“Il mio primo Dungeon Master era uno skinhead antirazzista”. Comincio questo articolo citando Jeremy Cobb, il quale ha raccontato al quotidiano britannico Guardian del suo primo incontro con il gioco di ruolo Dungeons & Dragons. Ti capisco Jeremy, il mio primo Dangeon Master ora fa il finanziere.
Per Cobb, un attore di 32 anni e co-host del podcast Three Black Halflings, che parla di temi sociali nei giochi di ruolo, una delle gioie di D&D è che riesce a riunire i non conformisti o, per usare le sue parole, “tutti quei nerd che non vogliono fare sport”.

Nonostante questo anticonformismo di base però, gli sforzi per allontanarsi dagli stereotipi di cui il gioco era zeppo nelle sue prime edizioni e dare agli orchi, elfi e nani che popolano il suo mondo fantastico un po’ più di complessità e di originalità hanno provocato una reazione negativa da parte di alcune personalità della destra USA e non solo.
“Per me, nel complesso, il gioco sta andando meglio che mai, almeno dal punto di vista creativo”, afferma Cobb, che ha iniziato a giocare nel 2018 ed è ora un Dungeon Master professionista.

E i risultati commerciali sembrano dargli ragione, perché l’ultima edizione del manuale di D&D, pubblicata negli Stati Uniti verso la fine dell’anno scorso, ha venduto finora circa tre volte la precedente edizione nello stesso lasso di tempo.
Nonostante l’ultimo aggiornamento cartaceo fosse del 2014, giustificando quindi un certo entusiasmo pregresso per l’uscita di un update così corposo ed alimentato nelle aspettative dei giocatori dalla lunga attesa, il successo commerciale dell’edizione attuale non si può mettere in dubbio.

Successo arrivato appunto nonostante l’ultima controversia che riguarda il nuovo regolamento del gioco, in cui le “razze” dei personaggi sono state rinominate “specie” e non hanno più attributi numerici specifici, ma solo abilità innate, e dove l’allineamento etico dei personaggi non è più vincolato alla loro razza (o specie che dir si voglia). In precedenza, per esempio, tutti gli orchi erano etichettati come barbarici. Adesso possono invece essere benissimo degli intellettuali (oltre ad essere diventati completamente giocabili, non solo nella versione ibrida del mezzorco).
Questa cosa ha creato qualche problema ai giocatori di vecchia data e in genere a tutta quella sfera di grifter (i personaggi che fanno moral panic e disinformazione per aumentare le view dei loro content) su X e Youtube che fanno della guerra culturale la loro principale fonte di reddito. Addirittura qui da noi in Italia è arrivato a parlarne il Giornale (che ultimamente quando c’è da attaccare la cultura progressista ha scoperto l’esistenza di giochi e videogiochi) affidando un articolo a Massimiliano Parente in cui ci si chiede “perché giochi orco se non vuoi essere selvaggio?”.
Mah, forse perché noi abbiamo più fantasia di te, Massimiliano, o forse perchè siamo propensi ad un esercizio immaginativo più simile a quello che ha spinto Robert Jordan a creare gli Ogier ne La Ruota del tempo rispetto al tuo, che vendi molti meno libri di lui.

Annunciando le modifiche all’ultima edizione di D&D, il suo editore in forze alla Wizards of the Coast (l’azienda che produce il gioco) ha affermato che “il termine razza è problematico e crea collegamenti pregiudizievoli tra le persone del mondo reale e i popoli dei mondi fantasy che costituiscono le ambientazioni di D&D”. E francamente io, che non ho mai temuto per la mia vita quando le guardie mi hanno chiesto la patente, non me la sento di commentare.
I critici hanno lamentato che i tentativi di rendere il gioco più inclusivo lo renderanno meno divertente, con alcuni utenti dei social media che si lamentano del “wokismo personificato” e dell'”oblio inclusivo” di questa ultima edizione del gioco. Oblio di cosa non è chiarissimo da capire, considerato che ora insieme alle specie ci sono i background espansi, cioè l’origine del personaggio (nobile, soldato, studioso, ecc), a influenzare le statistiche iniziali dei personaggi giocabili, e che questi, incrociati alle caratteristiche di specie ed alle classi, danno una possibilità di combinazioni più vasta e profonda che mai.
Più probabilmente quindi il problema è la presenza di qualche iconografia non gradita.

O forse il nodo per i reazionari sta all’origine. Nella prefazione di un libro per commemorare il 50° anniversario di D&D, The Making of Original D&D, c’è un riferimento al “linguaggio dispregiativo” ed ai fenomeni di “appropriazione culturale” presenti nella versione del gioco del 1974 quando si parla delle razze “non umane”. Le attuali critiche a questi fenomeni da parte della Wizards of the Coast ha addirittura spinto Elon Musk ad augurare ad Hasbro, il proprietario ultimo dell’azienda, di “bruciare all’inferno”, per poi paventare l’idea di comprare la corporation come ha già fatto con l’ex Twitter. Il magnate avvrebbe poi aggiunto che gli autori dell’ultimo manuale avevano insultato la memoria di Gary Gygax, creatore del gioco.
Peccato che Gygax fosse davvero un suprematista bianco dichiarato che nessuno lo abbia mai comunque insultato per questo. Interrogarsi sui bias di un’opera analizzando il background del suo autore è la minima cosa si possa fare quando questa diventa culturalmente pervasiva ai livelli di D&D. Ciò non impedisce di ritenere quell’opera una cosa davvero molto bella, tanto più che D&D è diventato talmente seminale sul piano culturale che ormai non appartiene più agli autori, ma a tutti noi, e i loro limiti culturali du questu ultimi non hanno più nessun impatto su come noi giochiamo. Un po’ come sta succedendo per Harry Potter nonostante la follia ormai a un passo dall’essere conclamata della Rowling o come accadrà per le opere di Neil Gaiman. Che questa cosa piaccia a Musk o meno.

Scrivendo su Wargamer, un sito dedicato ai giochi da tavolo, lo scrittore Timothy Linward ha tranquillamente analizzato come, nella prima versione di D&D, “Le regole non sono progettate per facilitare un impegno onesto, soddisfacente o educativo con lo scambio interculturale, i trattati di pace o i processi postbellici di verità e riconciliazione.” Queste regole, infatti, avevano “sfortunatamente echeggiato gli stereotipi usati contro le sottoculture tribali e indigene”. Lo scrittore prosegue sostenendo che la “lo scenario fantasy di base” del gioco “si basa sull’esistenza di cattivi non complicati”. Creazione di un nemico facile da identificare e odiare. Vi ricorda qualcosa?
Ma parliamo di un sistema di codici applicabile al fantasy dal giorno uno, con il canovaccio di Tolkien e di tutto quello che ne è venuto pervicacemente speculare ai suoi valori di eroismo bianco tradizionalista, con Mordor allegoria del progresso industriale che distrugge e contamina la natura, i candidi elfi di razza pura (parlatemi di red flag) contrapposti agli orchi, a loro volta elfi corrotti dalla pelle scura (aridaje), ed in mezzo gli hobbit ingenui ed eroici originati, di nuovo, dalla purezza bucolica.
Non è un caso che l’iconografica del fantasy classico sia continuamente occupata dalle destre (cosa che non piace a tutti). Il raduno annuale di FDI si chiama Atreju, mica Aidoru. E vedersi portato via un pezzo di quello che si è provato a colonizzare culturalmente deve far incazzare ai livelli della Regina Elisabetta quando pensava all’India.

Ma non divaghiamo, ognuno è figlio dei propri tempi. I cambiamenti in D&D incontrano resistenze non solo per via della “guerra culturale” che le destre ci hanno convinto esistere davvero a colpi di canali Telegram, tweet e video Youtube (e che ora verrà facilitata anche da Meta). Il fatto è che una vecchia guardia di giocatori è davvero turbata da un’ondata più diversificata di fan attratti dal boom dei contenuti online e dalla presenza di D&D in fenomeni attualissimi come Stranger Things o Baldur’s Gate 3, e le persistenti tensioni tra gli editori del gioco e i fan su precedenti tentativi, non correlati e piuttosto grossolani, di massimizzare i profitti non hanno aiutato.
Quello che è successo nella community è molto simile ciò che accade nel mondo del video gaming: un certo tipo di target predominante, principalmente maschio bianco e post adolescenziale, si sente portare via l’esclusiva fruizione di qualcosa che vedeva come una sua proprietà esistenziale e reagisce con violenza. Senza contare che spesso una parte dei consumatori di questi media vivono in condizioni di semi-isolamento sociale compatibili (ma non strettamente correlate) con sottoculture redpill o simili, che fanno di violenza verbale, misoginia e, in parte, razzismo una dialettica piuttosto codificata.
Ed è abbastanza evidente un po’ ovunque l’intenzione della destra di fidelizzare questo pubblico che condivide così tanti valori con loro (a partire dall’idea di donna, sia come ruolo che come estetica). Elon Musk non sta pagando gente per gestirgli gli account di Diablo 4 Path of Exile 2 allo scopo di spacciarsi pro gamer solo perché è un narcisista. È più probabile abbia capito dove fare il prossimo investimento di immagine. Cioè nel pubblico maschile della genZ che ha votato Trump convinto che il femminismo e il wokism gli stiano alienando le ragazze (o stiano trasformando le donne in uomini e gli uomini in donne, o qualche altra fesseria simile).

In Italia la situazione non è molto differente. Il quotidiano Il Giornale, che ho già citato, non ha mai parlato di gaming per anni e negli ultimi due mesi per magia ha dedicato il pezzo di Parente a D&D ed altri due al fallimento commerciale di Dragon Age: The Veilguard, gioco sulla cui wokeness c’è stata una campagna denigratoria durata mesi. E con qualche mese di ritardo sono entrati nel discorso anche quelli del Secolo XIX.
Ovviamente, tornando al gioco, nessuno è obbligato a usare le nuove regole. Molta gente continua a giocare con le vecchie versioni, qualche pazzo persino con la prima, e le campagne homebrew (cioè con regole personalizzate) sono all’ordine del giorno da secoli. Andando, per inciso, a fare la fortuna di gente bellissima come i tizi di Critial Role. Fatevi un favore e guardatevi The Legend of Vox Machina su Amazon Video per capire lo spirito che anima la parte più sana della cultura ruolistica.

Ma un dettaglio merita attenzione: nella polemica sull’ultima edizione di D&D sono entrati a gamba tesa anche personaggi appartenenti a un contesto culturale storicamente avverso ai giochi di ruolo, come i fondamentalisti cristiani.
Ad esempio, Kyle Mann, redattore capo del sito di satira conservatrice (leggi: propaganda pro-vita e anti-lgbtq+) The Babylon Bee ha scritto un tweet sull’argomento, lamentandosi del fatto che nel manuale adesso sono stati consigliati i trigger warning: ovvero la possibilità di un giocatore di interrompere la sessione in caso non si senta a suo agio.

Avete letto bene: gente che fino all’altro ieri definiva i giochi di ruolo “satanismo” adesso si indigna della loro wokizzazione perché sono state inserite regole ufficiali per tutelare i giocatori più fragili. Considerata l’ossessione delle destre per la mascolinità (ha fatto sua questa retorica anche Mark Zuckerberg nella svolta reazionario/libertaria di Meta) e dei cristiani conservatori per il ruolo casalingo e gregario della donna, sarà mica che qualcuno vuole stigmatizzare l’empatia in quanto poco virile? Potrebbe essere un problema condiviso da quell’area political il fatto che un prodotto mainstream così pervasivo inserisca degli elementi che spingono attivamente i suoi fruitori a preoccuparsi dei bisogni degli altri, anche quando non li capiscono appieno?
Non sarà che chi ha costruito la propria retorica sulla polarizzazione e la costruzione di nemici fittizi (ora è il woke/DEI, ieri erano gli islamici, prima ancora i comunisti, domani chissà) vede del pericolo in un sistema che invita la sua utenza (sovrapponibile in buona parte con l’area demografica a cui ora stanno indirizzando la loro attenzione) all’accoglienza verso chi hanno intorno e all’accettazione di ogni tipo di diversità ed identità? La masculine energy di cui parlano sarà forse sinonimo di quella violenza, prepotenza e prevaricazione che il nuovo sistema di D&D spinge attivamente a evitare? Domande in buona parte retoriche. Ma vale la pena porsele.
Oppure anche no, rollate pure il vostro personaggio cucendovelo addosso in ogni dettaglio e partire per la prossima avventura con i vostri amici. Ci sono tiranni da abbattere là fuori e c’è ancora bisogno di voi.

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