Travolti da un insolito destino in un nero mare d’inverno…
Mi è venuta da pensarla così, di rientro da Odessa, dopo aver appreso della morte di Lina Wertmüller. Odessa, nel suo fascino cinematografico, Odessa che alterna lo storico centro “napoletano” alle sovietiche grigie periferie sarebbe piaciuta alla regista di “Pasqualino Settebellezze” e “Mimì metallurgico ferito nell’onore”. Almeno così mi piace appunto pensarla.
Ma procediamo per gradi. È settembre e sono in cerca di un androide, o meglio di una modella che possa interpretare un androide per AFTER THE PANDEMIC 2125. Fantastico di un viaggio nel futuro, verso forme aliene, verso una donna-robot in procinto di conseguire la perfezione umana, un androide che riesca ad esprimere tutta la gamma dei sentimenti umani, quasi non più artificiali o programmati ed eterodiretti.
Da qualche giorno seguo su Instagram una certa #irenna.moone.sfx# and day by day comincio a pensare che possa essere lei. Chi altri? (mi dico). Le scrivo, le racconto di essere stato a luglio a Leopoli (Lviv) per AFTER THE PANDEMIC 1925, di aver
disegnato dei costumi charleston style per la mia musa, Dasha, di aver infine scattato migliaia di foto ispirandomi ai “Roaring years”, a Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald.
La sua risposta mi gela come un inverno ucraino: “tutto ciò è noioso!”
Ma non mi arrendo, e già m’immagino una partita a scacchi tra l’algida androide 2125 e la passionale Daisy Fay Buchanan interpretata da Daria. Nelle nostre chat scorre un misto di competizione e rivalsa, cosplay e non, horror e non, ma “no” dopo “no” vengo risucchiato in questo gorgo di mostruosità o di orrida bellezza.
E poi mi dico: andrò ad Odessa, potrò calpestare i mitici gradini della SCALINATA POTËMKIN (infine ne conterò 202 a salire a perdita di fiato), potrò pensare commosso alla “scena della carrozzina” nel film di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, oppure al contempo ricordare divertito la dissacrante fantozziana mitica chiusura: “la corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca”.
Ed oggi che tutto è concluso, lo shooting con cavallo a Čornomors’k, quello in studio Zadov ad Odessa, decido di chiedere a Irène H. qualcosa di più di una pratica artistica che non mi è più estranea e in fondo comincio a sentire anche un po’ mia.
Dimmi Irène, quando nasce la tua passione per il cosplay?
Irène: amo le favole fin da quando ero bambina, ho sempre immaginato di avere qualcosa di singolare in me. Non leggevo le favole dolci o a lieto fine, ma divoravo avidamente le sanguinose e originali fiabe dei fratelli Grimm quando avevo appena 10 anni. Ho sempre sognato di essere coinvolta in qualcosa di soprannaturale. Ancora oggi mi sembra che il mio posto non sia tra le persone. Sogni. I sogni sono importanti. Spesso ho sognato e sogno ancora sogni magici, sanguinosi e incredibili. E le emozioni che mi suscitano questi magici sogni sono per me fonte di ispirazione.
Poi sono diventata adulta, sono diventata meno svogliata, ho studiato all’università e le fiabe sono passate un po’ in secondo piano. Poi il primo lavoro. Ero annoiata e triste, è molto difficile per me lavorare seduta su una sedia per ore. Ho così deciso di organizzare il mio primo servizio fotografico. Questo è stato tre anni fa. Ho assunto le sembianze di un elfo gentile. Mi è piaciuto così tanto! Non ho mai amato le fotografie ordinarie, e poi non mi piaceva essere fotografata, non mi consideravo bella. Ma dopo il primo set fotografico, qualcosa è cambiato. Ma non sono una cosplayer. Ho molte foto creative e un po’ di cosplay.
Quali sono i tuoi riferimenti culturali rispetto alla pratica artistica cosplay? Mi sapresti indicare un libro, un film, altro che sopra tutto ti ha ispirato?
Irène: i racconti dei fratelli Grimm, come dicevo, alcuni film horror: Fly del 1986, Alien, il recente Death note, cartoni animati tratti dalle favole. Ma in generale ricevo ispirazione dal mondo che mi circonda. Mi piacciono particolarmente le arti visive e i dipinti digitali. Sono la mia grande fonte di ispirazione. Difficile da spiegare, ma quelle arti mi trasmettono un respiro profondo. Seguo Pinterest, i fotografi e gli altri artisti visivi sono i miei punti di riferimento costanti.
Che cosa rappresenta per te la città di Odessa rispetto al mondo cosplay? E cosa mi vuoi dire in generale di questa mitica città?
Irène: Odessa? È la mia città natale. La amo, ma non fedelmente, sento che non sarà la mia città per sempre. Vedo molte cose terribili e sfortunate qui. Cambierei volentieri Paese se trovassi altrove una collocazione lavorativa e la mia dimensione creativa. Odessa è una città povera, l’Ucraina è un Paese povero. È molto costoso coltivare la creatività in certi Paesi, richiede anche molto tempo e talvolta risulta impossibile. Talvolta sento di soffocare qui ed è molto difficile per me vivere in Ucraina. In generale, non ci sono così tanti cosplayers e persone impegnate in un’arte così insolita in Ucraina. Tutto ciò che è bello e stimolante in questo campo viene da altri Paesi. Vorrei essere in un luogo dove il mio lavoro possa essere maggiormente apprezzato. È una storia triste, ma è vera.
Tra fate, sirene e video games, in quale personaggio cosplay ti senti più a tuo agio, in quale ti riconosci maggiormente? Se potessi decidere di trasformarti, in chi ti trasformeresti volentieri?
Irène: ci sono due tipi di personaggi: con alcuni ci puoi giocare e li puoi re-interpretare più e più volte. Ad esempio, esiste un numero impensabile di interpretazioni di elfi, di esseri acquatici o di fate. Possono essere gentili, malvagi, di razze e colori diversi. Amo questa flessibilità. I caratteri dei cosplay invece non sono così flessibili. Il cosplay è fatto rigorosamente di quei personaggi. Amo le riprese artistiche e il cosplay allo stesso modo. Il cosplay è un sogno d’infanzia che può essere realizzato solo diventando un adulto.
Chi vorrei essere? Odio il freddo, qui è gelo continuamente. Mi reincarnerei volentieri in un essere forte a sangue freddo che può badare a se stesso. Non esiste un’immagine esatta, ma esiste una rappresentazione intuitiva dell’insieme: mezzo uomo e mezzo mostro.
Infine ti chiedo se pensi che in futuro potrai mai abbandonare il mondo cosplay per altre espressioni artistiche, o pensi che ciò non sarà mai possibile? Come vedi in generale il tuo futuro di artista visivo? Quali i tuoi sogni nel cassetto? Pensi che potresti vivere lontano da Odessa? Dove ti piacerebbe vivere se dovessi pensare di vivere altrove?
Irène: ripeto che non sono una vera cosplayer. Non realizzo copie fedeli dei personaggi. Collezionare cosplay è costoso. Pertanto, la maggior parte delle mie immagini sono frutto della mia immaginazione e di un’ispirazione esterna al mondo cosplay. Finora sento che non posso rinunciare alla creatività e davvero non lo voglio. Ma desidero più opzioni per implementare questa attività creativa. Sfortunatamente non guadagno abbastanza soldi dalle arti visive, dal cosplay e dalle riprese fotografiche.
Ma non riesco a vedere il mio futuro senza svolgere un’attività creativa e desidero che questa mia passione per le arti visive possa essere nella mia vita il più a lungo possibile, che non vi debba mai rinunciare per qualcosa che non amo. Nella mia testa scorrono continuamente le immagini dei miei progetti, decine e decine contemporaneamente, e sono molto esigente. Non posso più vivere senza la “diversità”. Sì, vorrei vivere altrove, in un posto dove potermi realizzare. Ma in fondo il mio mondo è solo la creatività.

Cosentino di nascita, sopravvivo a Roma, estrema propaggine di Calabria. Artista visivo, da qualche anno in prestito alla fotografia, mi accorgo di continuare a dipingere anche quando scatto foto. La verità è che non capisco mai nelle cose che faccio dove inizia e finisce la pittura, dove la scenografia, la ceramica, la scultura, la fotografia. Capita pure di essere premiato, così è successo nel 2005, nell’ambito della III Biennale Internazionale della Magna Grecia di San Demetrio Corone (CS). Ho voluto che il dipinto presentato in quell’occasione, “Bastardo a Sud”, fosse l’immagine emblematica della mia rubrica su DEEP HINTERLAND: quale immagine migliore per i miei “percorsi artistici marginali”?