L’acronimo S.O.T.Y. che dà il titolo alla rubrica che ogni mese scrivo per Deep Hinterland sta per “Society Of The Year”. Nel gergo giovanile, questo acronimo viene di solito utilizzato per indicare “la cosa dell’anno, il trend del momento”. Della serie: “Ma l’hai visto l’ultimo film di Spider-Man? È così soty!” E quale modo migliore per inaugurare l’anno nuovo se non scrivere un pezzo sulla cosa più soty del 2022? Ovviamente, sto parlando del Covid.
Lo so. Il Covid vi siete stancati anche solo di sentirlo nominare. Ma è proprio questo capodanno che il più soty di tutti i virus è riuscito finalmente a colpirmi. E’ stata un’esperienza molto traumatica, non solo a livello psicologico ma anche di servizio sanitario. Un’esperienza aggravata dal fatto che prendersi il covid qui in provincia non è davvero per nulla facile.
Tutto è iniziato il 29 di dicembre. Ci stavamo organizzando con alcuni amici per il capodanno e, per stare sicuri visto lo spropositato aumento di contagi, abbiamo deciso di farci tutti quanti un tampone prima di passare la notte di San Silvestro tout ensemble. Io ed il mio compagno (che chiameremo F.) andiamo in farmacia per fare il suddetto tampone. Risultiamo entrambi negativi, felici di poter organizzare il nostro party. O almeno così credevamo.
Il giorno dopo, il buon F. torna dal lavoro e scopre di avere qualche decimo di febbre. Per precauzione e senso civico decidiamo quindi di non presentarci alla festa. Il giorno dopo, la febbriciattola passa e quindi F. se ne torna come ogni giorno a lavorare. Infatti, come recita la legge italiana in merito a questo genere di situazioni, puoi andare a lavorare se non arrivi a 37,5 di febbre. Ritornato a casa dal lavoro, F. questa volta era uno straccio: tosse, naso tappato, voglia di morire e febbre a 37,6. Perfetto, il nostro capodanno era necessariamente saltato.
Come se ciò non fosse già abbastanza, l’1 Gennaio la febbre è venuta anche a me.
Insieme a dolori muscolari o alle ossa (non l’ho ancora capito pienamente), mancanza di ossigeno, stanchezza ed incapacità di concentrarmi sulle cose. Ovviamente, io ed F. ci siamo auto-messi in quarantena dal 31. Il tampone in farmacia – quello antigenico rapido – siamo andati a farlo il 2 gennaio. Nonostante tutti i sintomi, io sono risultata negativa mentre F. è risultato positivo. Ma come potevo essere negativa al Covid se ne avevo tutti i sintomi? Era impossibile.
Allertiamo quindi i nostri medici di base. Il mio mi prenota un tampone molecolare segnalandomi all’ASL come contatto di un positivo. Questo voleva dire solo una cosa: che il tampone molecolare me lo avrebbero fatto a 5 giorni dalla segnalazione. Il medico di base di F. invece gli manda le linee guida di ciò che deve fare ed i medicinali da prendere, dicendogli che sarà chiamato direttamente dall’ASL poiché il tampone fatto in farmacia, tramite sistema informatico, comunica direttamente al dipartimento di prevenzione che a sua volta avvisa l’Asl di tutti i soggetti riscontrati positivi ed in diritto di tampone.
Lo so, è un passaggio un po’ complicato. Ma è un passaggio importante per poter comprendere il proseguo di questa avventura così soty.
Qualche sera dopo, mi arriva finalmente la chiamata dall’ASL di Taranto, che mi da appuntamento al 7 gennaio per fare il tampone molecolare, al quale ovviamente sono risultata positiva. Il problema è stato che dopo questo tampone positivo l’ASL di Taranto non mi ha più chiamata per fare quello di avvenuta guarigione. E sapete perché? Perché, una volta risultata positiva, ho raggiunto F. nel girone infernale del Dipartimento di prevenzione, quello dei condannati ad essere persi per sempre, e dove non ci sarà nessuna chiamata dell’Asl a salvarli.
L’unico modo per uscirne era fare il tampone rapido in farmacia al decimo giorno di quarantena, al quale ovviamente siamo risultati negativi. Ma questo era scontato. I tamponi antigenici rapidi non sono assolutamente affidabili come un molecolare, poiché riescono a rilevare l’infezione solo entro i 5 giorni dall’insorgenza dei sintomi. Dopo di che o, come nel mio caso, prima di ciò, il virus non è assolutamente rintracciabile. Il molecolare invece riesce ad individuare il virus già due giorni prima che insorgano i sintomi e fino a 15 giorni dopo. Come spiega questo grafico pubblicato da Will Media.
Mi piacerebbe dirvi che la storia finisce qui, ma non è così. Lo step successivo si chiama green-pass! Ci sono diverse premesse da fare. Non essendo mai stati contattati dall’ASL dopo la positivà, avevamo paura che non fossimo mai stati considerati come persone che hanno contratto il virus e che quindi non avessimo neanche diritto alla tanto ambita certificazione verde.
Per cercare di farci notare in qualche modo dall’asl, abbiamo prima telefonato a tutti i numeri verdi presenti sul sito Puglia-Salute. Quattro di questi numeri verdi risultavano inesistenti, mentre il quinto risultava irrintracciabile perché era sabato e gli uffici che lo gestivano erano ferocemente chiusi. Io ed F. ci spostiamo quindi su di un mezzo di comunicazione più immediato ed inviamo una mail al già citato sito Puglia-Salute chiedendo tutte le informazioni del caso. Ci viene risposto con una email preimpostata in cui si scusavano del disagio, dicendoci che il sistema del dipartimento di prevenzione era in down e che per segnalarci avremmo dovuto inviare un’altra email con tutti i nostri dati. Questa ci avrebbe permesso di essere ricontattati dall’Asl. Ovviamente non c’è mai stata alcuna risposta, ma soprattutto nessuna chiamata.
Mentre andavamo via via terminando i nostri giorni di quarantena, in Puglia sono nuovamente cambiate le regole dei giochi. Come se di confusione sotto il cielo non ce ne fosse già abbastanza. A partire dal 12 Gennaio, infatti, tutte le persone risultate positive al Covid-19 sono state prese in carico dai medici di base. Ciò significa che dal 12 gennaio 2022 sono i medici di base a segnalare all’ASL la positività dei soggetti ed a prenotare loro i tamponi. Provvedimento preso per aiutare il Dipartimento di Prevenzione ad espletare tutti i casi positivi accumulati nel corso delle settimane a cavallo fra il 2021 ed il 2022.
Un inizio di anno scoppiettante, in poche parole. Ed il green pass? Il green pass, una volta risultato negativo il tampone di fine quarantena, avrebbe dovuto arrivarci entro 48 ore. Ovviamente non è stato così. Questa volta non è colpa della regione, ma di IRIS (il sistema informativo utilizzato dal SSN per la gestione delle attività di sorveglianza epidemiologica) che non ha mai bloccato il mio vecchio green pass, rimasto attivo per tutto il periodo della mia quarantena ed oltre. Dopo aver attivamente contattato la qualunque ed aver sempre ricevuto come risposta un banalissimo “aspetta domani”, insomma, il super green pass mi è arrivato con una settimana di ritardo rispetto al tampone negativo.
Me ne rendo conto. La mia (dis)avventura con il covid è una storia molto lunga e sicuramente avrò omesso molte cose, come la mia incapacità nello scolare anche solo la pasta, l’affanno durante le telefonate che non riuscivo a reggere, l’aver sfogato la mia ira contro il Servizio Sanitario Nazionale con chiunque, oppure l’aver scoperto che per utilizzare un saturimetro bisogna non avere alcun tipo di smalto sulle unghie.
Non so voi, ma dopo due anni di pandemia non riesco a tollerare una situazione di totale impreparazione come quella che ho dovuto affrontare in questa scoppiettante anticamera del 2022. Lo dico almeno per due motivi:
1) Non esiste solo il covid. Trovo quindi davvero ingiusto che il mio medico di base debba occuparsi solo di questo, rimandando altre visite mediche e quindi mettendo in pericolo la gente. Specie perché nel frattempo gli hub vaccinali che non sono neanche in paese (nonostante conta 17.000 abitanti, fra cui diversi anziani che non possono stare in piedi per fare le file al freddo) sono aperti una sola volta a settimana.
2) Osservando come gli altri paesi europei stavano già affrontando la variante omicron da diverse settimane, noi italiani sapevamo già da tempo che saremmo andati incontro ad una quarta ondata. Potevamo prepararci ed invece l’unica cosa che è stata fatta è stata accelerare le terze dosi.
È vero che il vaccino ci consente diversi comfort tra cui quello di avere una percentuale più bassa di possibile intubazione e morte. Ed infatti ringrazio me stessa per averlo fatto senza indugi visto come sono stata. Soprattutto se fatto da tutti, è bene ribadirlo, il vaccino permetterebbe anche di riaprire molte sale operatorie e le visite ambulatoriali. Tuttavia, allo stato attuale non è assolutamente l’unica soluzione per fermare la diffusione del contagio. Sempre che la si voglia fermare o che fermarla sia oggettivamente possibile.
No, il mio non è un pensiero di complotto. Semplicemente l’Europa sta vagliando l’ipotesi di passare da Pandemia ad Endemia, e di cominciare a trattare il coronavirus come fosse una normale influenza. Il problema, in base alla mia esperienza, è che questa non è assolutamente una normale influenza. La cosa che mi ha fatto più riflettere ed arrabbiare di questa mia vicenda è che nessuno sapeva che noi fossimo persone positive e che quindi si sarebbero potuti creare focolai inimmaginabili se io avessi avuto una gestione più spensierata della mia malattia. Ma cosa succede quando a prendersi il covid sono persone con meno senso civico di me ed F.? Cosa sarebbe successo se avessi deciso di entrare ed uscire da tutti quei luoghi ancora aperti al pubblico nel mio pese sapendo di essere positiva ed avvalendomi di un green pass ancora valido?
Insomma, considerando tutte queste disfuzioni non mi stupisce se i complottisti sono complottisti. Anche io forse lo sarei se non fossi in grado di capire che in Italia si fa un pò tutto (citando il Renè Ferretti di Borisiana memoria) “a cazzo di cane”. Con tutto il rispetto per i cani, i quali ancora non sono in grado di trasmettere all’uomo alcuna variante del Covid-19.

Tarantina per nascita, sociologa per scelta, classe 1992. Attiva da anni nell’ambito associazionistico e nel settore accademico, ho da sempre un occhio di riguardo per la mia sopravvivenza materiale. Ho lavorato in campagna e nei ristoranti, ed ho fatto l’educatrice in bicicletta. Tutto ciò solo per raggiungere il mio scopo primordiale: vivere di comunicazione. Mi piacciono i social, che studio e pratico. Nutro anche una (in)sana passione per la fotografia ed il disegno, che cerco testardamente di ibridare al mio lavoro ogni volta che posso. Quando ero piccola, mi sono costruita la casa di Hamtaro da sola con una scatola da scarpe. Ma poi mia madre me l’ha buttata via.