L’arte delle donne: intervista all’artista belga Marguerite de Merode

Marguerite de Merode è un’artista generosa, dinamica, libera. Assolutamente originale e mai manipolabile. E’ una donna raffinata ed elegante, con un distinto accento francese. In realtà però Marguerite è belga ed alla sua famiglia di antica estrazione aristocratica sono dedicate strade, piazze e persino una stazione della metropolitana nella città di Bruxelles. Anche a Roma esistono un’area tra il quartiere Monti e il Viminale ed un esclusivo istituto scolastico in piazza di Spagna che prendono il nome dal suo casato.

Marguerite è, dunque, una personalità, nel mondo dell’arte. Eppure, ha un modo di fare lieve, un po’ autoironico, quasi a non volersi prendere sul serio: in fondo, come scriveva Shackespeare, “nulla è nuovo e nulla è vero, né conta veramente” e “siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni[1]“. Lei sembra incarnare questa consapevolezza. E’ un’artista versatile e poliedrica: dipinge magnificamente e ha una voce limpida come i suoi begli occhi azzurri. Oggi è una donna di indubbio successo artistico, le cui doti spaziano dalla pittura alla fotografia, passando per la letteratura e la poesia.

L’artista belga Marguerite de Merode. Photo credit: Ilaria Lagioia

L’arte è non è un’attività: è modo di vivere e di sentire”, l’ho udita mormorare. Ha realizzato alcune mostre all’estero. Basti pensare all’esposizione “Livres dans le miroir” (“Libri allo specchio”), in uno dei luoghi più significativi di Parigi, la prima biblioteca pubblica di Francia, la Bibliothèque Mazarine facente parte dell’Institut de France. Qui Marguerite ha avuto un’intuizione geniale: si è chiesta se sono le persone a scegliere i libri o se sono i libri a farsi trovare dai propri lettori al momento giusto e nel luogo giusto. Anche perchè, quando ciò accade, nulla è più come prima. Per il progetto espositivo, alcuni esponenti della cultura hanno scelto un’opera letteraria che li ha particolarmente colpiti, al punto di divenire una sorta di libro della di vita.

Un’installazione molto particolare, che si è sviluppata in una serie di immagini composte da tre elementi; un breve testo che giustifica la loro scelta e due fotografie, una esterna del libro rappresentato come compagno di vita e l’altra dell’interno, che riprende alcuni significativi passaggi che richiamano il testo consegnato. In quelle opere ogni persona interpellata ha giustificato le motivazioni della sua scelta, o forse le ragioni per cui il libro ha magicamente scelto il lettore, formando così un ritratto dell’anima del personaggio tramite il suo libro eletto.

L’esposizione “Livres dans le miroir”, organizzata presso la Bibliothèque Mazarine, a Parigi, da Marguerite de Merode. Photo credit: margueritedemerode.it

E, ancora, ha esposto alla Biblioteca Angelica, al Circolo degli Esteri, all’Ambasciata del Belgio a Roma, a Kaunas in Lituania, a Vilnius e in molti altri luoghi. Una donna di sicuro fascino e successo, che, però, sembra totalmente indifferente a queste categorie. Appare piuttosto come una divertita osservatrice della realtà, con voluto e consapevole distacco. E così, in questa incantevole atmosfera gentile, cominciamo a parlare e lei subito mi sorride, empaticamente. Un sorriso generoso e schietto, che illumina il suo bel volto.

Vivi da tanto tempo nel mondo dell’arte. È per questo che sei approdata in Italia?

Sono arrivata in Italia nel 1975. Giovanissima, ho lasciato il Belgio per venire a Roma. Mio padre, che per lavoro viaggiava molto, era già in città e mi era arrivata voce che il prestigioso Istituto Centrale del Restauro, che all’epoca aveva fama mondiale, avesse sede nella capitale. C’era anche una scuola all’interno della quale si poteva accedere con un concorso pubblico che prevedeva tredici posti destinati ad allievi stranieri. Venivo da un percorso universitario lontano da quel mondo, ma ero tentatissima di lanciarmi nell’avventura.

L’Istituto Centrale per il Restauro, a Roma. Photo credit: Art Bonus.

I miei genitori mi diedero un anno per prepararmi e per superare l’esame d’ingresso. Se non ci fossi riuscita, sarei dovuta tornare a completare i miei studi a Bruxelles. Era per me un mondo magico. Sono riuscita, per fortuna, a superare il concorso e a entrare in contatto intimo con una realtà incredibile. All’Istituto c’erano opere di immensa importanza. Si restauravano, in quegli anni, i due dipinti di Caravaggio della chiesa romana di San Luigi dei Francesi. Arrivavano direttamente dai grandi musei italiani opere fondamentali della storia dell’arte. Era un’emozione quotidiana. Da lì partivano grandi esperti per diffondere, nei importanti musei internazionali, la teoria del restauro elaborata da Cesare Brandi e arricchita da Giovanni Urbani, direttore dell’ICR all’epoca, per creare laboratori scientifici.

Completati gli anni di formazione, sono entrata in uno studio privato con Giovanna Pignatelli (divenuta l’amica di una vita). Pochi anni dopo fondavamo, con Giovanna e un’altra restauratrice, una società con cui avremmo realizzato importanti lavori sia a Roma che ai Castelli Romani, lavorando su affreschi, dipinti murali e quadri da cavalletto. Un’esperienza durata tanti anni di cui conservo ricordi bellissimi.

Marguerite de Merode, 2011, Il segreto della Vita. Photo credit: Exibart.com

Come vedi il ruolo della donna artista nell’arte?

La presenza della donna artista nel mondo dell’arte ha una storia complessa e, in molti casi, trascurata. È strettamente legata alla posizione della donna nella società. Anche se le donne hanno sempre contribuito in modo significativo alla cultura e all’arte, le loro voci sono state spesso silenziate, ignorate o minimizzate. Nel corso dei secoli, come sappiamo, l’arte è stata storicamente dominata dagli uomini: le donne venivano esposte a forti limitazioni, come il divieto di frequentare le Accademie di Belle Arti, che restringevano la loro educazione artistica.

Esistono rarissimi esempi di donne che sono riuscite a raggiungere il successo. Potrei citare la notissima Artemisia Gentileschi, una delle più grandi pittrici del Barocco italiano, o Élisabeth Louise Vigée Le Brun, che divenne una delle ritrattiste più famose di Versailles frala fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX. Alla fine del XIX secolo, anche quando venivano ammesse alcune studentesse alle Accademie, queste erano spesso limitate a discipline considerate “femminili”, come la pittura di nature morte o il ritratto, mentre le arti più “prestigiose”, come la pittura storica o la scultura, erano ritenute prerogative maschili.

In seguito, molte donne sono state anche messe in ombra dai loro maestri, preoccupati che mettessero in discussione la propria fama. Anche lì, alcune hanno trovato un tardivo riconoscimento come Camille Claudel, allieva talentuosa e amante di Auguste Rodin, ma anche una scultrice straordinaria, rinchiusa in manicomio in quanto donna libera.

Una foto del 1883 di Camille Claudel (1864-1943) in manicomio. Photo credit: Wikipedia.

Penso al destino delle donne artiste, spesso torturate, stuprate, martoriate, per il sol fatto di essere nate e cresciute nell’arte. Camille Claudel, che citava Marguerite, era un’appassionata e ostinata scultrice sin da bambina e per questo fu internata in manicomio dal fratello e dalla madre, a dispetto del parere contrario dei medici curanti.

O Artemisia Gentileschi, brillante pittrice della Roma seicentesca, stuprata a 17 anni nella sua stessa casa da un pittore che avrebbe dovuto essere il suo maestro. Tradita anche dal padre, che non esitò a esporre l’intimità di Artemisia ai giudici, a sottoporla a pubblici controlli ginecologici e alla morsa delle sibille, uno strumento che stritolava con i ferri le dita del torturato. “Non so dire quanto durò la tortura ma urlai e urlai dal dolore e urlai e urlai anche dopo che mi tolsero i ferri”, ebbe a scrivere.

Di fronte a tali orrori, mi chiedo come mai queste donne non abbiano rinunciato all’arte. Ma è chiaro che per loro sarebbe stato impossibile: la loro vita era l’arte. E mi rivolgo di nuovo a Marguerite, chiedendomi se il suo sorriso e la sua ironia siano una barriera di consapevole allegrezza per esorcizzare i mali e le meschinità del mondo.

Artemisia Gentileschi, 1638, Autoritratto. Photo credit: Wikipedia.

Come vedi la donna artista oggi?

Mi chiedi del posto della donna oggi nel mondo dell’arte? L’arte è un riflesso della società, e il percorso delle donne nell’arte, sia in Italia che a livello internazionale, è stato segnato da lotte per ottenere il riconoscimento, ma anche da una costante tensione tra il progresso e le resistenze radicate nella cultura dominante. Gli anni Sessanta e Settanta hanno segnato un cambiamento significativo, soprattutto nel mondo anglosassone, con il movimento femminista, che ha avuto un ruolo cruciale nell’emancipazione delle donne, non solo nella società, ma anche nel panorama artistico, combattendo contro le barriere di una tradizione che le aveva spesso escluse o relegate a ruoli marginali.

Questi decenni sono stati caratterizzati da una crescente consapevolezza e da un’innovazione radicale nelle pratiche artistiche. Attraverso l’arte concettuale, il body art, la fotografia e il video, si sono aperti nuovi mezzi di riflessione e di critica sul corpo femminile, sul ruolo della donna nella società e sulla relazione tra identità di genere, contribuendo così a una nuova visione dell’arte, più inclusiva e critica, che ha avuto un impatto fondamentale nella definizione dell’arte contemporanea. Ricordiamo inoltre che sono aumentati enormemente i mezzi a disposizione delle artiste per esprimersi. E le donne, ormai, stanno trovando il loro posto al sole.

Marguerite de Merode, 2010, Euston Square. Photo credit: margueritedemerode.it

In particolare, cosa pensi del ruolo della donna nell’arte in Italia?

La situazione in Italia oggi? Se facciamo un passo indietro, negli anni Sessanta il panorama artistico italiano era ancora profondamente dominato dagli uomini. Tuttavia, alcune figure femminili hanno cominciato a farsi strada, entrando nei circoli artistici e sfidando le convenzioni del tempo. Artiste come Carla Accardi, Giosetta Fioroni, Marisa Merz, Tina Modotti e molte altre hanno aperto la porta a un’arte che oggi riconosciamo come fondamentale. Con il tempo, sono nate gallerie dirette da donne, e numerose sono le direttrici di musei e le curatrici di fama internazionale. Conosco abbastanza bene il panorama dell’arte femminile in Italia oggi e ho il privilegio di frequentare molte artiste che stanno davvero facendo dei passi significativi. Nonostante questi progressi, però, come sempre accade, l’arte riflette la società in cui viviamo. In un contesto che è ancora pervaso da dinamiche sessiste, la donna nel mondo dell’arte fatica a trovare una voce che sia davvero pari a quella degli uomini.

Credo di capire che si accende una fiammella e nasce il tuo interesse per l’arte contemporanea. Qual è stato il momento in cui hai deciso di cercare di costruire un tuo linguaggio? Ci racconti?

Nel mio lavoro mi sono occupata principalmente di arte antica. Ogni giorno, sia nei cantieri che davanti a grandi tele, mi trovavo immersa nello straordinario passato italiano. Tuttavia, un giorno mi sono chiesta se fosse possibile ignorare completamente l’arte dei nostri giorni. Intorno a me sentivo quasi esclusivamente commenti di rifiuto, come il classico: “Potrei farlo anch’io”, oppure “Non è estetico”, e molti altri ancora.

Marguerite de Merode, 2011, Junk. Photo credit: margueritedemerode.it

Non potevo accettare l’idea che il nostro secolo non fosse in grado di produrre qualcosa di veramente coinvolgente. Da questa riflessione è nato il mio interesse per l’arte contemporanea. Ho la grande fortuna di avere come amico,Ludovico Pratesi, un curatore italiano di arte contemporanea con un incredibile talento nell’illustrarla. Le sue spiegazioni erano sempre chiare, colte e appassionate, capaci di contestualizzare l’arte contemporanea all’interno del mondo occidentale di oggi. Ho iniziato a seguirlo, a partecipare ai corsi che organizzava per trasmettere la sua passione ed a unirmi a gruppi di giovani collezionisti che lo frequentavano. Così è nata la mia passione.

A quel punto, mi sono resa conto che avvicinarmi all’arte contemporanea significava rimettere in discussione tutto: il mio mestiere tra l’altro. Avevo dei problemi di salute dovuti all’uso dei solventi e il mio interesse per l’arte attuale cresceva sempre di più. Ho iniziato a frequentare corsi estivi all’estero, a trascorrere due o tre mesi in università prestigiose, sia a Londra, dove esistono istituzioni di altissima qualità che organizzano workshop estivi, sia a Salisburgo, in Austria, dove la “International Summer Academy of Fine Arts” ospitava come professori artisti contemporanei di livello internazionale.

Marguerite de Merode, 2019, En attendant la fin du jour. Photo credit: margueritedemerode.it

Pian piano, mi sono costruita una certa formazione e un approccio intellettuale più definito, che mi ha permesso di capire meglio quale fosse il percorso che volevo seguire, e sviluppare un concetto che potesse esprimere quello che avrei voluto trasmettere con le mie opere. E da lì ho intrapreso un percorso che mi ha permesso di realizzare varie mostre. Avrei anche deciso, piano piano, di crearmi una collezione di opere di giovani artisti con cui sono entrata in contatto grazie al mio lavoro e che hanno sicuramente arricchito la mia quotidianità con la loro visione e l’energia che mi hanno trasmesso.

E sorride, forse figurando le opere dei giovani artisti che intende valorizzare. Al termine di questa chiacchierata mi sento più fiduciosa. “L’arte salverà il mondo” non è più una banalità. Penso a tutte artiste della storia, incapaci di smettere di dipingere, scrivere, suonare, scolpire, anche a costo di morire.

Marguerite de Merode, 2017, “Libri allo specchio (Monique Veaute)”. Photo credit: margueritedemerode.it

Penso alla loro ostinazione, speranza dell’umanità. Penso alle mie amiche Solveig, Cinzia, Elisa, Sonia e tante altre, che hanno fatto dell’arte una ragione di vita. E ad Adriana, che dipinge per giorni, dimenticandosi di mangiare.

Penso a mia madre e alle centinaia di suoi quadri; ai primi disegni di lei bambina sino agli ultimi, quelli del Serchio, che correva placido sotto l’ospedale ove si consumava il calvario. Il giorno prima di morire lei disegnava e lieve era il paesaggio.

Note
[1] W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I.

 

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