubbi di chi legge, anche perché penso che ognuno farebbe bene a tenersi stretti tutti i suoi affanni. Alla fine, sono convinto, tornano sempre utili.