Please click on this link to access the English version of this article
Ricordo che nel 2016 decisi di recuperare molti film che mi ero persa in anni di mancata televisione, frequentazione di cinema e abbonamenti vari alle piattaforme più o meno succulente a disposizione[1]. Mi avvalsi di ogni mezzo a disposizione, incluse biblioteche e corruzione spietata di amici cinefili o del ramo. Grazie a una di queste mie malefatte, riuscii a recuperare un’opera dell’anno precedente, “Youth” di Paolo Sorrentino, una delle mie lentezze preferite in cui i protagonisti sono piccolissimi tra le montagne troneggianti attorno al loro hotel di lusso.
Pellicola in cui Lena Ballinger/Rachel Weisz restava sorpresa nello scoprire che il suo famosissimo padre compositore, Fred Ballinger/Michael Caine, non confessasse al suo amico di cuore e immaginazione Mick che si stesse dilaniando nel portare avanti coriacemente un impossibile rifiuto di dirigere davanti alla Regina d’Inghilterra.
Mick Boyle/Harvey Keitel è un celebrato regista agli sgoccioli di trame e, verrebbe da dire, di vita. Mick non è affatto sorpreso dalle omissioni del compare e, anzi, aggiunge che nelle vere amicizie ci si dicono solo cose belle. Adoro questa bugia bianca, perché protegge le sue sorelle ed è, in fondo, legata solo al modo in cui condividiamo le cose, per niente al loro contenuto. La accarezzo e rivedo nella vita; mi fa apprezzare i miei legami ancora di più.
Stacco, 2021. Visitai l’esposizione annuale della Drawing Society UK presso le Mall Galleries di Londra. Il sogno di una vita essere lì, sommersi da chili di carta impiegata per scopi meravigliosi, accompagnato dall’ansia di esserne all’altezza. Uno dei lavori che più di altri mi piacque fu quello di Gary Cook dal titolo “Antarctica. Waiting. An Apology”, disegno legato all’esperienza reportagistica dell’artista presso una delle ultime zone selvagge rimaste in Antartide.

Di fronte a quel panorama di un plumbeo cotone fu come se riprendessi a respirare dopo la fatica di conciliare tutte le emozioni discordanti provenienti dall’osservazione dei lavori in mostra. Ci sono persone che accendono i fuochi senza mostrarli, quello era un grigio denso di ignoto, una sospensione data da chi ti sta dicendo qualcosa di, anche, terribile nel migliore dei modi.
Chiaramente mi appassionai all’opera di Cook e ne mostrai ad una carissima amica d’infanzia. Commentò con: “Lo adoro, mi ci vedo dentro, ci starei bene.” Un’affermazione che non solo condivido ma che introduce ad hoc il modo di interpretare lo spazio – non solo esterno – di questo artista. Anche per questo ho deciso di intervistarlo.
Ciao Gary! Grazie di cuore per avermi dato la tua disponibilità per questa dissertazione. Studiando la tua opera e il tuo percorso non sono rimasta sorpresa affatto dalla quantità di competenza tecnico/scientifica, etica e sociale che ne compongono la sostanza. Quanto tutto questo è maturato nel tempo e quanto viene dall’infanzia?
Come tutti i bambini a scuola mi piaceva disegnare. Sono stato abbastanza fortunato da riuscire, per ben due volte, a guadagnarmi da vivere con l’arte grazie a una carriera che mi si addice. Quando ho iniziato a lavorare nella grafica al Sunday Times negli anni ’80 sapevo di aver trovato un lavoro che amavo. La combinazione tra disegni, notizie in continua evoluzione, informazioni, nonchè l’atmosfera frenetica e intensa della redazione, mi ha mantenuto emozionato ed entusiasta per 27 anni.
Ho coperto tutte le principali notizie di quei decenni, tra cui Lockerbie, la Guerra del Golfo, la morte della principessa Diana e gli attacchi alle Torri Gemelle. È stato stimolante lavorare con giornalisti brillanti e intelligenti e corrispondenti esteri coraggiosi. Abbiamo avuto anche il privilegio di avere accesso a tutte le ultime scoperte scientifiche, in particolare quelle riguardanti l’inquinamento e lo sfruttamento dell’ambiente, producendo grafici e informazioni al riguardo da oltre 35 anni. Era qualcosa in cui credevo fortemente e, quando ho lasciato tutto questo per diventare un pittore a tempo pieno, ero determinato a continuare a includere il tema dell’ecologia nella mia arte.
Il tuo risulta un lavoro ricco di gratitudine e rispetto orientato alla valorizzazione e al mantenimento. C’è una lucidità impervia nella bellezza nebulosa nel tuo un approccio sistematico sempre sfaccettato ed affine alla natura. Quanto questo approccio è concettuale e quanto dipende da aspetti più emotivi o tattili, oppure da come ti senti al momento?
Mi piacerebbe dire che negli ultimi dieci anni da pittore ho avuto un’ispirazione spirituale, ma la mia risposta sarà molto più cinica. Sono così costantemente arrabbiato per quello che abbiamo inflitto alla natura, o meglio, per quello che non abbiamo fatto per affrontare i nostri errori verso l’ambiente, che mi sono sentito obbligato a includere queste tematiche nei miei acquerelli.
Il mio lavoro è molto tradizionale, in molti sensi. Cerco di ricreare la bellezza da cui siamo circondati e all’interno dei dipinti includo statistiche o scritte che evidenziano ciò che stiamo perdendo. Molte persone non si accorgono nemmeno delle parole che inserisco nel mio lavoro e a me questo piace. Guardano un panorama, se lo godono, ma, come nel caso del nostro ambiente, ci sono segni e accenni di degrado che vengono colti sono se li si vuole vedere. Mi piace l’idea che i miei collezionisti possano usare questi accenni come vogliono. Può essere semplicemente qualcosa di bello da guardare ma anche, spero, che le parole e le statistiche contenute possano aprire delle conversazioni sull’ambiente.
I Casino Royale molti anni fa cantavano “Io rifletto, il panico dell’insetto”. Dicci la verità, da piccolo, “giocavi” con gli insetti?
Che canzone! Se io giocavo con gli insetti? No, ma ricordo che da bambino ho attraversato una fase di passione per la pesca con gli amici. La possibilità di giocare in riva al fiume senza i miei genitori era fantastica, ma l’idea di togliere un amo dalla bocca di un pesce appena catturato era troppo per me. Quindi ci ho rinunciato presto. Fin da piccolo consideravo gli zoo luoghi tristi. Non mi è mai sembrato giusto rinchiudere quegli splendidi animali a nostro piacimento. Giusto nello stesso periodo in cui abbiamo inventato gli zoo, andavamo anche nei manicomi per vedere i pazienti ricoverati, ma almeno a quel “divertimento” abbiamo rinunciato. Stranamente gli zoo resistono. Il loro aspetto di “conservazione” è una pura falsità.
Artist* preferit* e tre personalità del passato (personaggi storici & Co.) con cui andresti a cena?
Vilhelm Hammershøi per l’immobilità nella sua opera e la sua tavolozza di colori, Hieronymus Bosch per il suo aspetto sovvversivo e David Parfitt, membro del Royal Institute of Painters in Water Color, per la sua esasperante abilità tecnica nell’acquerello. Mi piacerebbe sapere cosa si direbbero a cena un’icona come David Bowie, l’esploratore polare Ernest Shackleton e quel genio di Leonardo da Vinci.

Trovo che testimoniare e diffondere l’urgenza di un’azione mirata ed ecumenica per salvaguardare la natura sia un mestiere, sotto moltissimi aspetti, infame. Tu riesci a rendere l’intera missione “effortless”, con l’aggraziata determinazione di una ballerina classica, un po’ come Paolo Sorrentino spesso fa in alcune delle sue sceneggiature. Ti ritrovi in questa descrizione?
Sei molto gentile. Mi sento come se avessi cercato di trasmettere ciò che ho imparato sull’emergenza climatica e sulla biodiversità ad un pubblico più ampio in modo discreto. Sono molto pessimista riguardo alle nostre possibilità. Penso infatti che sia troppo tardi, ma ho imparato che colpire visivamente le persone con cattive notizie non porta poi molto lontano. Mi piace pensare che far passare di nascosto informazioni ambientali disastrose abbia un effetto più ponderato ed efficace.
Nel tuo lavoro raramente ci sono esseri viventi non vegetali. Tra i pochi la maggior parte sono insetti che quasi firmano le tue visioni. Chissà se gli insetti dipingono? Ancora meno spesso ci sono umani. Possiamo considerare le tue parole tra gli alberi dei simulacri? Uno dei tuoi lavori più diversi cromaticamente in questo senso è “Slow Burn“, un’opera che punta il dito sui consapevoli disastri delle compagnie energetiche. Per te il male è tale solo quando è cieco e consapevole?
Adoro far partecipare un insetto. Le specie, i colori e le forme sono così intriganti. Spesso li nascondo nei dipinti o li rappresento mentre svaniscono sullo sfondo per simboleggiare il fatto che li che stiamo perdendo. Nel Regno Unito le varietà di insetti sono diminuite del 20% dal 1970. Con la mia serie sui frassini, che sono stati spazzati via in gran parte del nord Europa, ho voluto evidenziare le 1.058 specie diverse, dai pipistrelli agli uccelli, dagli insetti ai licheni che dipendono dai frassini. Tutto è interconnesso. Cosa accadrà a tutte queste specie una volta che questi alberi se ne saranno andati? Gli insetti che raffiguro sono solo alcuni di queste 1.058 specie in difficoltà.
Qualche strano essere umano si fa strada nei miei lavori. Con la serie “Slow burn” ho voluto creare un’immagine ridicola di uomini d’affari in giacca e cravatta che penzolano dagli alberi dando fuoco alle foglie. Perché qualcuno dovrebbe farlo, soprattutto da un albero a cui è appeso? Ti uccideresti! Ma questo è esattamente ciò che i dirigenti delle compagnie petrolifere stanno facendo, lentamente ma inesorabilmente da anni, a noi e a loro stessi. Noi e loro sappiamo da troppo tempo quale sarà il risultato finale delle loro trivellazioni di combustibili fossili. Per me è semplicemente criminale, malvagio.

Di recente ho scoperto un’informazione sensazionale: i Britannici hanno inventato il verde. O meglio, un universo di verdi con infinite sfumature e identità, mi confermi la veridicità di questa scoperta? Posso vantarmi della maternità di tutto ciò? Ma soprattutto, sei cosciente che la luce nel Sud dell’Europa, che è proprio più gialla e a picco, rende Albione il paese delle fate, dove i colori sono molto più taglienti nella loro pacatezza? A questo proposito, quanto conta per te la luce e quanto influisce sulle tue scelte artistiche?
Congratulazioni per questo “Teorema di Tinulla Milesi”! Non ne avevo sentito parlare. Vivo su di un’altura vicino ad un’antica città collinare che è spesso avvolta da nuvole o nebbia. La luce sottile che la attraversa al mattino è ciò che preferisco tentare di catturare. Quando ho iniziato come artista a tempo pieno pensavo di dover dipingere attraverso oli colorati, ma quei dipinti non sono piaciuti molto. Quando qualcuno mi ha suggerito di dipingere in bianco e nero mi sono subito sentito a casa. Mia moglie mi chiama addirittura Grey. Si avvicina al mio nome e riassume bene la mia personalità.
Quanto detesti le persone che affermano che gli animali sono meglio degli uomini? Oppure sei d’accordo con loro ed ho appena fatto una figuraccia? A parer mio è un errore di piani che spinge nella direzione della convinzione che bisogna fare qualcosa per meritarsi l’amore, la comprensione e quindi, nel caso delle specie naturali, la salvaguardia. Ti faccio un esempio: se tutti difendono sempre i cuccioli di panda, sarà più difficile far capire che è importante proteggere anche i ragni più spaventosi. Semplicemente, il nostro giudizio mi sembra superfluo. Cosa ne pensi, di questa guerra alla “puffosità”?
E’ uno strano processo di pensiero, non è vero? La sperimentazione animale è ripugnante, ma faccio fatica a capire che l’amore di una persona per gli animali può spingerla a minacciare gli esseri umani con la violenza, anche se sono gli stessi scienziati che eseguono i test. Siamo tutti animali. Adoro la tua etichetta: “carineria” da dittatura. E’ proprio vero. Per troppo tempo c’è stato un ordine gerarchico in base al quale gli animali con cui ci relazioniamo sono buoni, mentre la fauna selvatica con cui facilmente non abbiamo alcun legame emotivo è cattiva. Più comprendiamo e più viene evidenziato quanto poco sappiamo. Le recenti prove che gli alberi sono in grado di comunicare attraverso la rete micotica dei funghi dovrebbero farci riflettere. Solo perché non capiamo il linguaggio di una specie non significa che questa sia più in basso nella nostra classifica.

Qual è il tuo colore preferito?
Come on. Il grigio!
Di’ qualcosa di bello a te stesso.
I’m a buttoned-up Brit. I can’t do it. (Sono un inglese molto abbottonato e riservato, non potrei mai.)
Nel 2018 a Palazzo Strozzi venne organizzata una mostra site-specific interdisciplinare molto interessante dal titolo “The Florence Experiment”. Nata dalla collaborazione tra Carsten Höller e lo scienziato Stefano Mancuso, Si trattò di uno studio-riflessione sull’interazione tra piante ed esseri umani[2]. Conosci il lavoro di questi professionisti? Cosa ne pensi? Credi che questa sia una direzione auspicabile ed efficace per promuovere lo smantellamento della visione piramidale della società che mette in cima a tutto gli esseri umani?
Sembra fantastico! Un’installazione davvero stimolante. Spero che le osservazioni fatte in quell’occasione abbiano mostrato qualche risultato interessante. In maniera simile, “Ash Dome” di David Nash è un operato meno scientifico, ma con il compito a lungo termine di formare una scultura dai frassini che quasi rimuove l’essere umano dal pezzo stesso. I lunghi anni trascorsi dall’artista a piegare delicatamente gli alberi per creare l’installazione offuscano i confini scientifici e artistici e, per me, evidenziano la nostra eventuale incongruenza.

Di cosa sei più grato nella tua vita?
Mia moglie e la fortuna di poter vivere facendo quello che amo.
Cosa vorresti scritto sullo specchio la mattina?
Che andrà tutto bene.
Ringraziandoti di cuore per questa preziosa intervista, lascio le ultime parole a te. Immagina di essere a Davos, ma senza Sorrentino che gira. Hai solo alberi attorno a te.
Ebbene, la buona notizia (che, secondo Mick Boule, dovrebbe essere raccontata solo al tuo migliore amico) è che credo che ci sia un’ondata di persone che si occupano dell’ambiente. Ho iniziato a esporre dieci anni fa a una conferenza incentrata sugli alberi e ci ho incontrato un pubblico riconoscente e molto ristretto. Ora, ad ogni mostra che faccio, ci sono sempre più persone che si sentono naturalmente e profondamente connesse agli alberi e che sentono l’urgenza di affrontare l’emergenza climatica.
La cattiva notizia è che penso che sia troppo tardi. Ma in fondo, cosa ne so? Quindi, per alleviare la mia angoscia, impiego molto del mio tempo a dipingere en plein air sotto la chioma degli alberi. È il vero privilegio trascorrere ore tranquille osservando uno spazio verde. E’ il mio luogo ideale.
Note
[1] In copertina, Gary Cook, “Puddles in the lane”. Inchiostro, carboncino e acquarello su carta incorniciato con legno FSC, 870*690 mm, 2020. Collezione privata. Photo Credit: Cortesia dell’artista.
[2] Attraverso due monumentali scivoli, i visitatori affrontavano una discesa di 20 metri di altezza dal loggiato del secondo piano fino al cortile con una piantina tra le mani, oltre ad altre attività allestite in uno spazio laboratoriale nella Strozzina, collegato alla facciata del Palazzo.

Arianna Tinulla Milesi è artista, illustratrice multimediale e nasce a Bergamo prima della caduta del Muro di Berlino. Si laurea in Arte Bizantina alla Statale di Milano e successivamente in Arti Visive – illustrazione allo IED. Al centro della sua pratica c’è il disegno come forma mentis, un tramite e mai un fine. Collabora internazionalmente con spazi espositivi, gallerie e musei. Le interessano le interazioni, la memoria, il folklore e la devozione, la percezione della violenza e il concetto di limite. Dal 2024 collabora con l’Orto Botanico di Toscolano Maderno parte dell’Università di Milano, per promuovere il disegno sperimentale come approccio libero verso il mondo naturale e non.
Questo le ha fatto venire in mente che potesse essere una buona idea partire alla volta del Galles per partecipare alla Mawddach Residency e studiare le alghe, il suo terrore più grande. Arianna è membro del Council della Society of Graphic and Fine Art, l’organismo che si cura di promuovere l’arte del disegno dal 1919 nel Regno Unito e nel mondo. I suoi lavori sono esposti presso istituzioni artistiche in varie parti del mondo e non sempre vogliono tornare a casa. Ama Piero della Francesca e Paolo Uccello, la sua power couple preferita sono Raffaello e Pietro Bembo, la gamma di colori dal vermiglio al lampone, sulle labbra e nei vestiti, i capelli estremamente corti, Adrien Brody vestito da Salvador Dalì, accarezzare gli animali e cantare a squarciagola. Ha adottato un gatto di nome Pilade, ricama e si produce vestiti con alterna fortuna, legge Giada Biaggi e Hilary Mantel, ascolta Paolo Conte, PJ Harvey, Fred Buscaglione e prova a fare snorkeling nel lago di Garda. Tra i suoi appuntamenti per il 2025 ci sarà un percorso di ricerca come artista in residenza presso la School of Art & Design dell’Università di Nottingham Trent all’interno del progetto AA2A. Il suo motto è: “Adoro i piani ben riusciti” e “Ogne melù al g’ha la sò stagiù”.