Sì, ho già letto tutti i testi sanremesi di quest’anno. La mia passione per il Festival è ben nota a chi mi conosce. Spesso amici e colleghi italiani mi chiedono come mai a me, professoressa americana di italianistica (una branca del sapere che si occupa molto più spesso di Dante e Petrarca che non di Morgan e Bugo), né abbastanza vecchia per avere nostalgia per Modugno né abbastanza giovane per nutrire una passione particolare per Damiano dei Måneskin, interessi così tanto questa tradizione della cultura pop italiana. Allora prima di commentare per voi i testi sanremesi del 2022, cercherò di rispondere a questa domanda: da dove nasce la mia passione per la musica pop italiana ed in particolare per il Festival di Sanremo?
Potrei chiamarla un interesse professionale, certo. Ovviamente da insegnante di lingua mi piacerebbe che gli studenti sentissero di più l’italiano al di fuori delle mie lezioni. Per questo li incoraggio sempre (anche se non so con quanto successo) a guardare film italiani e ad ascoltare canzoni in italiano. I miei studenti ascoltano musica italiana anche in classe e, se foste curiosi delle loro reazioni, vi dico che apprezzano molto Mahmood, Madame, Ghali ed i Pinguini Tattici Nucleari e sono generalmente tutti d’accordo che Fedez “can’t rap”. Però, devo dire che non è per lavoro che ho Malika Ayane e Irama su ogni mia playlist.
Allora, se non è per gli studenti, potrei dirvi del mio apprezzamento intellettuale per la tradizione cantautoriale italiana. Che veramente è un amore sincero: ho presentato ricerche a conferenze accademiche internazionali ed ho pubblicato saggi sull’argomento. In casa mia a Philadelphia ho una stampa enorme sulla parete con una citazione di De André. Conosco a memoria quasi tutte le canzoni di Rino Gaetano. Ma non sarei completamente sincera se vi dicessi che mi piace solo la parte poetica o impegnata della musica italiana…ed in fondo non credo che ci sia una linea diretta che collega “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè con “Dove e quando” di Benji & Fede. Eppure Spotify mi assicura che questo tormentone capolavoro l’ho ascoltato almeno cento volte nel 2021.
Con la scusa che l’amore spesso non ha una spiegazione logica, mi arrendo e dico che la pop italiana mi piace semplicemente perché mi piace. Ma ciò da solo non basta per spiegare la mia passione particolare per il Festival di Sanremo.
Quando cerco di spiegare il Festival ad altri americani, cerco di paragonarlo ai Grammy o ad American Idol. Però veramente non esiste niente di simile al Festival di Sanremo in terra americana, nel senso che da queste parti non esiste una manifestazione nazional-popolare in cui artisti già conosciuti si assumono il rischio commerciale di presentare al pubblico canzoni inedite e farne competizione l’uno contro l’altro. A dirla tutta, forse la cosa più simile a Sanremo in America sarebbe il Superbowl. Entrambe le manifestazioni di solito accadono nel mese più breve e più grigio dell’anno; entrambe sono l’evento televisivo dell’anno; entrambe suscitano congetture per settimane prima e discussioni per settimane dopo. Ma invece di ventidue uomini che si pestano a sangue per quattro ore, in Italia tutto il paese guarda (circa) venticinque cantanti che fanno spettacolo per cinque serate.
Sì, le battute e i discorsi che vengono fatti sul palco dell’Ariston sanno essere cringe, ed assieme a qualche bella canzone ci sono anche quelle brutte ed addirittura quelle stupide, ma mi ci diverto lo stesso. C’è chi mi dirà che Sanremo è in fondo solo una manifestazione commerciale, e certamente lo è, ma tanto non è che se tutti ci mettiamo d’accordo per ascoltare solo la musica di Woody Guthrie battiamo il capitalismo. Nel mio paese non esiste una celebrazione simile della musica, un evento che potrebbe affiancare un cantante amato da tua madre al diciottenne che ha fatto la canzone più streamata dell’estate. E, diciamolo apertamente, è un vero peccato che una cosa del genere in America non ci sia.
Secondo me gli italiani tendono a sottovalutare la loro musica pop, e non parlo solo di quella sanremese. Cantautori statunitensi come Bob Dylan hanno sicuramente ispirato quelli italiani nel corso dei decenni, ma l’America non ha mai prodotto un De André, ovvero uno che per quaranta anni si è rinnovato in continuazione attraverso collaborazioni ed esperimenti sia musicali che testuali. E poi, diciamocelo chiaramente una volta per tutte, Bob Dylan per quanto bravo ha sempre avuto la voce di una rana raffreddata. Servono altri esempi per tessere le lodi della musica pop italiana? Quando Madonna negli anni Ottanta scandalizzava l’America con temi sessuali dal tono noioso, reazionario e patriarcale, in Italia la Carrà già da decenni inneggiava alla sessualità femminile e Gianna Nannini sdoganava la masturbazione ed il sesso saffico in chiave rock.
Insomma, per me la musica pop è una pura gioia, e non conosco altro evento che la celebri in questo modo (a parte l’Eurovision, che è modellato ed ispirato al Festival di Sanremo sul piano storico). Mi entusiasmo sia per i momenti più belli che per i momenti più trash del Festival. E quale modo migliore di un’analisi testuale dei contributi di quest’anno per dimostrarvi questo mio amore? Quindi adesso mi butto sui testi delle canzoni in gara quest’anno, apparsi online da pochi giorni. Per evitare di annoiarvi, non li commento tutti (tanto le osservazioni interessanti da fare sul testo di Ana Mena sono poche, a parte che, a quanto pare, le piacciono i Cuba libre). Però vi faccio un po’ di highlights, sperando che voi ne possiate trarre almeno un po’ del piacere che provo io a scriverli.
Achille Lauro, Domenica: Testo che avrebbe potuto scrivere un bot con una conoscenza basilare dei brani precedenti di questo noto cantautore e provocateur seriale. Metà della canzone solo “ah ah ah” e “oh sì sì” e “oh no no”. Ma chissenefrega; tanto, non è mai stato per i testi che ci piace Achille Lauro.
Aka 7even, Perfetta così: Un paio di mesi fa quando ho recensito sempre per Deep Hinterland i tormentoni dell’estate 2021, temo di aver trovato Loca poco originale, dicendo che mi provocava un certo senso di déjà vu. È troppo brutto se ora vi dico la stessa cosa? Perché questa canzone l’ha già scritta Bruno Mars 12 anni fa.
Ditonellapiaga e Donatella Rettore, Chimica: Nel caso immaginaste che questa canzone parli di chimica nel senso scientifico del termine, le cantautrici vi assicurano: “E non c’è iodio oppure zinco / È solo marmo bianco e muscoli bollenti.” Fra l’altro, a me sembra un testo proprio pronto all’Eurovision, n’est-ce pas? O forse lo sto dicendo solo perché le ho come capitane della mia squadra di Fantasanremo.
Emma, Ogni volta è così: Non ho molto da dire sul testo, però la sua scelta di duettare Baby One More Time con Francesca Michielin nella serata cover merita un commento. Chi si meraviglia della scelta, infatti, sappia che il nuovo regolamento di quest’anno permette sia le cover internazionali che le cover dagli anni novanta, il che è un cambiamento notevole rispetto alla tradizione Sanremese. Possiamo aspettarci uniformi scolastiche sexy, gente che balla con gli armadietti delle high schools, treccine con terribili elastici in rosa shocking e royalties che finalmente finiranno nelle tasche della Spears? Ancora non lo sappiamo, ma (quantomeno da Americana) lo spero davvero tanto.
Fabrizio Moro, Sei tu: Un’appassionata canzone d’amore in cui, come al solito, il Moro si prende molto sul serio e sembra pensare di dire qualcosa di molto profondo quando invece finisce per parlare solo degli occhi e del destino come tutti gli altri stronzi.
Giovanni Truppi, Tuo padre, mia madre, Lucia: Guardate che non ce l’ho con tutte le canzoni d’amore. Questa non sembra male.
Gianni Morandi, Apri tutte le porte: Il testo sembra scritto da uno speaker motivazionale da due soldi. Invece è scritto da Jovanotti. Il che è forse un po’ la stessa cosa.
Highsnob e Hu, Abbi cura di te: Ho letto tutti i testi di quest’anno con la fervida speranza di trovare un verso bello-brutto al livello di quel gioiello dei Coma_Cose dell’anno scorso: “Galleggio in una vasca piena di risentimento / E tu sei il tostapane che ci cade dentro”. E forse qui l’ho trovato: “Perdo la testa come Oloferne”.
Irama, Ovunque sarai: “Se sarai vento canterai / Se sarai acqua brillerai”. Quando io, da prof d’italiano, leggo questi versi, posso pensare solo due cose: 1) Bene, lo tengo nel cassetto per un’eventuale lezione sul periodo ipotetico di primo grado; 2) “S’i’ fosse foco arderei ‘l mondo…” Dubito sinceramente che sia voluto il parallelo strutturale con il buon vecchio Cecco Angiolieri, visto che parliamo di Irama e non di De André, ma probabilmente continuerò a pensarci come continuo a pensare che Alieno dei LRDL si basi sui Trionfi di Petrarca.
Matteo Romano, Virale: Hai mai sentito una canzone che parli dei social senza essere un po’ cringe? www.mipiacitu meritava di rimanere solamente un oscuro ricordo del passato.
Rkomi, Insuperabile: Esiste uno storico sottogenere della musica pop (non solo quella italiana) che potrei descrivere più o meno così: canzoni scritte da uomini su argomento romantico-erotico che hanno come metafora o allegoria predominante una macchina, ma in cui il simbolismo diventa così pesante che finisci per credere che veramente quest’uomo sia attratto sessualmente dalle automobili e non dalle persone. Ecco, questo testo di Rkomi si piazza proprio in questo sottogenere. Ma ha anche dei difetti.
Sangiovanni, Farfalle: Canzone leggera anzi leggerissima che parla di niente. Sono sicura che mi piacerà un sacco.
Yuman, Ora e qui: Il vincitore di Sanremo Giovani ha 26 anni. Non sono pochi per cantare della vita come un viaggio? Ed anche per cantare My Way nella serata cover?
E così ho finito i miei highlights. Adesso non ci resta che aspettare la Settimana Santa.
Speriamo che anche quest’anno il Festival ci regali qualcosa di orecchiabile anche in modo esasperante tipo “Musica leggerissima,” qualcosa che nessuno se l’aspetta tipo la vittoria dei Måneskin e qualche mini scandalo tipo Bugo e Morgan. Anche perchè se la speranza è sempre l’ultima a morire, in Italia il Festival di San Remo si piazza quasi sempre al penultimo posto. E forse è anche giusto che sia così.
Nata in Ohio e vissuta in passato a Bologna e a Genova, Mary Migliozzi attualmente vive vicino a Philadelphia, dove lavora nell’ambito dei programmi internazionali universitari. Per oltre 15 anni ha insegnato e ha fatto ricerca accademica in Italian Studies, concentrandosi sulla letteratura dialettale italiana e sulla musica pop e cantautoriale del Bel Paese. È un’appassionata di romanzi gialli inglesi, romanzi russi troppo lunghi per essere letti tutti d’un fiato, e del Festival di Sanremo.