Week-end con il Covid: turismo e sfruttamento stagionale nella lunga estate dei green pass

Nonostante la pandemia, anche quest’anno possiamo felicemente affermare di aver fatto le nostre meritate vacanze. Certo, diverse rispetto a ciò che eravamo abituati a fare. Anche se…non abbiamo per niente scordato come si fa. Basta pensare alle discoteche di Gallipoli, al rave di Viterbo o al concerto di Salmo ad Olbia; tutti segnali che ci dimostrano che noi Italiani siamo ancora molto bravi a fare gli assembramenti e che non è assolutamente vero che non sarebbe stato più niente come prima.

La voglia di vivere e provare a recuperare tutti quei mesi della nostra vita passati chiusi tra le mura di abitazioni che hanno visto nascere le nostre psicosi più impensabili ci ha forse portati anche a smettere di avere rispetto per gli altri. Di sicuro ci ha istigati a perdere empatia ed a dare sempre più spesso la colpa agli altri per la nostra insana incapacità di accettare la più semplice delle realtà: c’è una pandemia in atto ed è normale, per quanto sindacabile, tutto ciò che ci sta succedendo a livello politico e normativo. Soprattutto se a chiederci di evitare una strage di massa è la stessa Costituzione.

Estate 2021: il concerto del rapper Salmo ad Olbia.

È stato un anno turbolento questo, ed un’estate forse ancora più strana di quella del 2020. Sta di fatto che alcuni aspetti legati a questa pandemia sono venuti fuori in maniera molto prepotente, mettendo in risalto (ed anche in collegamento) diversi aspetti che ad occhio nudo non sempre sono così evidenti.

Per cercare di salvare l’estate a livello economico, il governo ha spinto il più possibile affinché la campagna vaccinale non risultasse un flop totale. Un po’ per paura di nuovi focolai ed un po’ perché la pressione della fame da parte dei commercianti e venditori di servizi era tanta. In particolare, il settore dello spettacolo fortemente in ginocchio ha dovuto trovare dei modi per reinventarsi. In tutti i sensi. L’ostacolo più grande è stato, ed è tutt’ora, quello del green pass: uno strumento che (almeno sulla carta) dovrebbe servire a proteggere sia la salute delle persone (vaccinate e non), che gli interessi economici degli operatori del Terzo Settore.

Per accedere ad un concerto/evento è necessario avere il green pass; per consumare pasti in un locale al chiuso serve il green pass; per andare al teatro, al cinema o in palestra serve il green pass. La cosa divertente, però, è che da un punto di vista legale non è necessario che i lavoratori di queste strutture ne siano in possesso. In questo modo, abbiamo assistito a scene di persone che si portavano il cibo da casa perché, durante la pausa pranzo, non potevano mangiare nella mensa dell’azienda in cui si trovavano a lavorare per tutto il resto della giornata.

Il famigerato green-pass, vero e proprio pomo della discordia in questa lunga estate italiana.

A questo punto, mi chiedo, non sarebbe stato più facile imporre l’obbligo vaccinale, così come si è fatto per tutti i vaccini da che io ne ho memoria, senza creare tutto questo disagio? E, sempre riflettendo fra me e me, è mai possibile che per non perdere consensi elettorali si giochi in questo modo con la vita di milioni di persone? Domande retoriche per risposte ovvie, che però non sapremo mai con certezza.

Una storia paradossale l’abbiamo vissuta in Puglia, quando mancavano i vaccini per i residenti mentre per i turisti era possibile effettuare la seconda dose. Qui la storia comincia a diventare davvero paradossale, perché ad un certo punto ti rendi conto di come l’etica capitalista dell’Italia di oggi ha creato un vero e proprio mostro anti-etico. I luoghi, le città, i paesi, sono sempre più a misura di turista (pagante, sia ben chiaro) che di cittadino.

E questo mica solo in Puglia. In tutta la Sardegna, stando ad un articolo recentemente pubblicato su la nuova Sardegna, solo due alberghi sono rimasti Covid Hotel durante la stagione estiva, mentre tutti gli altri hanno deciso di ritornare ad offrire esclusivamente servizi di soggiorno turistico. Alla fine, i 66€ per notte richiesti dagli albergatori per chi usufruiva dei servizio di Covid Hotel erano davvero un prezzo da fessi di fronte a tutta la magia dell’estate sarda. Anche se i Covid Hotel erano occupati da persone non-vaccinate o che avevano effettuato una sola dose, questo ha creato non pochi disagi per i Sardi, già provati dagli incendi che hanno colpito la loro regione a causa del forte caldo, che si sono trovati ad avere centri di quarantena lontanissini da Cagliari (ovvero il capoluogo e centro maggiormente abitato della loro Regione).

In realtà questi sono solo dei piccoli esempi di quello che costantemente succede nei centri turistici italiani. Il caffè a 3€ a Gallipoli non possono sicuramente permetterselo la maggior parte dei pugliesi. Quando arrivano i vacanzieri, le città smettono di essere per gli abitanti e cominciano a trasformarsi in luoghi per la creatività, lo svago ed il tempo libero senza tenere in considerazione che a pagare il conto più salato sono spesso i cittadini locali. Nei cosiddetti luoghi di villeggiatura, diventa sempre più complicato trovare una casa perché i proprietari degli immobili hanno scoperto che è molto più vantagioso affittare le case a studenti, lavoratori trasfertisti, turisti, ed vari altri target “neo-borghesi” che, una volta finita la giornata produttiva, cercano luoghi di svago in cui potersi rigenerare.

Caffè con ghiaccio e pasticciotto: una tipica colazione turistica sul lungomare Salentino.

Per quanto l’idea di impostare un’economia di territorio sulla soddisfazione del turista possa suonare allentante dal punto di vista dei profitti immediati, questo concetto crea un  problema molto grave che l’arrivo del coronavirus ha portato a galla in maniera ancor più drammatica del consueto: l’impatto dell’esconomia turistica sui lavoratori del cosiddetto terzo settore, ovvero su quelle persone il cui lavoro è fare in modo che le nostre vacanze siano perfette.

Camerieri, cuochi, baristi, operatori dello spettacolo, pagati a nero, non pagati o sottopagati, con contratti inesistenti e che, con l’arrivo della pandemia, non hanno potuto beneficiare neanche di quei pochissimi 600 euro che gli avrebbero permesso di pagare le loro stanze in affitto con altri inquilini a 30-40 anni. Molti di questi lavoratori sono costretti ad accettare lavori stagionali in cui vitto e alloggio sono compresi nello stipendio, e dove l’alloggio in questione spesso non può nemmeno definirsi tale. Scantinati, sgabuzzini, seminterrati senza finestre con materassi e terra.

In alcuni casi gli albergatori sono addirittura convinte che i dependenti siano una loro proprietà, e quindi obbligano loro a chiedere il permesso per uscire dalle strutture dove lavorano nel poco tempo libero a loro disposizione. Anche perchè, a conti fatti, che se ne fa di una libera uscita o di un alloggio abitabile una persona alla quale viene comunque richiesto di lavorare anche per 16-18 ore al giorno? Certo, le ripercussioni legali per eventuali fatalità fanno paura quando si sa di non essere in regola. Ma spesso nemmeno paura riesce a cedere il passo al profitto.

Il noto sindacalista Aboubakar Soumahoro chiama questi lavoratori gli “invisibili”, ed ha ragione. Quando intraprendi questo tipo di mestiere è come se scomparissi, non solo perché effettivamente i tuoi diritti vengono magicamente cancellati, ma anche perché è come se ti stessero facendo un favore nel farti lavorare. Niente più giorno libero, niente vita sociale, niente straordinari pagati, niente malattie, niente di niente. La parte più brutta è quando arriva un controllo e devi scappare come se fossi un ladro, quasi che fosse colpa tua, ed invece stai solo lavorando.

Il sindacalista Aboubakar Soumahoro

Insomma, con l’arrivo del Covid ed il primo lockdown, sembrava che tutto questo fosse venuto a galla, che avrebbe portato ad una rivolta o quantomeno ad una serie di proteste, o anche più semplicemente ad un momento in cui l’opinione pubblica nazionale si rendesse conto che esiste tutto un settore che è stato totalmente abbandonato o forse mai considerato da niente e da nessuno. Purtroppo però non è cambiato nulla, non è successo niente che potesse aiutare i lavoratori a comprare un caffè a tre euro sul lungo mare di Gallipoli.

Anzi, la maggior parte dei lavoratori stagionali del comparto turistico quest’anno ha deciso di non lavorare affatto. L’unica rivolta, seppur misera, silenziosa ed individuale (infatti non si è creato un movimento, è successo all’unisono e basta) è stato il fatto che molti di questi lavoratori hanno spontaneamente deciso di non accettare lavori sottopagati e privi di diritti, generando un moto di sconforto e rabbia nei datori di lavoro che non riuscivano a trovare personale. Cosa che ovviamente non ha bloccato gli eterni piagnoni dell’imprenditoria italiota.

Questi ultimi ne hanno semplicemente approfittato per sfoderare la carta migliore che potessero ancora giocarsi: affidare le mansioni rimaste libere al cosiddetto “regazzino.” Il regazzino, vera e propria propria figura archetipica della società “reganiana“, accetta di tutto pur di avere due spiccioli in tasca: contratti falsi come Garanzia Giovani, settimane lavorative senza giorno libero, una quantità fantozziana di ore lavorative giornaliera, la colite ulcerosa e lo stress cronico. A 17 anni.

“Regazzino” all’opera in un ristorante italiano

Questa soluzione però non è sempre la migliore dal punto di vista funzionale sia perché chi lavora da troppo lavora male (specie se non ha alcuna esperieza professionale alle spalle) sia perchè chi viene servito da un incompetente spesso finisce per lamentarsi del servizio. C’è da dire inoltre, e forse soprattutto, che anche i “regazzini” ad una certa diventano grandi e se lo ricordano bene di quando i loro vecchi datori di lavoro dicevano loro: “i giovani sono choosy, non hanno voglia di lavorare”.

In poche parole, l’industria turistica in questa lunga estate italiana è stata praticamente un cane che si morso la coda per tutta la stagione. Il che deve farci riflettere ogni volta che andiamo ad un concerto, entriamo in un ristorante, e soprattutto quando andiamo in vacanza. Perché spesso rendere un posto vivibile per noi turisti fa diventare invivibile quel posto per chi lo abita da sempre. Con o senza una pandemia in atto e a prescindere dai pass di qualunque colore.

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