“Ma poi decida Lei cosa fare; alla fin fine questa gravidanza è la sua,” mi disse il medico dopo avermi spiegato tutte le opzioni disponibili per i test genetici, sempre fissando negli occhi…mio marito!
Già. Non fraintendetemi. Mio marito è fantastico. Stiamo parlando di un uomo che mi porta la colazione a letto ogni mattina, da quando dormo male grazie al mio pancione da Prenatal. Però non è lui la persona al cui interno un nuovo corpo sta cercando letteralmente di crescere. E no…non sto parlando dei colleghi di Sigurney Weaver nel classico Alien di Ridley Scott. Sto parlando di me stessa perchè…ebbene sì…SONO INCINTA!
Ci sono molti motivi per cui non trovo utile il discorso intorno alla “lived experience”, che oramai è egemonico negli ambienti della “sinistra” americana. Non aver vissuto una cosa sulla propria pelle non vuol dire necessariamente che tu non la possa capire, e certamente non vuol dire che tu non possa esprimere solidarietà sincera con chi l’ha vissuta. Però la gravidanza, ne sono convinta, molte persone proprio non la vogliono capire. Se così non fosse, non si spiegherebbe da dove esca un’espressione del tutto assurda come “dolce attesa”. Stiamo infatti parlando di una tipica espressione del cazzo, sia nel senso dispregiativo del termine che in quello pù letterale che chi l’ha inventata era sicuramente fornito di un cazzo invece che di un utero.
Gli aggettivi che potrebbero descrivere il senso di attesa legato alla gravidanza non mancano di certo. Sorprendente. Emozionante. Nauseante. Straziante. Terrificante. Et cetera, et cetera, et cetera. Ma perchè proprio “dolce”? Che assurda favola patriarcale! Il concetto di “dolce attesa” è ben presente anche qui in America, così come l’idea che una donna incinta ha sempre un colorito un po’ più acceso, una certa luce negli occhi, una nuova gentilezza nel cuore, e tante altre stronzate family friendly da mammina pancina. Questi concetti non li ho sentiti esprimere solamente dal Ned Flanders di turno, ma anche anche da tante madri. Quelle che, anni dopo il parto, si fanno prendere dalla nostalgia e dagli stravizi della propria memoria (molto!) selettiva.
Se vogliamo parlare di gravidanza in modo realistico, prima di tutto c’è l’ovvio. I sintomi fisici. Delle nausee lo sappiamo tutti, ed è vero che c’è chi non non ne ha affatto e chi invece se ne sta attaccata al gabinetto per nove mesi filati. Ma perché persiste quest’idea della nausea “mattutina” che ti viene quando ti alzi e poi va via e ti lascia stare in santa pace per il resto della giornata? Questa cosa non esiste! Se sei incinta, la nausea può sorprenderti ovunque: mentre lavori, mentre parli al telefono, e soprattutto quando stai per mangiare il tuo piatto preferito che all’improvviso ti fa uno schifo tale da non poterlo più nemmeno guardare per un anno intero senza sentire gli spasmi del vomito.
E poi ci sono mille altri sintomi che non ti passano nemmeno per la testa prima di provarli per la prima volta. Non sono cose che capitano necessariamente a tutte, ma vi assicuro che sono tutte cose vere. Ad un certo punto niente nel tuo corpo sta più come o dove deve stare: lo stomaco, i muscoli, i polmoni, la pelle, i piedi. Una volta mi è persino capitato di spezzarmi un dente per poi sentirmi dire dal dentista: “Eh già, purtroppo questa cosa succede spesso a chi è in dolce attesa.” In DOLCE ATTESA?!? Fuck you, man.
Capita poi che, proprio mentre ti capitano tutte queste cose inaspettate, tutti e tutte all’improvviso pensano di saperne più di te e più del tuo medico in fatto di gravidanze. Tutt* Sanno cosa devi o non devi fare, cosa devi o non devi mangiare o bere. Certe cose sono ovvie: non si devono bere alcolici, non si deve mangiare sushi, etc. Ma io credo che se una digitasse sulla barra di Google “posso mangiare X durante la gravidanza?” (dove l’incognita X rappresenta qualsiasi cosa, ma veramente qualsiasi cosa, inclusa la verdura fresca) sicuramente potrebbe trovare qualche blog che le dica di non farlo per il grave pericolo di causare chi sa quali fantomatici danni al nascituro.
Devo dire che forse sono più consapevole rispetto alla persona media dei pericoli veri che esistono in gravidanza. Anche perché questa non è la mia prima gravidanza, e la mia prima gravidanza non è affatto finita bene. Eppure la mia esperienza non è del tutto insolita. Anzi, è una cosa molto più comune di quanto si pensi. Probabilmente anche voi conoscete diverse persone a cui è successo, ma che di solito non possiedono un vocabolario adeguato per parlarne in pubblico. Non dico che la lingua italiana o quella inglese ammanchino di parole, ma che che le regole implicite della nostra società spesso ci spingano a rifiutare di elaborare questo tipo di lutto molto comune.
Così quando una nostra gravidanza non va a segno ci sentiamo in colpa, e magari ricordiamo con rimpianto quelle persone che ci avevano detto di non andare in palestra o di non mangiare i funghi. La verità però è che con ogni probabilità i funghi, le palestre, e quel bicchiere di vino in più che abbiamo bevuto prima di essere incinte non c’entravano nulla con la nostra gravidanza. Queste disgrazie accadono perchè viviamo tutte in dei corpi imperfetti che possono fallire in mille modi inaspettati. E quindi nella “dolce attesa” non siamo solo assalite da fastidi biologici, da scomodità quotidiane e da sapientoni che vogliono dirci come vivere, ma anche dalla paura legittima dei difetti naturali di un corpo che non sempre sa come evitare di tradirci.
Tutto questo è vero a maggior ragione in un paese come il mio, gli Stati Uniti d’America, in cui non ti è garantita né la cura medica necessaria per una gravidanza sana, né il congedo di maternità pagato, né, (a seconda dello Stato in cui vivi) il diritto di scegliere se continuare una gravidanza o meno (un diritto negato anche a molte italiane, purtroppo, sempre a secondo del luogo specifico in cui esse vivono). Io ho la fortuna di avere l’assicurazione sanitaria ed un lavoro che mi offre un congedo, ma c’è chi si trova costretta a farne a meno in qualche modo. E anch’io, che l’assicurazione ce l’ho, sto mettendo da parte dei soldi. Perché in media una donna americana assicurata deve ancora pagare circa $4.500 per il proprio parto. Il problema è tale che anche i siti ed i blog più popolari per i genitori in attesa offrono consigli medicalmente discutibili come, per esempio, “Don’t stay too long at the hospital” (“Non rimanere troppo tempo in ospedale”), mantenendo sempre un occhio attento al portafogli.
Questi stessi siti Internet spesso consigliano ai nuovi genitori di mettere soldi da parte per compensare per i mesi di stipendio persi. Questo perchè la disponibilità ad offrire congedo di maternità (e, per dirla tutta, anche quello di paternità) dipende completamente dal datore di lavoro, e non esiste nessuna legge al livello nazionale che obblighi le aziende ad offrirlo. Il presidente Biden durante la campagna elettorale ha promesso ai genitori americani questo lusso, che qui da noi odora tanto di Europa. Si parlava di 12 settimane di congedo pagato per tutte le neo-madri d’America. Sembra però purtroppo che questa promessa elettorale non si realizzerà, non solo grazie ai Repubblicani che non l’hanno mai sostenuta, ma anche per via dell’ala “moderata” del Partito Democratico che si è rifiutata di appoggiarla in Senato.
I deputati che si sono opposti a questa misura ne citano il costo secondo loro troppo alto; una preoccupazione che certo non avevano quando due settimane fa il Senato americano ha approvato un’ulteriore stanziamento di $768 miliardi per le forze armate. Ogni volta che un nuovo cittadino Americano nasce, spesso una madre senza congedo deve quindi tornare subito a lavorare. E quindi questa madre deve pensare immediatamente a parcheggiare il proprio bambino in qualche asilo nido, un “lusso” che può costare fino ad ulteriori mille dollari al mese in base alla città ed allo stato di residenza. Provate a riflettere su questo genere di cose quando risentirete Born in the USA del buon vecchio Bruce Springsteen. Lasciate perdere il ritmo per una volta e, se avete qualche dimistichezza con l’Inglese, questa volta prestate bene attenzione alle lyrics.
In conclusione, diventa molto più facile spiegare con tono superiore che una donna “in dolce attesa” non deve mangiare il prosciutto che lottare per un mondo in cui ognuna possa consultare con un medico, stare qualche mese a casa con il neonato o scegliere quando e come diventare madre. È fin troppo facile celebrare e santificare le madri ed i sacrifici materni, ed è assolutamente troppo difficile cambiare un sistema economico che troppo spesso lascia chi aspetta un bambino senza appoggi e senza opzioni.
Ed allora non ci resta che attendere. L’attesa forse non sarà dolce, ma noi attendiamo.
Nata in Ohio e vissuta in passato a Bologna e a Genova, Mary Migliozzi attualmente vive vicino a Philadelphia, dove lavora nell’ambito dei programmi internazionali universitari. Per oltre 15 anni ha insegnato e ha fatto ricerca accademica in Italian Studies, concentrandosi sulla letteratura dialettale italiana e sulla musica pop e cantautoriale del Bel Paese. È un’appassionata di romanzi gialli inglesi, romanzi russi troppo lunghi per essere letti tutti d’un fiato, e del Festival di Sanremo.