Incontro l’artista Max Marra dopo aver visitato la sua mostra antologica presso il MARCA di Catanzaro[1]. In occasione della serata inaugurale chiedo al Maestro, che conosco da anni, di rivederci per un’intervista non convenzionale. Gli spiego che non voglio genericamente parlare della mostra in corso, piuttosto desidero saperne di più e specificamente di un quadro: Omaggio a mio padre (1987), tecnica mista su legno, 180×180, sicuro che dietro la grande tavola si celi una ragione originaria della sua ricerca artistica.

Penso che “Omaggio a mio padre” sia un’opera primigenia rispetto alla tua ricerca artistica.
Ricordo un prima e un dopo, ricordo di aver disegnato tanto sin da bambino, ricordo che ancora abbastanza giovane, forse anche artisticamente acerbo o non risolto, ho inseguito una grafica “politica”, contenutistica, come certa “arte impegnata” di quegli anni ’70. Poi qualcosa riemerge dalle memorie di famiglia e comincia a dipanarsi un’arte diversa, più intima, ma paradossalmente più condivisa o “universale”. Quel quadro che tu ami particolarmente va inteso come una sorta di manifesto di una visione artistica che avrà poi nell’arco di quasi quattro decenni esiti diversi, talvolta inaspettati, tutti però coerentemente concatenati come le carrozze di quel treno che puoi vedere nel quadro.
Vedo il treno che non sai dove inizia e dove finisce, vedo il ponte che lo accompagna in alto, vedo quella montagna nella sua insolita collocazione, non dietro ma avanti, e leggo di un omaggio a tuo padre. Parlami di lui.
Le origini della mia famiglia sono campane, precisamente casertane, però mio nonno nasce in Lucania e dopo una breve esperienza newyorkese come “mastro muratore” rientra in Italia per lavorare in ferrovia nella nuova tratta a binario unico Reggio Calabria-Taranto. Mio padre nasce a Cosenza, anche lui lavorerà una vita in ferrovia, dirigente capo del deposito ferroviario della stazione di Paola, uno snodo strategico per le ferrovie statali del sud d’Italia. Paola–Castiglione cosentino-Cosenza–Sibari–Metaponto–Taranto, una tratta ferroviaria di speranze, fatiche, amori, dolori, migrazioni a raggio corto. Io stesso ho usato quei treni per andare a lavorare a Taranto, sede meridionale dell’Italimpianti di Genova, nei cantieri Italsider.

Ma torniamo al dipinto del 1987. Come nasce? Perché un omaggio a tuo padre?
Il dipinto nasce dai fumi del petrolio, dall’odore del grasso usato per lubrificare gli ingranaggi delle cremagliere delle littorine passeggeri, un odore che non direi acre, mi viene da dire “catramoso”, particolarmente intenso nelle giornate torride d’estate, così come l’odore della nafta per alimentare quelle stesse littorine; invece del carbon fossile per le locomotive a vapore, quelle per il trasporto merci, ricordo le forme geometriche a tronco di piramide per finalità di ordinato deposito, affinché non scivolassero, così mi spiegava mio padre. Ricordo le officine, tutto in esse creava in me suggestioni visive e tattili che poi avrei provato a trasporre nelle mie pitto-sculture.
Descrivimi meglio il quadro. Il significato di quel ponte che si compenetra nel cielo di nuvole e di ombre della sera.
Il ponte reale nel tratto Falconara–San Fili della linea ferroviaria Paola–Cosenza è invero in muratura, la mia scelta di un intreccio ferroso è piuttosto una scelta stilistica, un rimando a certo espressionismo tedesco. Dentro il disegno le medesime componenti materiche di quel deposito ferroviario su descritto. Ho disegnato/dipinto a catrame, a petrolio, sopra classiche sanguigne nere e rosse e gessetti bianchi, una commistione di colori convenzionali e di altri non convenzionali, come non convenzionale vuole essere la nostra chiacchierata-intervista.

Noto che mi riporti sempre all’espressione pittorica, agli aspetti più prettamente estetici, ma dimmi delle simbologie, degli aspetti contenutistici, se possibile.
Nel dipinto c’è un padre che non è solo un capo deposito ferroviario. Mio padre amava proporsi come uno sceneggiatore per la mia pittura. Annotava temi che avrei poi dovuto sviluppare visivamente, temi quasi sempre con una forte valenza politico-sociale, comunque etica, per una pittura ancora una volta “impegnata”. La fede socialista sopra tutto.
Dimmi ancora di quel treno in alto sul ponte. Dimmi di più.
In quel treno ogni vagone è un ricordo. Quello è il treno che mi ha portato a nord a rincorrere il sogno di diventare un pittore. Avevo un’idea chiara: andare dove fosse possibile assecondare la mia inclinazione artistica, volevo incontrare “la modernità dell’arte”. Milano mi sembrò il centro dove tante e diverse periferie potessero confluire magnificamente.
Carissimo Max, se mi permetti voglio dirti io qualcosa di quella montagna insolita e incombente, quella montagna è tuo padre, una montagna da cui è possibile osservare l’inizio ma non la fine di quel treno, che sei tu.
Massimo caro, è la prima volta che mi ritrovo a parlare e in questi termini di quel quadro. Devo tanto a mio padre. Lui ha sempre creduto in me, mi ha incoraggiato, sostenuto, è lui che ha voluto che diventassi un artista, insolito padre per quel tempo. Insolita Montagna.
Photographer: Massimo Maselli
Artist: Max Marra
Location: MARCA, Catanzaro (Italy)
Note
[1] Max Marra, L’INQUIETA BELLEZZA DELLA MATERIA, a cura di Teodolinda Coltellaro, Museo MARCA, Catanzaro, 25.06.2021 – 07.09.2021.

Cosentino di nascita, sopravvivo a Roma, estrema propaggine di Calabria. Artista visivo, da qualche anno in prestito alla fotografia, mi accorgo di continuare a dipingere anche quando scatto foto. La verità è che non capisco mai nelle cose che faccio dove inizia e finisce la pittura, dove la scenografia, la ceramica, la scultura, la fotografia. Capita pure di essere premiato, così è successo nel 2005, nell’ambito della III Biennale Internazionale della Magna Grecia di San Demetrio Corone (CS). Ho voluto che il dipinto presentato in quell’occasione, “Bastardo a Sud”, fosse l’immagine emblematica della mia rubrica su DEEP HINTERLAND: quale immagine migliore per i miei “percorsi artistici marginali”?