Come la destra sta trasformando la mascolinità in obbedienza

Il titolo di questo articolo non è un’iperbole giornalistica. È la sintesi di un progetto politico e culturale che, dietro la facciata di una presunta difesa dei valori maschili, sta costruendo una generazione di uomini fragili, risentiti e, soprattutto, obbedienti. Un esercito di soldati perfetti per una guerra culturale al servizio del migliore offerente.

Fenomeni apparentemente slegati come la grind culture, che ci vuole perennemente “sul pezzo” fino al burnout, la gymbro culture, ossessionata da una fisicità dominante, e la manosfera, quella galassia online di misoginia e solitudine, non sono incidenti di percorso. Sono pilastri interconnessi di una fabbrica che mira a “semplificare” l’uomo, riducendolo a una serie di funzioni misurabili: produttività, forza fisica, performance sessuale. L’odio, in questo processo, non è un effetto collaterale, ma il motore: odio per la debolezza, la vulnerabilità, la complessità emotiva. In definitiva, odio per la propria stessa umanità.

L’obiettivo finale? Trasformare l’uomo in un soldato convinto di essere un libero pensatore, mentre ripete a pappagallo qualcosa sentito in un podcast o un canale youtube. Per usare un linguaggio etologica: un essere competitivo, gerarchico, guidato da istinti primari e bisognoso di un leader forte. Un cittadino ideale, insomma, per un regime illiberale.

La grind culture porta a una depersonalizzazione che ha impatti devastanti sulla psicologia dei giovani, in particolare di genere maschile

Il primo fronte di questo attacco all’uomo è culturale e si combatte su due campi apparentemente distinti ma sinergici: l’ufficio e la palestra. Entrambi promuovono un’identità maschile basata esclusivamente sulla performance, generando ansia, insicurezza e, infine, autodistruzione.

Partiamo da ciò che accade negli uffici. La hustle culture, o grind culture, è quell’ideologia che ha trasformato il super-lavoro in una virtù e l’esaurimento in uno status symbol. “Essere stravolti è chic”, diceva un noto imprenditore, e questa frase ha catturato perfettamente lo spirito del tempo. In questo sistema di pensiero, il valore di un uomo è misurato dalla sua produttività, dal suo fatturato, dai suoi traguardi di carriera. Il riposo è pigrizia, la pausa è debolezza.

Questa frase, spesso erroneamente attribuita a Bill Gates dalla rete, riassume perfettamente lo spirito della cosiddetta grind culture. Naturalmente, si tratta di una cazzata. Photo credit: Myschool.

Le conseguenze sono devastanti. Il burnout, definito dall’OMS come una vera e propria sindrome da stress cronico, è il risultato più diretto. Non è semplice stanchezza, ma un esaurimento emotivo e fisico che svuota tutto di ogni significato. A questo si aggiungono ansia, depressione e un logoramento sistematico della salute fisica, con un aumento del rischio di malattie cardiovascolari e un indebolimento del sistema immunitario.

L’uomo che impara a trattare se stesso come una macchina da ottimizzare è un uomo che ha già interiorizzato la logica dello sfruttamento. È un addestramento psicologico ad accettare un sistema che lo considera una risorsa, non una persona. Crede di lavorare per se stesso, per diventare ricco. Sta semplicemente scegliendo una servitù volontaria.

Se la grind culture attacca la mente, la gymbro culture si concentra invece sul corpo. Per una sua frangia estremista, la palestra non è più un luogo di benessere, ma un’arena dove inscenare una mascolinità iper-competitiva. In un mondo precario, dove il ruolo tradizionale dell’uomo come “fornitore” di risorse per la sua famiglia è in crisi, quello del “protettore”, simboleggiato da un fisico iper-muscoloso, diventa un baluardo identitario.

Liver King, uno dei principali influencer che promuovevano stili di vita alternativi basati su pseudo scienza e che è stato smascherato invece come utilizzatore di steroidi. Photo credit: ABC News.

Questa ossessione alimenta disturbi psicologici come la dismorfia muscolare (o bigoressia), ovvero la preoccupazione cronica di non essere mai abbastanza grossi. Dietro la corazza di muscoli si nasconde spesso una profonda insicurezza. E quando la natura non basta, si ricorre alla chimica. L’abuso di steroidi anabolizzanti è la logica conseguenza di questa pressione: una guerra chimica contro il proprio corpo per raggiungere un ideale irrealistico. Ipertensione, danni al fegato, infertilità, atrofia testicolare e gravi disturbi psichiatrici come la “rabbia da steroidi” sono il prezzo da pagare. Più tutta una serie di altri problemi di salute basati su diete assurde promosse come cure miracolose per aumentare livelli di testosterone, unite a consumo di alimenti non sicuri (non bevete latte crudo, fidatevi).

Questa immagine artificiosa della virilità si sgretola di fronte alla fredda realtà clinica. L’uomo-macchina produttivo diventa così anche l’uomo-corpo performante, perennemente insicuro e ossessionato da indicatori di status esterni, alla continua ricerca di validazione. E chi può validarti meglio di una leadership autoritaria?

Andrew Tate rappresenta quasi ogni elemento del discorso fatto finora. Fino alle degenerazioni complottiste. Photo credit: AP News.

Se la società della performance crea uomini insicuri, la manosfera offre loro un colpevole. Questa rete di comunità online, si parte da forum come Reddit e 4chan fino ai siti Internet ed ai profili social gestiti da influencer come Andrew Tate, fornisce un’impalcatura ideologica per dare un senso al disagio maschile, incanalandolo verso il risentimento e la misoginia.

Il concetto chiave è quello della “pillola rossa” (redpill), una metafora presa dal film Matrix. “Risvegliarsi” (come, per l’appunto, sceglie di fare il protagonista del film tramite l’assunzione di una pillola rossa) significherebbe comprendere la “vera” natura della realtà, ovvero quella di una società dominata da un’ideologia femminista che opprime sistematicamente gli uomini. Da qui, si diramano teorie pseudo-scientifiche come quella dell’ipergamia (le donne cercherebbero solo partner di status superiore) e la classificazione degli uomini in “alfa” (dominanti) e “beta” (sottomessi). Tutto condito con una spruzzata di Jordan Peterson, che pur nella sua irrilevanza intellettuale fornisce un alibi accademico al fenomeno.

Forse avete colto il messaggio sbagliato. Matrix in fondo era un bel film… Photo credit: Warner Bros

Una volta stabilita la premessa di una società ostile, il passo successivo è costruire un nemico con il quale identificare questa ostilità. L’antifemminismo viscerale, la denuncia di una presunta “misandria” dilagante o la lotta contro un fantomatico “sessismo al contrario” non sono analisi sociali, ma armi narrative. Il loro scopo è tattico: ribaltare la realtà, trasformando il privilegio in vittimismo. In questa narrazione distorta, l’uomo non è più parte di un gruppo storicamente dominante, ma di una minoranza assediata, perseguitata da un’onnipotente cospirazione femminista che controlla media, università e tribunali.

Questa è la classica sindrome d’accerchiamento, frutto di una tecnica di propaganda vecchia come il mondo. Un gruppo che si percepisce sotto assedio è più coeso, più aggressivo e disperatamente bisognoso di un leader che lo difenda. La creazione di un nemico immaginario (la femminista castratrice, il sistema “ginecocentrico”) è essenziale per militarizzare il proprio pubblico. Non si cerca il dialogo o la soluzione dei problemi, ma la mobilitazione di “soldati” per una guerra culturale.

Potrebbe non essere un caso, ad esempio, che la nostra che Giorgia Meloni, nella sua azione amministrativa, implementi azioni para-eversive che vengono sistematicamente smontate da tutti gli organi di competenza, che siano corte di Cassazione, Consulta o Corte Europea. Ogni bocciatura serve a puntare il dito contro un nuovo nemico, ogni critica è raccontata come figlia di un complotto, non della propria incompetenza. Si affida la comunicazione con l’elettorato solo a video dichiarazioni unilaterali evitando come la peste le conferenze stampa (andando a memoria l’ultima dovrebbe essere stata a fine gennaio di quest’anno) perché lì c’è il rischio che ti facciano domande. E la popolarità di FDI nonostante l’azione politica fallimentare è una dimostrazione chiara di come questa strategia paghi.

Il risentimento per un assedio solo percepito diventa un’identità politica e un progetto di lotta.

Le community coinvolte agiscono come potenti camere dell’eco. Uomini vulnerabili, spesso afflitti da solitudine e fobia sociale, trovano un gruppo che non li aiuta a risolvere i loro problemi, ma offre loro una spiegazione semplice e deresponsabilizzante: la colpa dei loro problemi (anche quando questa colpa non c’è) non è il risultato delle loro azioni o di meccanismi sociali complessi, ma delle donne e del femminismo. È un meccanismo tipico delle sette: fornisce una comunità basata sull’odio condiviso, sull’identità e sull’esistenza di un nemico (reale o meno) ben riconoscibile. Questo percorso di radicalizzazione, purtroppo, ha già avuto conseguenze tragiche nel mondo reale, con attentati motivati da un odio misogino come quelli di Elliot Rodger e Alek Minassian.

Arriviamo così al cuore del problema. La creazione di uomini insicuri, performanti e risentiti non è solo frutto di un caso, ma è qualcosa di organico a un progetto politico funzionale all’ascesa dell’autoritarismo. Un uomo complesso, critico verso se stesso e verso il potere, empatico e consapevole delle proprie fragilità, è un pessimo soldato. Un uomo “semplificato” è il cittadino perfetto per un regime.

Il mito del “maschio alfa”, leader aggressivo e dominante, è il pilastro di questa visione del mondo. Peccato che sia basato su di un errore scientifico. Il concetto nacque dall’osservazione di lupi in cattività, in un ambiente stressante e artificiale. In natura, i branchi di lupi sono semplicemente famiglie. Lo stesso scienziato che rese popolare il termine, L. David Mech, ha passato decenni a cercare di smentirlo. Detto questo, gli uomini comunque non sono dei canidi. Anche tra i primati, però, come ha dimostrato Frans de Waal, il leader non è il più forte, ma spesso il più abile politicamente, capace di creare alleanze e mostrare empatia. Una delle poche specie in natura in cui si riscontrano i comportamenti “alpha” che vengono predicati dai bro-poccast e altra gente simile sono, non scherzo, i babbuini. E non è proprio un paragone propriamente lusinghiero.

Quella del “maschio alfa” è quindi una fantasia usata per giustificare un’idea: che le gerarchie sociali siano “naturali” e immutabili. È un modo per mascherare strutture di potere create ad arte come fossero la “legge della giungla”. Svelare questo mito è un atto politico fondamentale.

Mi hanno buttato in mezzo ai lupi e ne sono uscito con 50 punti di sutura.

Si parla molto di una “epidemia di solitudine maschile”. La manosfera dà la colpa di ciò al femminismo. La realtà è l’opposto: la solitudine maschile è un prodotto diretto della mascolinità tossica stessa. L’addestramento a reprimere le emozioni, a rifiutare la vulnerabilità e a vedere gli altri uomini come rivali crea un sistematico “analfabetismo emotivo” che impedisce connessioni autentiche, in particolare relazioni romantiche. Un individuo isolato è psicologicamente più debole, più suggestionabile e più facilmente preda della propaganda. La solitudine, quindi, non è un problema che la destra reazionaria vuole risolvere, ma una condizione che ha tutto l’interesse a coltivare per reclutare seguaci.

Lo aveva capito già Steve Bannon nel 2005, quando reclutò Milo Yiannopoulos per seguire  l’outlet conservatore Breitbart News e 9 anni dopo avvenne quel colossale esperimento sociale noto come Gamergate. Dove centinaia di migliaia di questi ragazzi socialmente isolati vennero militarizzati in una campagna d’odio mai vista prima. Il mondo dei gamer maschi, bianchi e soli era solo la punta dell’iceberg.

Zoe Quinn, la sviluppatrice di videogiochi al centro della controversia Gamergate. Fotografia: Samuel Kirby

Bannon era allora lo spin doctor di Donald Trump, e non è una coincidenza; in periodi di crisi ed incertezza, la figura dell’ “uomo forte” al comando acquista fascino. Come ha dimostrato la storica Ruth Ben-Ghiat, gli autocrati usano sistematicamente la performance di una virilità tossica come strumento di governo. Hanno bisogno di un elettorato con un elevato “bisogno di chiusura cognitiva”: il desiderio di risposte semplici, definitive e prive di ambiguità.

Le sottoculture che abbiamo analizzato sono palestre perfette per questo. Insegnano a pensare in termini binari: successo/fallimento, forte/debole, alfa/beta, noi/loro. Producono un cittadino emotivamente immaturo, affascinato dalle gerarchie e avverso alla complessità. In altre parole, producono il seguace ideale per un leader autoritario. La distruzione della salute mentale maschile diventa così funzionale alla distruzione della salute democratica. Negli USA, Trump ci sta scrivendo sotto gli occhi un manuale sull’argomento e il suo legame, specie durante il periodo elettorale, con la galassia dei podcast vicini al suprematismo bianco e con personaggi come Tate è un canovaccio fin troppo facile da identificare.

Ruth Ben-Ghiat, docente di storia ed italianistica presso la New York University ed una delle massime esperte mondiali di movimenti neofascisti. Photo credit: Michigan Advance

Aldous Huxley scrisse che uno stato totalitario veramente efficiente sarebbe quello abitato da schiavi che non devono essere costretti ad esserlo, perché amano la loro servitù. Se si volesse creare una propaganda specificamente pensata per far sì che i giovani amino servire la struttura di potere odierna, l’intera ideologia della “manosfera”, dell'”hustler”, del “grindset” (“sacrificati volontariamente sull’altare del capitalismo consumistico”, “schiavizzati per ottenere quel malloppo”) sarebbe un’invenzione perfetta.

La rete di ideologie che abbiamo analizzato opera a questo scopo: creare schiavi che amino la propria servitù.

Non è necessariamente una azione coordinata come quella che fu di Bannon, Yiannopoulos, insieme in seguito ad altre figure note molto in USA come Charlie Kirk e Nick Fuentes. È un processo organico, che serve anche quella marea di guru il cui unico reddito è la vendita di “corsi per il successo” (negli affari, nel trading, nell’ecommerce, con le donne, ecc) per fidelizzare uomini psicologicamente vulnerabili.

“Ti insegno a diventare dicco perché così le donne smetteranno di evitarti”, “Ti mostro come essere vincente”, “Trasformerò la tua vita cambiando il tuo mindset”, “Devi solo comprare il mio corso”.

Questi non sono slogan che attraggono persone emotivamente mature e/o intellettualmente formate.

Attraggono gli uomini che hanno bisogno compensare, che necessitano di un’aura di ribellione (“tu contro il mondo”, “fuggi da Matrix”, “fotti il sistema e vivi senza lavorare”), ma la pratica che promuove è di completa e totale obbedienza: sacrificati alla macchina del capitalismo, segui un set di regole, annulla te stesso per lo status e il potere, taglia fuori le persone negative (che spesso diventano la stessa famiglia). È la crescita fine a se stessa, l’ideologia di una cellula tumorale. Parlano di pillola rossa ma quella che prendono realmente è la pillola blu.

“Se c’è un personaggio nel film [Matrix] la cui priorità è la ricchezza, lo status e l’auto-esaltazione, è Cypher, il traditore. È lui che baratta la libertà per il comfort. Se c’è una mascotte che si allinea con l’ideologia della manosfera, è proprio lui: l’uomo per cui ‘l’ignoranza è beatitudine’.”

La vera sfida per gli uomini oggi non è riprendersi un potere anacronistico, ma liberarsi dalle sue catene conformizzanti. Significa rifiutare il modello di Cypher, disposto a servire il sistema per i soldi e un benessere simulato, e riscoprire la forza non nel dominio e nell’ignoranza, ma nella complessità, nell’empatia e nella connessione con la comunità.

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Photo credit: Warner Bros.

Mi sembra folle nel 2025 dover ribadire che la vera forza non è regredire a un modello primitivo e semplificato, ma abbracciare la propria sfaccettata, contraddittoria e vulnerabile umanità. Ma evidentemente in queste fasi finali del capitalismo, in cui per mantenere il proprio privilegio le classi dominanti finanziano guerre culturali tra poveri, ci troviamo costretti a dover ribadire cose più o meno ovvie e provare a mettere insieme i punti in questo complesso universo di propagande conservatrici.

Ma la scelta è tra l’obbedienza e la libertà. E se siete arrivati alla fine di questo pezzo forse avete capito che la prima ci stanno vendendo la prima in una maniera molto efficace. Una volta smascherata l’illusione, però, la libertà vera diventa più semplice da inseguire. Oppure potrete continuare a fare gli interessi dei padroni quando spendono milioni per finanziare la propaganda che vi convince le femministe vogliano mettervi il guinzaglio.

Storicamente però l’obbedienza alle élite, per noialtri, non è mai finita benissimo.

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