Ultimamente mi è capitato di rivedere il miglior film di tutti i tempi: Jurassic Park di Steven Spielberg (1993). Come direbbe il buon Alberto Tomba, “chi mi conosce lo sa”: il mio amore per Jurassic Park non conosce confini. Quest’opera è geniale a partire dalla sua trama di base. Il film infatti racconta la storia di un miliardario ottimista ed idealista che, un po’ come lo Zio Paperone di Carl Banks, sogna di realizzare un mondo migliore. E quindi si inventa un modo innovativo per ammazzare un sacco di persone: riportare in vita i dinosauri e farci un luna park. Oltre ad essere un capolavoro della fantascienza, dell’horror, degli effetti speciali, della suspense e del ritmo cinematico, inoltre, questo film è una spledida favola socialista americana. Sì, ho detto socialista. E poi ho detto anche americana. Sembra un ossimoro, ma non lo è. Ed ora vi spiego perchè.
Prima di tutto, una domanda ed una premessa. Chi non ha visto Jurassic Park? Intendo l’originale del 1993, non i vari sequel del cacchio. Mi sto rivolgendo proprio a te, ipotetico lettore o lettrice di Deep Hinterland che non hai mai visto questo film. Ma un’infanzia non ce l’hai avuta? E da bambino/a non eri, come tutti i bambini del mondo, innamorato/a di qualunque cosa avesse a che fare con i dinosauri? Vabbé, nel caso mi stessi rivolgendo ad una persona con un passato così disastroso, cerco prima di riassumere un po’ la trama di questo film.
Le vicende di Jurassic Park prendono piede da un’iniziativa di John Hammond (Richard Attenborough), il nostro miliardario eccentrico con uno strambo sogno nel cassetto: mettere al mondo dei dinosauri veri. Il miliardario in questione li vuole davvero tanto questi lucertoloni. E quindi se li costruisce. In prima battuta, si compra un’isola tropicale (disabitata? almeno si spera) al largo della Costa Rica. Il posto si chiama Isla Nublar ed è talmente ostico da far invidia all’Isola dei Famosi. In sencond loguo, il nostro miliardario assume una squadra formidabile di genetisti per far nascere dinosauri di diverse specie da alcuni filamenti di DNA raccolto da zanzare preistoriche, shakerate e non mescolate con il DNA delle rane moderne. È ricco John Hammond, non ce lo scordiamo mai. E pare che i ricchi degli anni 90 siano stati solo leggermente meno intollerabili di quelli di oggi. Una cosa va però detta in sua difesa. Quantomeno Hammond cerca di creare qualcosa di interessante, invece che costruire una nave spaziale a forma di minchia per farcisi una gita di 10 minuti e pranzo al sacco nello spazio (anche se, in fondo in fondo, si potrebbe pure dire che Jurassic Park altro non sia che la minchia spaziale del buon vecchio Hammond).
Sia come sia, Hammond costruisce la sua minchia spaziale, cioè il luna park più pericoloso del mondo, e prima di rivelare pubblicamente la sua creazione deve farlo testare da un piccolo gruppo di persone selezionate molto attentamente. Il gruppo di esperti è composto dalle seguenti persone: 1) il matematico Ian Malcolm (Jeff Goldblum) per motivi che veramente non si capiscono; 2) i due nipoti minorenni di Hammond (Ariana Richards e Joseph Mazzello) per motivi che si capiscono ancora di meno; 3) due paleontologi, Alan Grant (Sam Neill) e Ellie Sattler (Laura Dern). I paleontologi hanno almeno il loro perché, anche se veramente mi verrebbe da chiedere come avesse fatto il progetto di Hammod ad arrivare fino a questo punto senza aver prima consultato nessun paleontologo. Ma lasciamo perdere questi futili dettagli ed andiamo avanti.
Quando i nostri esperti finalmente arrivano ad Isla Nublar, questi cominciano a porre un sacco di domande molto ragionevoli ad Hammond ed i suoi scienziati. Come fate a gestire la popolazione dei dinosauri e ad essere sicuri che questi non si riproducano all’infinito? Risposta: sono tutte dinosaure femmine e quindi non possono riprodursi da sole. Cosa sapete dell’ecosistema di 65 milioni di anni fa? Risposta: silenzio e sguardi imbarazzati. Ma veramente avete fatto una follia del genere e pretendete che non accada nulla di brutto? Risposta: si è fatta una certa, bicchierino della staffa? Poi Malcolm il matematico, vestito da rock star anni 80, dice delle parole molto sagge sulla teoria del Caos e sull’arroganza umana davanti ai misteri della natura. I saggi consigli del matematico più hipster del mondo vengono più o meno ignorati, nell’attesa dell’inevitabile disastro.
Ed il disastro inevitabilmente arriva. Dennis Nedry (Wayne Knight), informatico di stanza nel parco, si stufa dello stipendio meno che generoso datogli da Hammond, e quindi decide di vendere degli embrioni di dinosauro a una azienda rivale. Per fare questo deve spegnere parte del sistema di sicurezza del parco, e quindi anche le recinzioni elettriche che contenevano i dinosauri nelle loro gabbie. Perché sì, il tirannosauro (ovvero la bestia assassina più temibile che l’evoluzione Darwiniana abbia mai creato), prima di tutto ‘sto casino era contenuto solo da una misera recensione elettrica. Una improvvisa tempesta tropicale fa il resto. I dinosauri sono finalmente liberi di girovagare dove cacchio gli pare, ed il caos si scatena sull’Isla Nublar.
Una perfetta allegoria per l’arroganza umana davanti alla natura, nevvero? Oppure no? In effetti ciò che scatena l’inferno sull’Isla Nublar non è tanto la scienza, quanto il miliardario con la sua minchia spaziale. Ovvero, il capitalismo. Non sono la prima a sottolineare questa lettura del film. Io lo dicevo anni fa scherzando con gli amici, ma ora forse il nostro mondo post-COVID ha reso ancora più chiara questa mia interpretazione. Abbiamo visto tutti ormai che chi ha da guadagnare mettendo gli altri in pericolo lo fa ben volentieri, e quindi forse oggi nel 2021 l’arroganza di John Hammond ci stupisce un po’ di meno che negli anni ’90. Ma l’interpretazione tradizionale del film, per molti, rimane quella dell’esperimento scientifico fallito in stile Frankestein di Mary Shelley. Pensiamo, ad esempio, alla grande frase con cui Ian Malcom (Jeff Goldblum) commenta l’impresa di Hammond: “[Gli scienziati] erano così preoccupati di poterlo fare che non hanno pensato se lo dovevano fare.” Questa rimane ancora oggi una battuta molto forte. Ma il vero problema qui non è quello della presunzione degli scienziati.
Voi mi direte: ma l’autore del romanzo da cui Jurassic Park è stato tratto, cioè Michael Crichton, non è forse un fanatico anti-scienza? Non è stato forse lui quello che, una quindicina di anni fa, si è presentato al Senato americano per testimoniare a sfavore dei dati scientici che provano l’attuale cambiamento climantico? Sì, Michael Crichton era un bigotto anti-intellettuale del cazzo. Ma questo non importa, perché in fondo chi se ne frega degli intenti autoriali? Oltre ad essere un romanzo (non male) di Crichton ed un film (geniale) di Spielberg, infatti Jurassic Park appartiene al suo pubblico, e (come ogni altra opera d’arte) è un film aperto ad interpretazioni basate su di una lettura attenta dei suoi dettagli.
E questi dettagli ci dicono una cosa molto chiara. Gli scienziati di Jurassic Park non sono gli unici responsabili per la (ri)creazione dei dinosauri. Certo, vediamo questi scienziati all’opera nei laboratori dove nascono i piccoli velociraptor, e sentiamo il dottor Wu (BD Wong) rispondere in tono neutro e iperscientifico alle domande dei nostri eroi.
Ma è chiaro che il parco non è veramente figlio del dottor Wu. La trama del film ci dice chiaramente che Jurassic Park altro non è che il figlio delle (supposte) buone intenzioni dell’imprenditore John Hammond. E la via per l’inferno, come tutti sappiamo, spesso tende ad essere lastricata di buone intezioni. Il parco nasce come impresa economica e muore come impresa economica fallita. I soldi regnano a Jurassic Park, come vediamo nella solita solfa da miliardario sballato di Hammond: “We spared no expense!” È ineluttabile nel film l’idea che il parco non sia un sperimento scientifico, ma un villaggio turistico di lusso. Ne vediamo il negozio, la zona alberghiera, il ristorante. Sentiamo la voce degli investitori e degli stakeholders coinvolti in questa operazione commericiale attraverso la voce dell’avvocato Gennaro (Martin Ferrero).
Ora che abbiamo visto chi e cosa ha creato il parco, vediamo chi sono le sue vittime. Come sempre accade nei regimi capitalisti, le vittime sono i lavoratori. La prima scena del film, un presagio di tutto ciò che poi verrà, ci fa vedere la morte brutale di un dipendente del parco che diventa la cena di un velociraptor sfuggito al controllo. Poi, con l’eccezione di Gennaro (che, diciamocelo, era troppo irritante per sopravvivere fino alla fine del film), tutte le morti di Jurassic Park altro non sono che volgari incidenti sul lavoro, dal dottor Arnold (Samuel L. Jackson) a Muldoon (Bob Peck) a Nedry (Wayne Knight). Gli unici a sopravvivere fino alla fine del film sono Hammond e i suoi ospiti, ovvero i “clienti” del luna park giurassico.
E’ quindi veramente la natura ad uccidere all’interno di Jurassic Park? Non è per niente naturale che ci siano i dinosauri nel 1993, o che abbiano il DNA delle rane, o che nascano tutte femmine. Questo è certo. Ma ciò che veramente impazzisce nel film non è la natura, quanto piuttosto un progetto imprenditoriale che ha come suo “core concept” quello di imitare la natura. Non resta che giungere ad una ineluttabile conclusione: i dinosauri di Jurassic Park rappresentano il mercato capitalista.
In molti ritengono il mercato capitalista un fatto naturale. Questo è invece un’invenzione umana, visto che non ci sarebbe mercato senza ben precise scelte economiche ed i rapporti sociali che ne conseguono. Come insegna l’antropologia, inoltre, esistono svariate culture che non hanno mai sviluppato un’idea di mercato. Il mercato capitalista è quindi una creazione umana, sebbene nessun essere umano ne abbia pieno controllo. Questa mancanza di controllo rende il mercato capitalista pericoloso.
Come i dinosauri di Jurassic Park, il mercato capitalista si mangia le persone. Nello specifico, si mangia la vita dei lavoratori. La classe dirigente non prova particolare piacere nella morte della classe operaia. Ciononostante, essa non si preoccupa particolarmente di queste morti, ritenendole un prezzo accettabile per il conseguimento delle loro “imprese”. Non a caso, Hammond e quelli come lui non imparano nulla dal disastro di Jurassic Park, come è ben dimostrato dal fatto che questo blockbuster ha all’attivo ben cinque sequels (che fanno tutti un po’ schifo che consiglio ai lettori di saltare a piè pari a meno che, come me, essi non si divertano in modo nerdissimo a guardare i dinosauri in CGI). Per farla breve, i dinosauri sono dei mostri di creazione umana, e come tale rappresentano il nostro sistema economico.
L’unica risposta ragionevole per non finire in pasto a questi mostri? Fuggire da Isla Nublar il prima possibile. Almeno per una volta, si spera, evitando di farlo a bordo dell’ennesima minchia spaziale.
Nata in Ohio e vissuta in passato a Bologna e a Genova, Mary Migliozzi attualmente vive vicino a Philadelphia, dove lavora nell’ambito dei programmi internazionali universitari. Per oltre 15 anni ha insegnato e ha fatto ricerca accademica in Italian Studies, concentrandosi sulla letteratura dialettale italiana e sulla musica pop e cantautoriale del Bel Paese. È un’appassionata di romanzi gialli inglesi, romanzi russi troppo lunghi per essere letti tutti d’un fiato, e del Festival di Sanremo.