Il 7 Dicembre scorso faceva molto freddo a Torretta Antonacci, in provincia di Foggia.
Un semplice fastidio per molti ed un vero e proprio dramma per i tanti, troppi, braccianti che in quel territorio vivono in semplici tuguri privi di riscaldamento come in un tragico presepe postmoderno. Quando sei braccianti hanno provato a difendersi dal gelo con mezzi improvvisati, qualcosa è andato storto. Come mostra questo video, i sei sono finiti intossicati dal monossido di carbonio. Tre di loro hanno dovuto essere trasportanti d’urgenza presso gli Ospedali riuniti di Foggia. La loro vita in bilico per futili motivi.
Tre giorni dopo, il 10 dicembre, il Capo Dipartimento Immigrazione del Viminale Michele Di Bari si dimette perché sua moglie, Rosalba Bisceglia, è indagata per caporalato insieme ad altre sedici persone, cinque delle quali sono state arrestate. Secondo gli inquirenti, la moglie del capo dipartimento sarebbe socia amministratrice di una delle dieci aziende agricole foggiane accusate di aver sfruttato manodopera procurata illegalmente dai caporali. Lo stesso tipo di aziende per le quali lavoravano i sei braccianti intossicati dal monossido di carbonio, tanto per essere chiari.
Ad essere stati sfruttati sarebbero infatti circa duemila braccianti extracomunitari che vivono nell’insediamento di Borgo Mezzanone, sempre in provincia di Foggia. Stando a quanto dice l’inchiesta, ci sarebbero due ragazzi che fungevano da intermediari, quindi da caporali, tra gli imprenditori agricoli ed i braccianti. Questi ultimi venivano costretti a vivere in condizioni degne dell’Alabama di fine Ottocento. Come se ciò non bastasse, questi lavoratori invisibili venivano retribuiti a cottimo (5 euro per ogni cassa di pomodori piena) e costretti a lavorare nei campi anche più di 13 ore al giorno. A denunciare l’accaduto è stato il sindacalista (prima in USB e poi in Lega Braccianti) Aboubakar Soumahoro, da sempre in prima linea nel combattere il caporalato da parte della grande industria agroalimentare e di tutto il sistema politico-migratorio del cosiddetto “Bel” Paese.
Sulla scia di questa notizia, alla quale l’opinione pubblica pugliese e nazionale ha per lo più risposto con il solito silenzio assordante, Aboubakar ha indetto una protesta nel campo di Torretta Antonacci per chiedere al Presidente della Regione Puglia di porre fine all’Apartheid che di fatto queste persone sono costrette a subire quotidianamente. In particolare, il coro della protesta incitava alla libertà, al non voler più essere gestiti dalla Federazione delle Misericordie di Puglia a cui, con l’atto dirigenziale n°82 del 22/06/2020, sono state “appaltate le vite dei braccianti di Torretta Antonacci.”
Secondo questo atto alla Misericordia, vengono elargiti 50.000€ di fondi pubblici ogni sei mesi. Il problema però è che i migranti in questione non capiscono come vengono spesi questi soldi, considerando sia le loro condizioni abitative sia il fatto che quel poco che hanno nelle loro case-container se lo sono comprati da soli.
Per tutta risposta, dopo diversi giorni di protesta, una rappresentante della Misericordia presente a Torretta Antonacci ha deciso di, come si dice qui da noi in Puglia, scoppiare un nervo agli abitanti e lavoratori del posto mostrando loro il dito medio. Ironicamente, questa brutta uscita (riportata a sua volta dai canali social di Aboubakar) ha creato molto più scalpore mediatico di quello generato dal video del 7 dicembre sui sei braccianti intossicati.
Questo atto vile e deplorevole ha ovviamente portato il presidente della Federazione Nazionale Misericordia a chiedere pubblicamente scusa per il gesto compiuto dalla signora. Ciò che ancora manca però è una presa di posizione reale per tutto ciò che manca a queste persone da cui invece tutto si pretende. Quasi che fossimo noi (se proprio ci piace utilizzare dei pronomi) a fare un favore a loro nel dargli una specie di luogo in cui vivere e morire, quando invece sono loro a farci più di un favore.
Il più importante di questi “favori” è quello di sostituire la forza lavoro che con il boom economico è venuta a mancare nei campi e di conseguenza permettere al circuito economico agro-alimentare (vero e proprio volano dell’economia italiana) di mantenersi in piedi. Un altro favore non meno importante riguarda le pensioni che queste persone con il loro lavoro pagano agli italiani che non li vogliono “a casa loro.” Si, perché da quando ci hanno fatto scoprire i sogni, noi giovani italiani non riusciamo ad aspirare ad un lavoro da fare al freddo polare o al caldo tropicale, per di più sfruttati e sottopagati. Molto meglio farle fare ad altri queste brutte cose, n’est pas?
Bisognerebbe ringraziare gente come Aboubakar perché è solo grazie ad attivisti e sindacalisti “di frontiera” come lui che qualcuno si interessa dei problemi di questa gente, dei quali altrimenti nessuno avrebbe saputo nulla. E questo ringraziamento dovrebbe soprattutto arrivare dai tanti, troppi, braccianti bianchi e di nazionalità italiana che pure vengono ancora sfruttati nelle nostre campagne, perché le condizioni di lavoro che essi affrontano non sono certamente migliori di quelle dei loro colleghi extra-europei. I caporali, purtroppo, sono caporali ovunque ed in fondo sono anche meno razzisti di quello che si pensi. Dovunque c’è da sfruttare e disumanizzare, li si trova sempre in prima linea.
Il punto è che nei campi, con queste condizioni climatiche e lavorative, si muore.
Noi lo sappiamo bene. E lo sanno molto bene anche tutti quelli che in questi ultimi anni nelle campagne pugliesi ci hanno lasciato la pelle (di qualunque colore essa fosse).
Proprio per arginare tutta questa morte, il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha recentemente emesso un provvedimento secondo il quale non si può lavorare nei campi dalle 12:00 alle 14:00 del pomeriggio. Quanto ci ha fatto ridere questo provvedimento neanche potete immaginarlo. Una giornata lavorativa d’estate nei campi comincia alle 5:30 del mattino e finisce alle 12:00. Giusto il tempo di tornare tutti a casa, lavarsi per togliersi di dosso il sudore e la puzza dei veleni, pranzare con gli occhi chiusi e le mascelle stanche, e correre per prendere il pulmino delle 14 perché alle 15:00 comincia l’altra mezza giornata di lavoro. Quella che finisce alle 19:00.
Dopo la protesta di Torretta Antonacci le cose non sono migliorate, anzi, sembra che il sindacato Lega Braccianti sia stato ulteriormente attaccato.
La Puglia (e, per dirla tutta, anche il resto d’Italia) in fondo ha capito che può essere terra di approdo, di accoglienza, ma soprattutto che di queste persone ha bisogno per mandare avanti la propria economia, anche perché nessuno di noi ha voglia di rimanere qui per continuare a respirare quest’aura di schiavismo. Un modus operandi che puzza di latifondismo storico e che il nostro paese in fondo si porta dietro da millenni.
Fortunatamente, ai sei uomini di Torretta Antonacci è andata bene: sono finora sopravvissuti a questa sorta di neo-schiavitù, e persino al monossido di carbonio. Ma se le cose fossero andate diversamente, non sarebbe certo stata la prima volta. Il lavoro non tutelato, le pessime condizioni di vita, il diniego di risorse fondamentali come il riscaldamento e l’acqua potabile in casa sono solamente alcuni degli elementi della costante lotta di classe che vede queste cosiddette “risorse” in prima linea da sempre.
Ebbene sì, avete letto bene. Ho parlato di “lotta di classe”, un termine che gli eterni radicalchic della sinitra italiana hanno nascosto in cantina da alcuni decenni, ma che rimane di sconcertante attualità fin dall’alba dei tempi – ed oggi più che mai. Una lotta di classe che in un modo o nell’altro andrà risolta; senza scorciatoie. Ed ecco perché un contratto semestrale/stagionale – a differenza di ciò che pensa la Bellanova – non è e non può assolutamente essere considerato “una conquista”.

Tarantina per nascita, sociologa per scelta, classe 1992. Attiva da anni nell’ambito associazionistico e nel settore accademico, ho da sempre un occhio di riguardo per la mia sopravvivenza materiale. Ho lavorato in campagna e nei ristoranti, ed ho fatto l’educatrice in bicicletta. Tutto ciò solo per raggiungere il mio scopo primordiale: vivere di comunicazione. Mi piacciono i social, che studio e pratico. Nutro anche una (in)sana passione per la fotografia ed il disegno, che cerco testardamente di ibridare al mio lavoro ogni volta che posso. Quando ero piccola, mi sono costruita la casa di Hamtaro da sola con una scatola da scarpe. Ma poi mia madre me l’ha buttata via.