Latinoamericana: Mario Vargas Llosa e le case dei poeti morti

Con la scomparsa del grande romanziere peruviano Mario Vargas Llosa (vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 2010) si assottiglia ancora il mio personale Pantheon letterario, già decimato dalla dipartita di Jorge Amado, Eduardo Galeano, Enrico Sabato, Lezama Lima, Gabriele García Márquez e tanti altri.

Un senso di straniamento che avevo già avvertito in un pomeriggio d’agosto a Rio de Janeiro 25 anni fa circa, quando la televisione brasiliana ha interrotto i programmi in onda per annunciare la morte di Jorge Amado. Caetano Veloso, che stavo vedendo in quel momento in Tv, modificando la scaletta del concerto intonò in lacrime “Leãozinho”, una canzone che anni prima aveva scritto per celebrare il suo grande amico, bahiano come lui.

Jorge Amado ha trascorso tutta la sua vita a Salvador de Bahia, esattamente a Rio Vermelho, insieme alla moglie Zelia Gattai, scrittrice anche lei. Zelia ereditò il suo posto alla Academia Brasileira Das Letras, detta anche degli Immortali perché le sue nomine sono a vita. Così facendo soffiò il posto a Paulo Cohelo, ben più noto e titolato di lei: segno del prestigio del marito e di un certo nepotismo tutto latino.

Quella villetta sull’Oceano Atlantico era il crocevia di tutti i più importanti intellettuali brasiliani, oltre che il rifugio, durante la dittatura, di tutti i dissidenti del paese.
La visitai anni dopo. Era molto colorata, piena di fotografie e ninnoli marinari, costruita in uno stile semplice ed essenziale come in fondo era stata la vita di chi l’aveva abitata.

Lo scrittore brasiliano Jorge Leal Amado de Faria​​​ (1912-2001). Photo credit: El Pais

Anni fa, in giro per Montevideo, in Uruguay, mi ero messo in testa di conoscere personalmente Eduardo Galeano, e in verità ero anche riuscito a sapere in quale quartiere abitava. Quasi inutile aggiungere che non riuscì a parlarci, ma se ci fossi riuscito avrei voluto chiedergli come aveva fatto a tenere incollata un’intera generazione di ragazzi alle pagine del suo “Las venas abiertas de America Latina”. Forse mi avrebbe risposto che si trattava di uomini e donne ancora ansiosi di capirci qualcosa sulle storture del mondo.

Quel libro fu poi onorato con la censura (e con il forzato esilio del suo autore in Spagna) dalle infami dittature di Videla e Pinochet, che lo consideravano uno “strumento di corruzione della gioventù”. Anni dopo, nel centro di Montevideo, mi sono imbattuto in un murales di Eduardo Galeano, oramai deceduto da qualche anno: il suo sguardo corrucciato sembrava esprimere lo stesso sdegno che in vita aveva nutrito nei confronti di tutte le ingiustizie che ha subito il continente latinoamericano.

Al cospetto del murales dedicato allo scrittore uruguayano Eduardo Germán María Hughes Galeano (1940-2015) nel centro di Montevideo. Photo credit: Antonio Buttazzo

A Cartagena del Las Indias, però, la casa di Gabo, divenuta un museo, sono riuscito a vederla. É situata all’interno della “murallada” che circonda la parte storica della cittadina colombiana. L’edificio, niente di memorabile, ha un affaccio sul Mar dei Caraibi.

E’ lì, su quel tratto di costa dove era nato nel 1927, che Gabriel Garcia Marquez immaginava la cittadina di Macondo, teatro delle avventure di Josè Arcadio Buendia e della sua progenie, trasfuse in “Cent’anni di solitudine”. Con quel romanzo è nato lo stile “magico-realista” della letteratura latinoamericana; formula invero abusata e quasi priva di senso, ma senz’altro suggestiva e che, alla fine, rende l’idea.

L’ingresso della casa dello scrittore colombiano Gabriel José García Márquez (1927-2014) a Cartagena, in Colombia. Photo credit: Tripadvisor

A L’Habana, invece, di fronte la casa di Lezama Lima mi ritrovai quasi per caso. Sapevo che aveva abitato nei pressi di calle Obispo, la via degli intellettuali Habaneros (oggi invasa dai soliti negozietti di chincaglieria da quattro soldi), ma non sapevo esattamente dove.

Del resto era anche difficile scoprirlo, visto che i Cubani a cui chiedevo informazioni avevano ben altre preoccupazioni per la testa e sicuramente l’indirizzo di uno scrittore defunto già da qualche anno non era in cima a queste. Solo il caso ha voluto che, nello scorgere l’insegna di un coiffeur dove prima c’era quello di una libreria, mentre riflettevo sul declino della Revolucìon, lo sguardo cadesse su una piccola targa all’ingresso di un vecchio palazzo e poi su di una vecchina che stava lì davanti.

La casa era quella dove Lezama Lima aveva abitato tutta la vita e da cui non si era mai mosso, mentre la vecchietta era la sua collaboratrice domestica. Alla morte dello scrittore, la oramai anziana signora era stata nominata custode di quella che era divenuta una casa museo. Con l’aiuto di qualche dollaro yankee, la vecchietta mi autorizzò a visitare la casa, benché fosse chiusa da anni. Sicuramente i daiquiri del bar “Floridita”, posto proprio lì davanti, godevano di maggior successo della scrivania dove il “Joyce dei Caraibi” aveva scritto lo splendido e complesso romanzo “Paraiso”.

Lo scrittore cubano José Lezama Lima (1910-1976). Photo credit: El Espanol

Ernesto Sabato, a cui mi legano le comuni origini calabresi, l’ho scoperto un po’ più tardi. Con Borges, è considerato uno dei due giganti della letteratura argentina. Le loro “Conversaciones” sono un monumento dell’impegno civile.

Sabato si è dedicato tardi alla letteratura. Fino a 45 anni è stato un fisico e ricercatore al fianco di Irene e Frederic Curie alla Sorbona di Parigi. Tornato in Argentina nel 1945, è morto centenario a Santos Lugares, nei pressi di Buenos Aires. Lì, è vissuto in una casa piena di libri e di gatti, che ho avuto il privilegio di visitare grazie ad un amico legato alla famiglia dello scrittore.

Sabato è stato non solo un grande scrittore, ma anche la figura intorno a cui si è stretta tutta l’Argentina alla fine della dittatura di Videla e Massera. Fu chiamato a presiedere la Commissione Nunca Mas, incaricata di fare luce sulle sparizioni ch erano avvenute nel tragico settennio in cui in Argentina governò la Junta fascistissima dei militari, arrivati al potere con il golpe del 24 Marzo del 1976. Le conclusioni cui giunse la sua Commissione permisero al paese, guidato dall’avvocato radicale Raoul Alfonsin dopo elezioni democratiche, di intraprendere un cammino di pacificazione e rinascita.

Lo scrittore agentino Ernesto Sabato (1911-2011). Photo credit: El Pais

Insomma, come si è capito, ho una vera passione per la ricerca delle abitazioni dove hanno vissuto gli scrittori che sento a me vicini. Di Mario Vargas Llosa so solo che viveva tra Madrid e Parigi, non saprei dire neanche in quale quartiere di quelle città, e a pensarci adesso un po’ mi dispiace non averlo mai saputo.

La sua monumentale opera “Conversazione nella Cattedral” (la “Catedral” nel romanzo è il nome di un bar), è un capolavoro con il quale Llosa si interroga sulla dittatura nel suo Paese chiedendosi in quale momento “si è fottuto il Perù”, che è poi lo straordinario incipit del libro, considerato il più bello del romanziere sudamericano.

Conversazione nella “Catedral”, il capolavoro di Maria Vargas Llosa. Photo credit: Einaudi Editore

Vargas Llosa ha esplorato magistralmente il tema del dispotismo, svelandone i lati più oscuri proprio attraverso il ritratto dei dittatori, come è accaduto con “La festa del Caprone” sul presidente domenicano Trujillo. Oppure come ha fatto più di recente in “Tempi duri”, sulle dittature guatemalteche sponsorizzate dalle multinazionali americane, prima fra tutte la United Fruit, fenomeno politico da cui deriva il famoso termine “repubbliche delle banane” proverbialmente affiabbiato ai Paesi della Mesoamerica.

Non sono mancate opere più leggere e qualche volta molto divertenti come “La zia Julia e lo schiribacchino”, “Le avventure della ragazza cattiva” ed il delizioso “I quaderni di don Rigoberto”, personalmente il mio preferito, vagamente autobiografico.

Una volta immersi nell’universo di un romanziere amato (Vargas Llosa non voleva essere definito “scrittore”), la sua scomparsa può essere paragonata alla perdita di un amico che ha condiviso con te il suo mondo. E’ la magia della letteratura quella che crea certi legami.

Vargas Llosa è stato più di ogni altro il tipico intellettuale sudamericano, legato visceralmente alla sua terra ma di casa in Europa dove in effetti viveva da tempo. Giovanissimo era arrivato dal Perù in Francia, dove per arrotondare collaborava con France Presse. Nel 1964 a Parigi, da giovane cronista, intervistò Jorge Luis Borges, che era già un gigante della letteratura, al quale piuttosto provocatoriamente domandò cosa fosse per lui la politica. Borges lo fulminò: “E’ una forma del tedio”, gli disse.

Il disimpegno dí Borges per i temi sociali era noto, e quella risposta sembrò a Vargas Llosa una sorta di “distacco estetico” che un intellettuale di simpatie castriste non poteva accettare di buon grado. In seguito le sue posizioni politiche mutarono e Vargas Llosa iniziò un sofferto percorso di avvicinamento al liberalismo, che alcuni ambienti della sinistra radicale non gli perdonarono mai. Nel 1990 si candidò addirittura alle elezioni presidenziali del suo Paese, il Perù, venendo sonoramente sconfitto dal corrottissimo Alberto Fujimori che pure aveva battuto al primo turno.

L’ex Presidente ed autocrate peruviano Alberto Kenya Fujimori Inomoto (1938-2024). Molto vicino a diverse multinazionali americane, battè Mario Vargas Llosa alle elezioni presidenziali del 1990. Photo credit: El Pais

Tre giorni dopo Vargas Llosa scappò a Parigi e poi in Spagna (di cui divenne cittadino). E fece bene, visto che Fujimori stava trasformando il Perù in una galera a cielo aperto. A Vargas Llosa non riuscì quello che Vaclav Havel avrebbe realizzato tre anni dopo in Cecoslovacchia: mettere la forza della letteratura e dell’impegno civile al servizio dello Stato.

Quando iniziò a dedicarsi alla politica, la gran parte dei suoi capolavori li aveva già scritti. Ma, sulle orme di Flaubert e Cervantes, a cui si è sempre dichiaratamente ispirato, ha continuato con i suoi romanzi a coltivare l’immagine dell’intellettuale sradicato, libero di raccontare le sue meravigliose storie, trascinato dalla “passione, dal vizio, dalle meraviglie della scrittura”.

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