Articolo e gallery fotografica a cura di Joshua Zoppello. Postproduzione gallery fotografica a cura di Massimo Maselli.
Mi chiamo Joshua, sono nato in Italia, ma posso dirmi figlio di un incrocio di civiltà. Gli Anglosassoni direbbero che sono il prodotto di un “cultural mingling”.
Mio padre é italiano, mia madre londinese, ma la sua infanzia l’ha trascorsa ad Antigua, nei Caraibi. Anche lei frutto di una mescolanza: madre inglese, padre antiguano, educazione antiguana, identità “Black British”.

La mia vita corre lungo un filo ideale che porterebbe certamente in Africa, ma esattamente dove non mi è dato sapere, presumibilmente in una delle colonie britanniche.
Nigeria? Ghana? Sierra Leone? Gambia? In famiglia non rimane traccia di quelle origini lontane. Ripartiamo da Antigua. Le mie radici materne affondano nella parte rurale a sud dell’isola caraibica.

Ritorno ad Antigua dopo circa 10 anni, in questo 2025 di grandi stravolgimenti geopolitici anche per tutti quei paesi che si affacciano sul Mar dei Caraibi. Mi ritrovo a ridosso di Saint Mary, in un’area di case sparse. Qui si è passati negli ultimi anni da un’economia agricola ad una con maggiore vocazione turistica. Si potrebbe anche dire, per usare una formula cara agli italiani, di un’economia “agrituristica”.

In quegli stessi giorni, non troppo distante da quest’isola mozzafiato, è avvenuto l’insediamento del Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump. Un insediamento aggressivo e/o niente affatto istituzionale, che non lascia intravedere nulla di buono per le sorti del Mondo, men che meno per quei Paesi che si dispiegano a sud degli USA.
Il neo Presidente ha annunciato la sua intenzione di riclassificare il Golfo del Messico in Golfo d’America, ma ciò che soprattutto allarma da queste parti é la minaccia di voler annettere Panama, rivendicando diritti di sovranità sul famoso canale.

Colgo l’occasione di questo mio soggiorno caraibico per un approfondimento storico-economico sulle vicende che stanno interessando il Centro America e particolarmente il Canale di Panama. Quest’anno mi attende l’esame conclusivo dei miei studi presso l’Istituto di Istruzione Superiore Statale “Leon Battista Alberti” di Roma. Non voglio quindi che questo snodo della storia mi colga impreparato, non solo in previsione dei miei futuri studi universitari, ma soprattutto sotto il profilo esistenziale, in quanto cittadino del Mondo.
Provo così ad analizzare il discorso d’investitura di Trump e ne individuo i punti salienti, o comunque quelli che a mio avviso risultano i più significativi:
- Aver citato un Presidente USA del passato di cui non avevo mai sentito
parlare e, pare, anche ignorato dai piú, ovvero il Presidente William Mckinley (1897- 1902) - Aver sollevato il problema dell’influenza cinese odierna sul canale di Panama,
perdendo di fatto gli USA il predominio sullo stesso, quando invece sono stati gli americani a costruirlo negli anni 1907-1914 ottenendone di conseguenza pieno controllo fino al 1999, come fosse parte del territorio statunitense - Aver preannunciato l’imposizione di dazi doganali su tutte le merci di
importazione, a partire da quelle cinesi, ma anche su quelle europee e dei Paesi del Centro America, al fine di ridefinire i rapporti di forza con il Resto del Mondo secondo il motto MAGA (Make America Great Again) - Aver minacciato la conquista territoriale della Groenlandia, frustrandone di
fatto le aspirazioni all’indipendenza, e l’annessione del Canada, per farne di questo il 51esimo Stato degli USA.

La figura di MCkinley
Partiamo dal richiamo al Presidente William Mckinley e cerchiamo di capire le ragioni per le quali Trump abbia deciso di ispirarsi alle sue vicende. Con William Mckinley gli USA hanno vissuto uno sviluppo capitalistico formidabile, raggiungendo i livelli economici del Regno Unito, e ciò intraprendendo una politica protezionistica che comprendeva dazi doganali sull’importazione delle merci estere del 40%. Che siano stati poi veramente i dazi doganali, oggi tanto cari a Trump, a favorire quella sorta di “età dell’oro”, di massimo sviluppo e prosperità per gli USA, è tutto da dimostrare.
C’è chi pensa che altri fattori abbiano contribuito alla crescita economica degli USA in quel periodo. Per esempio, la nascente industrializzazione di un paese così ricco di spazi e di risorse naturali, così come una significativa immigrazione, specialmente dall’Europa. Certamente sotto Mckinley ci fu una riduzione del debito pubblico, soprattutto nello Stato dell’Ohio (che, prima di divenire Presidente, aveva rappresentato al Congresso), e ciò attraverso l’applicazione di accise sulle società private. Quindi, oltre che definirlo un “protezionista”, si potrebbe parlare di Mckinley anche come di un “monetarista”, per la sua attenzione a far quadrare i conti pubblici.

Oggi Trump ha affidato ad Elon Musk il compito di ridurre l’incredibile debito pubblico americano (pari a circa 34.000 miliardi di dollari, secondo dati aggiornatiu al 2024) attraverso drastiche riduzioni del personale impiegato nelle pubbliche amministrazioni federali (si pensi che circa 3 milioni di dipendenti appartengono solo ad organi di sicurezza pubblica come il Pentagono, la CIA, l’FBI, etc.).
Altra caratteristica che sembra accomunare Trump a Mckinley è l’assunzione del paradigma colonialista. Mckinley fu molto attivo nel conflitto ispano-americano a fianco di Cuba per ottenere l’indipendenza dalla Spagna. A partire dal 1898, inoltre, volle ed ottenne l’annessione agli Stati Uniti dei territori liberi delle isole di Hawaii, e, come conseguenza del conflitto con la Spagna di cui sopra, Porto Rico, Guam e Filippine.

Durante il discorso di insediamento del 20 gennaio 2025, Trump ha riconosciuto a Mckinley il merito di essere stato un grande affarista (all’epoca era noto come “tariff man”) e di aver fornito a Theodore Roosevelt il denaro necessario per realizzare il Canale di Panama. Nel suo modo quantomeno esagerato di ricordare i fatti della storia, Trump è arrivato a parlare di 38.000 morti per la realizzazione del famoso canale. Invero le morti riconducibili a quella costruzione risultano 5.600 ufficiali e non più di 25/30 mila quelle soltanto ipotizzate.
A solo titolo di cronaca, e senza voler ovviamente immaginare nulla di simile per il neo Presidente americano, vorrei ricordare che il Presidente Mckinley fu ucciso nel 1901 per mano dell’anarchico di origini polacche Leon Czolgosz.

Il Canale di Panama
Prima di ragionare sul presunto controllo cinese del canale di Panama evocato da Trump, è necessario un breve excursus storico sullo stesso. Già a partire dalla terza decade del XVI secolo si comincia ad ipotizzare un canale che possa permettere alla flotta spagnola di poter proseguire via mare fino alle terre conquistate che si affacciano sul Pacifico (particolarmente la Nuova Castiglia, già Inca, corrispondente all’attuale Perù), evitando così alle truppe spagnole di dover proseguire via terra attraverso foreste impervie.
Nei secoli a seguire saranno in molti i Paesi a tentare la realizzazione di un canale di sbocco: Regno Unito, Francia, gli stessi Stati Uniti, a partire dalla loro fondazione, attraverso mediazione della Spagna. I primi lavori concreti per ottenere quello che poi sarebbe diventato il Canale di Panama avvengono a partire dal 1879 con un affidamento di incarico all’imprenditore Lesseps (lo stesso del Canale di Suez, 1859-1869) da parte della committente Repubblica del Nuovo Granada. Tuttavia quella di Lesseps fu un’impresa fallimentare, caratterizzata da numerosissime morti sul lavoro (al ritmo di 200 al mese) e ingente corruzione per nascondere tutti quei decessi.
Il progetto venne abbandonato nel 1889 proprio a seguito dello scandalo delle tangenti pagate a diversi politici francesi per tenere all’oscuro i cittadini (ed alle autorità giudiziarie) quanto stava avvenendo sul cantiere di Panama. Solo nel 1901 gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Theodore Roosevelt, tentano un primo accordo con la Colombia per costruire il Canale e poterlo controllare, che la Colombia però non ratifica. A questo punto l’America determina, con l’invio di navi da guerra, l’indipendenza di Panama e sancisce con il nuovo Stato indipendente l’accordo del 1903 che porterà definitivamente alla realizzazione del canale nel 1914, poi ufficialmente aperto nel 1920. Da questo momento gli USA di fatto controllano il Canale, ma non senza problemi.

Di ribellione in ribellione, compreso il colpo di Stato del 1968, arriviamo ai Trattati Torrijos-Carter del 1977, con i quali si stabilisce che Panama possa acquisire il pieno controllo del Canale a partire dal primo giorno del 2000 e diventare così principale responsabile della sua difesa. Nel frattempo, nel 1989, gli USA depongono il dittatore panamense Manuel Noriega e controllano nuovamente il Canale fino appunto al 1999.
Ma veniamo ad oggi, alle dichiarazioni di Trump sul presunto dominio cinese sul canale. Che cosa c’è di vero? Partiamo da alcuni dati oggettivi: negli ultimi anni tra Cina e Panama si sono intensificati i legami politici ed economici. Particolarmente significativo è il fatto che Panama abbia ritirato il suo riconoscimento allo Stato di Taiwan nel 2017. la Cina da parte sua ha garantito a Panama la realizzazione di importanti infrastrutture stradali e navali. E’ incontrovertibile che il traffico commerciale navale cinese negli ultimi anni si sia notevolmente intensificato.
Ma Trump va oltre, in primo luogo considerando l’accordo del 1977 iniquo per gli Stati Uniti, in quanto la neutralità di Panama di fatto li svantaggerebbe; e poi sostenendo che Panama abbia incrementato le tariffe per il passaggio delle navi americane, nonostante questa affermazione non risulti vera sulla base delle fonti disponibili in merito. La possibilità di ottenere esenzioni sulle tariffe di trasporto per gli USA da parte di Panama, ad ogni modo, determinerebbe un abbattimento dei costi e quindi dei prezzi finali dei beni d’esportazione dei beni made in USA.

I dazi doganali
Non è dato prevedere le conseguenze della politica dei dazi preannunciata da Donald Trump. La prima reazione delle borse americane è negativa in ragione dell’incertezza degli annunci di imposizione e delle marce indietro repentine che hanno caratterizzato l’azione di governo trumpiana finora, in uno stato di stressante stop and go. É risaputo che le borse amano la stabilità delle politiche economiche e questi stress test non risultano di gradimento per gli investitori.
È noto in economia che i dazi doganali, quali imposte indirette sui beni, determinano necessariamente una spinta inflazionistica. Trump eccepisce tuttavia che l’Europa attraverso l’IVA ha finito per frodare l’America, in quanto l’IVA funziona come una sorta di dazio quando un bene viene importato. In merito all’Unione Europea, il Presidente ha usato parole come “ingratitudine” ed ha affermato che “l’Europa è nata per frodare l’America”. Pertanto i suoi sarebbero “dazi reciproci” con i quali si intenderebbe ristabilire un equilibrio nella bilancia commericale globale e soprattutto favorire il rilancio della produzione interna.
Ad oggi, in concreto, Trump ha imposto una tariffa del 10% su qualsiasi bene cinese, e una del 25% sui prodotti in alluminio o acciaio. Quali altri dazi sarà in grado di imporre senza rischiare una pericolosa spirale inflazionistica per l’America lo vedremo prossimamente.

Il neocolonialismo trumpiano
Certamente la più controversa delle aspirazioni di Trump è quella di annettere il Canada e la Groenlandia agli Stati Uniti. Cerchiamo di capire da cosa muovono queste pretese. Il Canada è la seconda Nazione più estesa al mondo, con alcuni dei paesaggi e delle riserve naturali meglio conservati al mondo. E’ un paese dall’economia vivace, ma anche un luogo di foreste vaste e disabitate. Il Canada ha dichiarato la sua indipendenza dal Regno Unito nel 1982, rimanendo comunque nel Commonwealth, ma gli Stati Uniti lo considerano un paese culturalmente “americano” per le seguenti essenziali ragioni:
- Canada e Stati Uniti hanno entrambi un assetto istituzionale di tipo federale, caratterizzato da un governo centrale ed un’articolazione amministrativa interna gestita da Stati/Province semi-autonomi;
- La lingua principale di entrambi i paesi è l’Inglese, nonostante il Canada riconosca come lingua ufficiale anche il Francese;
- La storia di entrambi i paesi è stata brevemente condivisa, visto che Canada e USA sono di fatto ex-colonie del Regno Unito;
- La storia di entrambi i paesi è stata caratterizzata da una significativa e forte immigrazione europea
E tuttavia le differenze tra i due stati sono molto più rilevanti rispetto ai caratteri che li accomunano. In primo luogo, queste differenze sono motivate da un senso di appartenenza dei canadesi ad una nazione propria. Proprio in questi giorni abbiamo sentito le dichiarazioni ferme del Primo Ministro canadese Justin Trudeau. “Siamo un Paese indipendente”, ha dichiarato di fronte ai microfoni di tutto il mondo, “Non accadrà mai che diventeremo il 51esimo Stato USA”.
Quanto alla Groenlandia, formalmente è ancora un territorio appartenente al Regno della Danimarca, ma aspira alla piena indipendenza, ad aprile 2025 sono previste le elezioni politiche che equivalgono di fatto ad una sorta di Referendum sull’indipendenza[1].
Qui le pretese di Trump sono esclusivamente di natura geostrategica ed economica, per la collocazione geografica che pone la Groenlandia come una grande piattaforma di dominio sul Mar Glaciale Artico, per le notevoli risorse naturali presenti nel suo territorio, come le terre rare essenziali per la produzione di tecnologie rinnovabili e sistemi di difesa, per la sua ricchezza di minerali pregiati fra cui in particolare i diamanti, l’uranio, e lo zinco.
Quel che leggo e sento in questi giorni mi fa pensare al Mondo come ad un’auto in forte accelerazione, con un Trump alla guida che ora sterza a destra ed ora improvvisamente a sinistra. La paura per molti, anche qui ad Antigua, è che procedendo così il mondo intero possa andare a schiantarsi.
Note
[1] Nel frattempo, nelle more della pubblicazione di questo intervento su Deep Hinterland, l’11 aprile si sono svolte le elezioni politiche che hanno confermato appunto l’istanza indipendentista Groenlandese, sia pure quella moderata. Ha vinto il partito di centrodestra Demokraatit di Nielsen, che si autodefinisce «social-liberale», conquistando circa il 30% delle preferenze e 10 dei 31 seggi del Parlamento. Il vincitore Nielsen, ha dichiarato inequivocabilmente che Trump è «una minaccia alla nostra indipendenza politica». Ricordo inoltre che nel 1982 si è tenuto in Groenlandia un Referendum per aderire o meno alla CEE, in quell’occasione sono prevalsi i NO con il 53% dei voti.
