Elon Musk ha comprato Twitter per ben 44 miliardi di dollari nel maggio 2022, mettendo a segno un nuovo record. Prima di allora, infatti, non si era mai registrato un investimento così cospicuo nel settore delle piattaforme digitali. A dirla tutta, però, l’operazione finanziaria che ha visto impegnati l’imprenditore ed ereditiere sudafricano ed i precedenti amministratori del colosso social non è stata affatto semplice nè priva di malumori, passi falsi e clamorosi colpi di scena.
L’accordo dello scorso maggio è stato infatti finalizzato ufficialmente solo nello scorso ottobre. Nei mesi precedenti, Musk aveva provato a rinegoziare l’acquisizione di Twitter per “soli” 31 miliardi di dollari, fallendo però miseramente. Come racconta Wired, inoltre, il rich boy più famoso del mondo aveva chiesto a Twitter di poter avere tutte le informazioni necessarie per poter verificare che gli account fake presenti sulla piattaforma digitale fossero effettivamente corrispondenti a non più del 5% durante la trattativa di maggio. Twitter non ha però ceduto su questo punto.
Ne è seguito un tira e molla che stava per concludersi con un procedimento giudiziario. Twitter ha denunciato Musk per non aver rispettato i patti. Musk ha sporto una contro-denuncia, ed i due avrebbero dovuto trovarsi in aula lo scorso 17 ottobre. Due settimane prima di questo scontro finale, però, i legali di Musk hanno finalmente confermato che l’imprenditore avrebbe accettato di acquisire la piattaforma a prezzo pieno (i famosi 44 miliardi di dollari), a condizione però che tutte le magagne legali relative alla trattativa fossero state messe da parte. Per dimostrare la sua totale affidabilità, Musk ha all’epoca anche postato pubblicamente un tweet al riguardo della sua imminente acquisizione di Twitter, confermando di fatto questa sua ritirata strategica.
Il problema di fondo di questa operazione non è stato tanto quello che Elon Musk abbia commesso errori colossali nell’ambito della trattativa che lo ha portato a diventare il proprietario di una delle piattaforme social più influenti del mondo. Il vero problema è che, a seguito della trattativa stessa, il magnate abbia commesso una serie di passi falsi ancora più colossali nella gestione di Twitter. In questo modo, ha finito per trasformare la più grande operazione imprenditoriale della sua vita in qualcosa che lo sta progressivamente coprendo di ridicolo, affossando sia la sua reputazione personale che la sua fortuna finanziaria.
A scapito di quelli che hanno sempre visto in Musk un imprenditore machiavellico e rivoluzionario, se non un mezzo genio alla Tony Stark, egli ha finora gestito Twitter in modo talmente folle e scriteriato che è finito per darsi la zappa sui piedi toût seule. La sua gestione del colosso social è stata finora talmente disastrosa da aver trascinato con sè persino le altre aziende possedute dall’imprenditore. Dopo un solo mese dall’ acquisizione di Twitter, infatti, le azioni di Tesla (ovvero l’azienda che rappresenta il biglietto da visita imprenditoriale di Musk, nonché il motivo per il quale egli è diventato una della persone più ricche del pianeta – oltre che una delle più fanfarone), avevano già perso ben 6 punti percentuali sul mercato borsistico internazionale. A conti fatti, un altro record.
Beh, sì. Se pensiamo alla quantità monumentale di soldi che sono andati bruciati per via degli errori di Musk, un po’ scappa da ridere ed un po’ viene da piangere. Ma quali sono stati questi errori che hanno mandato a ramengo l’operazione finanziaria più chiacchierata degli ultimi venti anni?
Cominciamo dalla perniciosa questione dalle spunte blu a pagamento. In base alle decisioni prese da Musk, gli utenti di Twitter avrebbero potuto comprare l’ufficialità della propria identità sul social in cambio di 8 euro. L’idea di fondo è che chi ha un account su Twitter avrebbe potuto pagare la piattaforma per ottenere da essa una certificazione che attesti il fatto di essere una persona reale, identificabile da uno specifico nome e cognome.
Il problema è che le aziende private non possono “ufficializzare” l’identità della gente in senso legale, e che comunque nessuna persona al mondo in possesso di una banalissima carta d’identità ha davvero bisogno di questo servizio.
La lampante assurdità di questo nuovo servizio ha fatto così tanto ridere gli utenti dell’uccellino blu, che molti di essi hanno fin da subito iniziato a darsela a gambe per rifugiarsi sotto il pancione del mammut di Mastodon. Questi è un’altra piattaforma social che funziona esattamente come Twitter, con l’unica differenza di essere open source, nel senso che i nodi della rete sulla quale si appoggia hanno indipendenza esecuzionale, ciascuna con le proprie regole e termini di servizio.
La debacle imprenditoriale di Musk non è però solo una brutta storia di spunte blu, idee stupide ed identità a pagamento. Allo scopo di limitare le spese gestionali di Twitter, Musk ha anche già licenziato il 50% del personale che lavorava in azienda prima del suo arrivo, a cominciare da tutti i membri del precedente consiglio di amministrazione. In base alle dichiarazioni pubbliche dell’imprenditore, pare che l’obiettivo dichiarato sia quello di licenziare fino al 75% degli attuali dipendenti di Twitter, per far sì che questa azienda possa generare gli stessi margini di profitto di Meta e Snap non tanto grazie ad un aumento dei guadagni, ma a un drastico ridimensionamento delle spese di gestione.
Insomma, la gestione di Twitter da parte di Musk sembrerebbe non essere solo un flop totale sul piano della sicurezza, della privacy e dell’affidabilità delle notizie circolate e fruite dagli utenti della piattaforma, ma soprattutto su quello della gestione dell’immagine pubblica di imprenditore eccentrico, ma efficace, che Elon era riuscito a costruirsi nel corso degli anni. E la lesione della brand image di un personaggio come Musk non si risolve solo in termini di dignità come per gli altri “comuni mortali”. Perdere la dignità per Musk la fiducia dei propri azionisti, è quindi perdere soldi. Una montagna di soldi. Il che è appunto quello che è successo quando Tesla è precipitata in borsa.
Ma Elon Musk rimane, nel bene o nel male, un uomo dalle mille risorse, e per dimostrare ancora una volta la sua (molto, fin troppo presupposta) grandezza e farci dimenticare il pasticciaccio brutto che ha combinato con Twitter, ha già deciso di puntare fin dall’inizio del 2023 su due nuovi cavalli di battaglia firmati OpenAI: DALL-E e CHAT GPT.
OpenAI, DALL-E e CHAT GPT non sono parolacce, nè i principi attivi dello shampoo che Musk utilizza per mantenere la sua folta chioma in ordine. Sono invece tre parole chiave per identificare l’argomento dell’intelligenza artificiale. “OpenAI” è infatti il nome della società privata (che vede proprio Elon Musk fra i suoi fondatori) da cui nasce un modello di intelligenza artificiale conosciuto anche come machine learning.
“DALL-E” e “CHAT GPT” sono invece due software che funzionano grazie a questo modello di intelligenza artificiale e che sono capaci di creare grafiche da zero l’una e contenuti testuali l’altra, in pochissimi secondi. Grazie a questi due prodotti, Musk potrebbe un giorno persino puntare a rendere obsoleta una colonna portante del cyberspazio come Google, sostituendone i servizi con quelli offerti dalla sua nuova machine learning. Ed è proprio per questo che la stessa Microsoft pare ne abbia in parte finaziato lo sviluppo. Entrambi i software prodotti da Musk hanno però finora generato non solo stupore e meraviglia fra gli osservatori, ma anche molte, tantissime e diverse criticità.
Basterà questa nuova operazione, tanto mediatica quanto imprenditoriale ed informatica, a guarire l’orgoglio ferito di Elon Musk e riabilitarne l’immagine pubblica di fronte ai mercati? L’argomento è complesso ed ancora largamente in divenire. Non risponderemo a questa domanda oggi, quindi, ma terremo gli occhi aperti e approfondiremo il discorso in un prossimo articolo. Ci potete giurare.
Tarantina per nascita, sociologa per scelta, classe 1992. Attiva da anni nell’ambito associazionistico e nel settore accademico, ho da sempre un occhio di riguardo per la mia sopravvivenza materiale. Ho lavorato in campagna e nei ristoranti, ed ho fatto l’educatrice in bicicletta. Tutto ciò solo per raggiungere il mio scopo primordiale: vivere di comunicazione. Mi piacciono i social, che studio e pratico. Nutro anche una (in)sana passione per la fotografia ed il disegno, che cerco testardamente di ibridare al mio lavoro ogni volta che posso. Quando ero piccola, mi sono costruita la casa di Hamtaro da sola con una scatola da scarpe. Ma poi mia madre me l’ha buttata via.