Girasoli verdi fritti: le politiche di rigenerazione urbana nella provincia di Taranto

Si pensa che attraverso la costruzione del bello, della riqualificazione urbanistica dei centri abitati, il degrado sparisca e la gente conferisca in maniera automatica valore a quel bello che ha di fronte. Nella realtà dei fatti non è così, mai. Chiedetelo alle panchine ed ai cestini nelle piazze, alle aiuole, alle piante.

Qualche anno fa (ma in realtà anche adesso), volevo che Palagiano (cioè il paese in provincia di Taranto dove sono cresciuta) fosse bello. Così con dei miei amici cominciammo a piantare girasoli nelle aiuole. Inconsapevolmente stavamo facendo guerrilla gardening.
Piantare girasoli mi piaceva così tanto che anche quando mi sono trasferita a Lecce per gli studi universitari ho continuato a farlo, solo che lì non sono mai nati.

Dei girasoli palagianesi non è sopravvissuto nessuno. Quelli vicino al palazzo ducale furono letteralmente investiti da un camioncino che aveva bisogno di parcheggiarsi sul marciapiede antistante. Quelli ai gradini delle scuole elementari furono invece strappati da un uomo che voleva regalarli alla sua compagna.

Palagiano (TA), uscita di emergenza della scuola elementare Giovanni XXIII – Girasoli strappati per amore. Foto di Caterina Nicolini.

L’uso sempre più diffuso del termine “rigenerazione urbana” è avvenuto negli scorsi decenni in parallelo al progressivo affermarsi di agende politiche neoliberali, le quali mettevano al centro dell’azione politica locale la crescita economica e promuovevano l’impegno dei governi locali in strategie di rigenerazione per attrarre investimenti e produrre usi più redditizi del suolo urbano.

Nel paese di Palagiano, per esempio, sono attualmente in atto quelli che vengono definiti dal registro propagandistico locale i “cantieri aperti”. Lo scopo di questi cantieri, a detta dell’amministrazione comunale, è quello di “riconsegnare il paese meglio di come lo abbiamo lasciato 5 anni fa”. Uno scopo che, a conti fatti, è stato anche quello di tutte le altre amministrazioni che si sono succedute in Municipio da quando sono nata.

Questo compito viene affidato a professionisti dell’urbano che, attraverso dei DPRU, idealizzano la riqualificazione dei luoghi in stato di abbandono e/o cosiddetto degrado.
Prima di parlare di progetti è però necessario capire un passaggio fondamentale, e cioè come questi funzionano, soprattutto sul piano sociopolitico. Affinchè esistano dei progetti, infatti, è necessario che esistano anche delle politiche amministrative che ne istituzionalizzino la realizzazione. Basti pensare, molto banalmente, a tutta la documentazione necessaria per edificarle.

Progetti di rigenerazione urbana a Palagiano (TA), Maggio 2021.

La sociologia urbana ci insegna che, se lo spazio pubblico contemporaneo è di agonia, la cui causa di ciò va probabilmente ricercata nel processo costante di concorrenza economica che coinvolgono enti pubblici e privati fino al punto da renderli indistinguibili gli uni dagli altri. Questi processi sono a loro volta intrinseci alle dinamiche di zoning (cioè di pianificazione, suddivisione, e funzionalizzazione amministrativa) che coinvolgono nel loro complesso la maggior parte delle aree urbani attuali.

Lo spazio pubblico a sua volta rappresenta il meccanismo di gerarchizzazione dei diritti di cittadinanza e risponde a specifiche attività di produzione: quelle di selezione e progettazione. Queste attività sono a loro volta interpretate dalle amministrazioni locali in termini squisitamente neoliberali (o capitalistici, che poi è un po’ la stessa cosa in questo contesto). Le amministrazioni selezionano un target cittadino su cui progettare uno spazio pubblico/privato che possa assumere valore in termini di follow-up; ovvero dare vita ad un circuito economico. Agli urbanisti ed agli amministratori che li consultano, infatti, interessa trasformare in valore economico il territorio urbano e questo è possibile vederlo tradotto in quelle che vengono definite le starchitectures, cioè quelle opere urbane create da artisti importanti.

Esempio di stararchitecture: la Cattedrale Gran Madre di Dio di Gio Ponti. Taranto, 1970.

Questo meccanismo illude la politica, dandole l’idea di avere bisogno di una “governance” che solo gli esperti possono offrirle. Ciò significa che offre ai politici la rassicurazione che si possono occupare solo della loro immagine e non della gestione della città, ed ai finanzieri l’idea che le rendite possano essere proiettate su tempi molto più ampi di quelli della speculazione. In questo modo, come suggerisce Cremonesini nel suo saggio “Città e Potere” (2012), l’urbano finische per rappresentare “un tessuto sempre più mondiale, anche se non uniforme, nel quale sono intrecciate le relazioni socioculturali e politico-economiche del capitalismo”. 

Il punto è che le amministrazioni agiscono in questi termini perché emulano altri paesi, che a loro volta ne hanno emulato altri ancora, e non perché hanno un obiettivo specifico rispetto a ciò che stanno effettivamente finanziando nel “qui ed ora”. L’unico obiettivo politico è quello di vincere le prossime elezioni, sovrapponendo ancora una volta il concetto di spazio pubblico a quello di spazio privato.

Non è quindi raro (anzi, funziona così per qualsiasi cosa) vedere luoghi che vengono finanziati con venture capital attraverso la partecipazione a progetti che elargiscono fondi spesso pubblici. Oltre alla creazione di uno “zoning capitalistico” e di un conseguente disagio sociale che scaturisce da determinate scelte politiche, ciò che ne viene fuori è, a mio avviso, una vera e propria speculazione di stampo culturale mafioso. Le istituzioni infatti si nascondono dietro il fatto di aver finanziato i progetti e quindi di aver fatto la loro parte nel ruolo di “Stato”. Ma, una volta elargiti i finanziamenti, si dimenticano di tutto il resto e si auto-riconoscono una deresponsabilizzazione nei confronti della spesa sostenuta, quando in realtà dovrebbero vigilare sul corretto utilizzo di quei fondi.

Lo spazio pubblico delle città, così come quello dei paesi di provincia che usufruiscono di finanziamenti pubblici relativi all’urbanistica, è quindi pianificato da meccanismi localistici di policy making in base a gruppi e target di persone selezionate e distinte tra vari spazi pubblici tematici. Questi vanno a dislocare la popolazione dell’urbano-città, proiettando di volta in volta immagini inedite della cittadinanza.

Oggi progettare e restituire l’idea di quello che si è pensato di creare è molto semplice. Basta un render per riuscire a riprodurre un’atmosfera immaginaria. Ed è, molto probabilmente, proprio sulla costruzione di un’atmosfera che si gioca quando si richiede un finanziamento. Un esempio di questo fenomeno è costituito dal render della piazzetta Regina Margherita Elena di Palagiano, detta “la Madonnina” per via della statua ubicata sulla piazzetta, alla cui progettazione ho partecipato anche io nella parte di ricerca storico-locale richiesta da uno specifico bando pubblico.

Ovviamente il render non è mai uguale alla realtà, soprattutto oggi che gli spazi pubblici non possono essere vissuti a causa della pandemia. Nonostante sia una cosa nuova e bella, comunque c’è sporcizia e incuria. Anche questo le foto allegate a questo articolo non lo mostrano, mi sono trovata personalmente a raccoglierne i rifiuti. Sintomo che bisogna fare qualcosa in più che una semplice piazzetta nuova per combattere il degrado a Palagiano.

Questa è solo una delle nuove opere urbane realizzate nel mio paese di provincia. Certo, non stiamo parlando di starchitecture. Ma le dinamiche sono più o meno le stesse. Come sostiene Griffero nel suo libro “Atmosferologia” (2017): “Inospitale, è l’atmosfera di una città priva d’identità, urbanisticamente incoerente, controintuitiva nella sua viabilità, percepita solo come luogo di soggiorno forzato e lavoro, sono atmosfere che, sfuggono alla progettazione consapevole”. Viene quindi fa chiedersi, come fa anche Franco La Cecla nel suo “Critica all’Urbanismo” (2015): “perché l’urbanistica non [ha] mai pensato ad una politica correttiva dei luoghi, piuttosto che aspirare ad una falsa prosperity del mondo urbano?”

Non è un problema solo di Palagiano, quello di non considerare mai cosa è importante per chi abita un luogo dove stanno per esserci cambiamento urbanistici inaspettato che, a loro volta, vengono spesso percepiti come una minaccia alla quale ribellarsi.
Dico questo riflettendo sul fatto che, nei giorni scorsi, il Comune di Palagiano ha incluso nei suoi attuali progetti di riqualificazione urbana il taglio dei pini. I pini sono alberi che rispecchiano l’identità di Palagiano. L’unico problema è che la loro manutenzione costa e non farla diventa causa di pericolo per la sicurezza cittadina. A maggior ragione quando vengono piantati nell’asfalto.

I pini di Palagiano (TA)

Questa scelta amministrativa non è stata vista di buon occhio dalla cittadinanza, che ovviamente lamenta sia l’assenza di verde pubblico che l’incuria e la deresponsabilizzazione del Comune nel non aver voluto investire sulla manutenzione degli arbusti. E qui ritorna la mia domanda: “Perché investire in atmosfera se una cosa è brutta?” Piuttosto che affittare lucine di Natale (come spiegato nei miei scorsi articoli qui su Deep Hinterland), il Comune avrebbe potuto utilizzare quei fondi per salvare i pini salvabili. Ovviamente ho provato a fare una ricerca sul sito del comune per capire con quali fondi siano state finanziate tutte queste opere, ma ho trovato solo i richiami per il pagamento della tari ai ritardatari.

Queste politiche di rigenerazione, probabilmente, sono state pensate in vista della candidatura di Taranto a Capitale della Cultura Italiana 2022. Di fatto, una vittoria del genere si sarebbe mostrata come uno specchio riflesso per i paesi limitrofi, i quali non volevano certo farsi trovare impreparati all’arrivo di nuovi stakeholder da fuori provincia.

Qui a Palagiano, saremmo stati entusiasti per la vittoria di Taranto che questa avesse potuto generare anche solo un misero riscatto per il contesto locale. È innegabile però il timore che questa ipotetica vittoria potesse, e possa ancora, generare un fenomeno di Gentrification sia in paese che in città. Tanto più che Taranto è una città dove la gentrification prova ad insediarsi da anni con scarsi risultati dovuti alla forte capacità di resilienza della stessa, insieme alla totale assenza di portatori di interesse per una località in cui, di fatto, si muore ogni giorno di inquinamento.

Per poter presentare la sua candidatura, Taranto necessitava di determinati requisiti. Allo scopo di ottenere questi requisiti, le amministrazioni locali hanno attuato diverse politiche, molto contrastanti fra di loro. Si sono implementati, per esempio, dei bus ad emissione zero su una città che detiene il record di bimbi morti a causa della diossina sprigionata dai poli industriali locali. Perché la responsabilità, a veder bene, non è solo dell’Ilva e del siderurgico, ma anche di Eni e Cementir che contribuiscono ad “arrossare” le nostre strade.

 

È ovvio, quindi, che i tarantini trovino ipocrite certe scelte sulla promozione culturale fatte dall’amministrazione comunale del sindaco Rinaldo Melucci. Nonostante possano essere consapevoli che con la Cultura e la promozione territoriale sia possibile mettere in moto un meccanismo economico non indifferente, gli abitanti di Taranto sono i primi a non credere nel successo di queste politiche perché sanno già che, nonostante il mare, nessuno vuole soggiornare nella loro città con il rischio di prendersi un tumore. E ciò che succede in città si ripercuote inevitabilmente nei paesi della provincia, tra cui (per l’appunto) Palagiano.

Fra le altre cose, queste politiche di rigenerazione vengono solitamente attuate in città post-industriali. Ma Taranto e la sua provincia non lo sono ancora. Applicare politiche che non rispettano gli standard territoriali quindi non è solitamente segno di degrado neoluberista: è anche e soprattutto una vera e propria pratica deviante. In più non ci sono stakeholder e cittadini ricchi, materialmente e mentalmente, abbastanza da generare un circuito economico legato ad un tipo di business da città post-fordista. I caratteri tipici che permettono a queste transazioni di avere un qualunque senso non si sono ancora sviluppate nella mia provincia, ed è per quindi questo che chi prova a creare qualcosa di nuovo tende a fallire miseramente.

Caterina A. Nicolini

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