Destrosio

In questi giorni ha attirato la mia attenzione questa specie di crociata bipartisan anti influencer lanciata da una certa elite intellettuale (sospensione di incredulità, state al gioco) di area conservatrice (state-al-gioco), e raccolta da un certo numero di personalità di area lib, in una specie di minculpop strutturato sul disprezzo generale verso un nemico comune nella forma di ragazza bionda e un po’ vacua con una ventina di milioni di follower su Instagram.

Volendo ignorare per una volta i soliti pretucoli laici di area centrosinistra tipo Tosa, Cecchi, Del Prete e simili, che quando possono mettere il faccione di qualche social media personality allegato alle loro agiografie instant zuccherose probabilmente provano proprio una sorta di piacere sessuale, è interessante notare come i vari lacchè organici alla normalizzazione permanente della nostalgia del manganello abbiano fatto massa critica, riuscendo a spacciare una loro trita narrativa reazionaria e misogina come una posizione legittima di ri-appropriazione del discorso politico, dirottato capziosamente, a detta loro, da qualcuno come Chiara Ferragni.

E come molte persone, anche valide di area progressista, siano cadute nella trappola di questa faziosa “difesa del valore degli intellettuali contro gli influencer che parlano a vanvera” quando in realtà eravamo palesemente di fronte a un tentativo di delegittimazione di posizioni antifasciste e di affermazione elitista.

Non vedevate l’ora. Dai, ammettetelo.

Ma andiamo per gradi.

Tutto nasce dall’omicidio di Colleferro, dopo il quale Chiara Ferragni condivide una riflessione del profilo Instagram Spaghettipolitics, in cui l’autrice punta il dito sulla polemica idiota riguardo le palestre di MMA che spostava l’attenzione dal fatto che la società italiana, specie in ambito giovanile, specie nelle periferie, si sta sempre più nutrendo di cultura neofascista.

Screen dall’account Instagram di @spaghettipolitics

Ora. L’autrice del post è una studentessa di scienze politiche, quindi forse anche preparata sull’argomento. La Ferragni si limita a condividere una riflessione esterna perché probabilmente la trova ragionevole (o per quel che le pare, non è quello il punto del discorso). L’account di Spaghettipolitics guadagna qualche decina di migliaia di follower.

Dopo poco il profilo in questione viene hackerato e cancellato. (I fasci non cambiano mai metodo, vero? Successivamente è la stessa Ferragni a indicare la cosa all’Assistenza Instagram e il profilo viene completamente recuperato).

Va da sé che uno sfogo politico di una studentessa (di Scienze Politiche, appunto, non di Controllo e qualità delle cinghie di trasmissione), condivisibile o meno, anche se fatto rimbalzare da una trend setter magari presa dall’emotività del momento (e per rimanere indifferenti di fronte alle foto di Willy Monteiro bisogna essere dei sociopatici o degli intellettual* reazionari) non diventa l‘antifascismo degli influencer, non diventa l’ignorante che parla di cose che non conosce, semplicemente perché l’origine della riflessione è terza, e in teoria è anche adeguatamente qualificata.

Ma ormai il danno è fatto. Tutta l’ecosfera web di questi narcisisti con la polo nera parte in quarta a creare la solita contro retorica benaltrista boomer secondo la quale il problema non è la cultura fascista (il motivo escludente sarebbe che i fratelli Bianchi difficilmente hanno letto D’Annunzio, giuro che qualcuno l’ha scritto davvero) ma la perdita dei valori e il narcisismo sociale di cui gli influencer sarebbero unica causa. Narrazione a cui si sono prontamente agganciati, manco a dirlo, tutti i social media troll legati a Lega e FDI.

Le pezze d’appoggio di questa teoria, raga. Seriamente.

Persino l’atto stesso dell’aiuto verso qualcuno che si è trovato il profilo rimosso, anche per tua corresponsabilità, diventa un esercizio di prevaricazione, con il solito farlocchissimo ribaltamento della realtà della stessa gente che chiama dittatura del pensiero unico qualunque esercizio di critica alle loro idee classiste e autocratiche.

Avete presente quelli che andavano via portandosi il pallone e mo je rode perché c’è gente col pallone più costoso del loro?

Con gli influencer ci lavoro da anni e li studio da ancora più tempo. L’influencer marketing è una cosa seria, che sposta soldi veri (anche se non più come una volta) e con cui le board delle piattaforme ci pagano ancora il college ai figli. Si potrebbe dire moltissimo su che forma di mercato sia, su cosa rappresenti a livello socioculturale o anche politico, e di quali criticità gli influencer siano sintomo più che causa.

Ma per puntare il dito contro di loro, quando si parla di cultura della violenza, e non su disinformatori seriali e produttori di bufale xenofobe, tutti casualmente di area sovranista, tutti stranamente sempre classificati come innocui goliardi dai vari watchdogs balilla, bisogna essere dei completi idioti o dei disinformatori a propria volta.

Quindi: lo capite da soli cosa stanno facendo, giusto?

Qui il problema non è la presunta egemonia d’opinione illegittima delle figure costruite nei nuovi media, non è la perdita dei valori (cose comunque reali, e sono criticità da affrontare, as usual, con un processo di emancipazione culturale che nessuno ha voglia di accollarsi).

Il problema è che non sono più loro, questi vecchi pedanti elitaristi con la garanzia scaduta, a decidere le regole, non sono più loro i custodi di quel cialtronissimo verticalismo sociale post capitalista che ti blocca nel degrado se hai la sfiga di nascerci, non sono più questi quattro relitti di salotto repubblichino a decidere chi può parlare e chi no.

Perché, disgustoso o meno che sia, il fenomeno dell’influencing è un processo bottom-up, è democratico. Perché i social ormai non sono più controllabili neanche da chi li ha creati, e ciò che succede al loro interno è frutto solo dell’abilità degli utenti che sono in grado di sfruttarne gli exploit, consapevolmente o meno.

E a queste cariatidi la cosa proprio non va giù. Perché nel fallimento permanente della loro ideologia, nella loro incapacità di vivere nel ventunesimo secolo, nella mediocrità delle loro carriere e dopo che Guzzanti gli ha urinato sul mito dell’ardore dei nonni squadristi, tutto ciò che gli rimaneva era poter guardare dall’alto in basso le donne bionde. E ora non gli resta manco più quello.

Io non lo so come fate a condividere le trombonate di questi attention seeker da due lire che possono permettersi di fare i grossi giusto ai micro eventi nelle piazze delle province sperdute.

Non lo so come diavolo sia possibile che citiate Umberto Eco quando volete dare dell’imbecille a chi esprime la propria opinione sui social (sempre gli altri, mi raccomando) ma poi vi dimenticate sistematicamente di Eco quando parlava di cosa era l’ur-fascismo (https://bit.ly/2E8e0WI), la permanenza di quel modello culturale, di quella forma mentis, di quel metodo di relazionarsi alla società, al potere e al dissenso in particolare. Che è alla base di questa schifosa attitudine al revanchismo sociale e alla violenza – su cui gettano benzina gli sciacalli political mediatici – responsabile di aver trasformato vostra nonna in una iena che dopo aver recitato il rosario esulta di fronte all’affogamento di qualche povero cristo nero.

E che produce i banali assassini delle nostre periferie. E con loro ovviamente i picchiatori di Colleferro (che, si badi bene, assassini ancora non sono fino a sentenza, perché noialtri siamo garantisti a corrente continua, non per opportunità come gli agiografi di Ezra Pound citati nei paragrafi precedenti).

Tempo fa riflettevo con un amico di quanto l’attuale propaganda di ultradestra facesse talmente schifo da spingere dalla stessa parte progressisti e cattolici, gente che fino a ieri l’altro cambiava lato della strada quando si incrociava.

Oggi c’è da riflettere su come questa gentaccia abbia reso la vacuità e il degrado valoriale degli influencer e delle social media personalities il problema minore.

Perché le varie Chiara Ferragni e wannabe assortite faranno anche un po’ pena. Ma sempre meglio di quell’altra roba lì, che dà lezioni di revisionismo e disonestà intellettuale spacciandole per Storia e Letteratura.

E comunque, sia chiaro, sempre meglio di voi che li condividete.

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