Sporchi e malati: Gossip Girl, Caravaggio e Tiziano

Anni fa, per questioni di quantità di strette di mano imposte dal mio lavoro, avevo un costante e affettuoso rapporto con l’estetista-manicure. Ero giunta a livelli di precisione chirurgica nello scegliere il colore e la forma delle mie bistrattate unghie, che si trasformavano da strofinacci in eleganti ombrelloni alla fine di questi trattamenti magico-onirici.

Col tempo, mi sono convinta che ci sia un’attenzione morbosa verso le nostre estremità cheratinose. E non sono sola nel sostenerlo. Una citazione di spessore viene dal personaggio di Blair Waldorf in Gossip Girl, quando suggerisce ad una rivale (rea più che di essere la donna del suo amato, di apparire una parvenu) di indossare i guanti ad un ricevimento iperesclusivo per nascondere le sue mani (e soprattutto le sue unghie), che urlano “povertà”. Chiaramente un concetto di povertà dai confini assai ampi, perfetto per una viziata giovinetta dell’Upper East Side.

Blair Waldorf interpretata da Leighton Marissa Meester in Gossip Girl. Photo credit: Warner Bros Television.

Con questo non voglio dire che tutte le manicure, o “unghie fatte” come si dice lontano dal
protocollo, siano uguali: più grandi sono più è facile che non siano proprio raffinate e più che restituire decoro richiamano alla mente una roboante Lamborghini gialla. O anche quella senza ruote.

Però, a monte di questi ingegnosi e resistentissimi prodigi della tecnica laccata, lo snobismo e l’esigenza di presentarsi in pubblico in maniera adeguata comincia dalla pulizia, la cui minaccia ha un qualcosa di tenero e necessario, come l’infanzia. Se ci penso, infatti, ho in testa le unghiette dei bambini che non amano lavarsi o quelle di chi lavora concretamente con le proprie mani e ne porta i segni come, appunto, ogni bambino.

Avere le dita/unghie sporche dopo aver fatto qualcosa di faticoso, anche se può essere disgustoso, è davvero un atto liberatorio e di una sincerità disarmante.

“Bacco”, Michelangelo Merisi detto Caravaggio, olio su tela, 95 x 85 cm,1598, Firenze, Galleria degli Uffizi.

Caravaggio, amante della realtà più nuda che cruda, questo lo sapeva benissimo. Tanto da dipingerle quasi sempre così. Tra le sue, infatti, quelle che sono probabilmente le unghie sporche più famose della storia dell’arte, quelle del “Bacco” per eccellenza, di fine 1500, conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze.

Il dipinto, oltre a mostrare con quale spavalda acribia l’artista ritrae e conosce anche il mondo vegetale, ci mostra un Bacco fulgido, in salute, roseo e sensuale. La coppa di vetro
finissimo ci viene porta con le sue zampette giovani e molli. La parte superiore del bicchiere è larga e piatta e richiama quasi l’accogliente parte contenitrice di un kylix greco. Più mitologico di così!

“Bacco” (dettaglio), Michelangelo Merisi detto Caravaggio, olio su tela, 95 x 85 cm,1598, Firenze, Galleria degli Uffizi.

Dicevamo, le unghie sporche sono uno dei caratteri distintivi di Caravaggio, che le mette in bella mostra anche in un precedente ritratto di Bacco del 1593-94 (massimo 96), conosciuto come “Bacchino malato”.

Nel dipinto, conservato presso la Galleria Borghese di Roma, il pittore è smaccatamente interessato al naturalismo e non risparmia affatto al soggetto la sottolineatura bluastra delle sue labbra, quasi una firma della sua malattia, e un pollice che si spera abbia avuto
tempi migliori.

Bacchino malato, Michelangelo Merisi detto Caravaggio, olio su tela, 67 x 53 cm, seconda metà degli anni Novanta del 1500, Roma, Galleria Borghese.

Lo spinge in avanti (probabilmente certe sottolineature anatomiche sono dovute anche all’uso che Caravaggio faceva degli specchi) e più che l’uva ci offre la spalla. Attraente? Non proprio. In bilico? Forse. Accecante nel suo pallore? Certamente.

Qualcuno ci vide un’allusione cristologica, qualcuno una convalescenza (vicina temporalmente a quella di Merisi stesso), qualcuno un perpetuo e colossale post-sbronza.

Proseguendo nel reparto ospedaliero dei personaggi poco amanti della vitamina D o dello
specialista, troviamo anche “Ritratto d’uomo malato” del 1515, che troneggia tra i colleghi nella collezione degli Uffizi dalla fine del Seicento[1]. Per prima cosa, il titolo non fu dato dall’autore. Quindi noi non sappiamo se l’avvenente e un po’ sgualcito ventunenne ritratto (come indica la scritta in testa) fosse o meno malato. Ma l’aria pallida e malinconica che lo avvolge rende plausibile questo nome.

“Ritratto d’uomo malato”, Tiziano Vecellio, olio su tela, 81 x 60 cm, 1515, Firenze, Galleria degli Uffizi.

Tiziano “sboccia”, ma nel senso milanese del termine, con il tonalismo cupo e allo stesso tempo aereo e fa indossare, come spesso ai suoi gentiluomini, oltre alla pelliccia un filo “vulgar display of power” (ma adeguata alla moda del periodo) dei guanti lunghi e protettivi. Anche qui, le mani non si sporcano, di conseguenza nemmeno le unghie. Fantastico su quanto potenzialmente le mani di costui fossero da copertina di rivista di dermatologia o centro estetico.

Gli scuri capelli vaporosi e la barba folta insieme ai baffi sottolineano il suo viso stupendo, elegante e stanco. Mi fanno venire tanto in mente un Che Guevara veneziano, che però anziché sulle magliette starebbe meglio su di un foulard di Hermès.

Note
[1]: Sia messo agli atti che Tiziano ha dipinto alcuni degli uomini più belli della storia dell’umanità. Questo dipinto, tra l’altro, ispirò anche il vicino di casa fiorentino Papini per un suo racconto.

 

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