L’Italia è un Paese nel quale gli eventi, specie quelli con valenza delittuosa o qualcosa del genere, si ripetono senza soluzione di continuità. In questi ultimi giorni è esploso un nuovo, uno dei tanti, moltissimi in verità, casi di presunto malaffare politico. Un amministratore di una grande regione del nord d’Italia è stato accusato di aver favorito diversi imprenditori nella realizzazione di opere pubbliche in cambio, è ovvio, di elargizioni in suo favore. Io sono nato nel 1964 e, fin dai primi ricordi, mi sovvengono notizie similari e credo che per ognuno di noi sia in fondo la stessa cosa.
Senza entrare nel concreto dell’ultima vicenda, potendo essere, ci si augura, quel Governatore totalmente estraneo ai fatti addebitati, è comunque importante rilevare la consapevolezza generalizzata che la cosa pubblica del nostro paese venga gestita anche perseguendo, parrebbe, finalità ed interessi personali. In altre parole, tutte queste notizie comprovano un’apparente leggerezza nell’utilizzo delle risorse e dei beni pubblici anche laddove non vi siano estremi per valutare reato siffatte condotte.
Una certa pubblicistica ed una certa corrente di pensiero politico, da decenni, stima ed afferma che durante il famoso ventennio fascista la corruzione si fosse fermata; o comunque non sarebbe stata così diffusa come oggi. Un vecchio esponente del MSI una volta disse che quando Mussolini morì, dalle sue tasche, non sarebbero cadute monete d’oro. Recentemente il giornalista Federico Fubini (L’oro e la patria, Mondadori, 2024) nel raccontare la storia del banchiere Niccolò Introna, ha al contrario comprovato che l’oro della Banca d’Italia, in quei anni, fosse stato utilizzato anche da colui che chiamiamo Il Duce del fascismo, così come dai suoi famigli politici ed amici personali.
La verità è che, già allora, i potenti sfruttarono, forse ancor di più di oggi, la cosa pubblica. Per esempio, il gerarca Roberto Farinacci, conseguito il titolo di avvocato per chiara fama, si arricchì anche in conseguenza delle leggi razziali. E così tanti altri.
In questa sede vogliamo però parlare di un caso, datato nel tempo, che riguarda quel ventennio e la successiva Repubblica democratica la cui sovranità appartiene al popolo. I fratelli Michele e Salvatore Scalera (le cui iniziali fortune derivano dalla macellazione della carne), dopo aver cominciato a finanziare la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, ottennero dal Regime l’autorizzazione ad edificare ovunque e comunque. Divennero i costruttori dei grandi gerarchi (fra cui Galeazza Ciano, Emilio De Bono ed Alessandro Pavolini) in Italia ed in Africa.
Le note della Polizia politica rilevarono la comune opinione secondo la quale queste due persone sfruttavano i loro appoggi politici per edificare immobili ed opere pubbliche, concedendo quelle che oggi si chiamerebbero mazzette, vivendo come dei veri principi e godendo della protezione dei massimi vertici dello Stato.
Ciano, nella metà degli anni Trenta, quasi come regalia al Regime, fece costruire ai fratelli Scalera gli stabilimenti di Cinecittà e costituire una casa di produzione cinematografica. In quel modo diverse attrici, in relazione con alcuni importanti esponenti del Regime, fra cui Roberto Farinacci ma non solo, recitarono e diventarono famose e ricche. Il Sistema d’altronde, come nel secondo dopo guerra, prevedeva elargizioni da istituti di credito alle produzioni cinematografiche. Insomma nulla di nuovo sotto il sole.
I fratelli Scalera, subito dopo la guerra, secondo le fonti dell’Alto Commissario per le Sanzioni contro il Fascismo, erano proprietari a Roma di oltre 3500 ettari edificabili, fra cui 1150 ad Ostia, dai 30 ai 50 a Roma nella zona di Via XXI Aprile, ed altre 700, sempre nella capitale, fra la Tuscolana e l’Appia. Per edificare un palazzo, anche di 10 piani, sono sufficienti al massimo 600/700 metri quadrati, mentre un ettaro ha una dimensione di 10.000 metri quadrati. Il valore di questo patrimonio immobiliare era quindi immenso. Nel 1947, esso ammontava a circa 4,5 miliardi di lire dell’epoca. Il che si tradurrebbe in una una cifra semplicemente mostruosa riferita al costo della vita di oggi. Basti pensare, nel 1947, che uno stipendio medio in Italia era di circa 120.000 lire annue.
Per diversi anni i fratelli potettero fronteggiare la richiesta di espropriazione per indebito arricchimento in diversi processi finché, nel 1959, quando Ministro del Tesoro era Giulio Andreotti, lo Stato rinunciò al credito in ragione di presunti altri crediti di guerra patiti proprio nei confronti dello Stato dai due fratelli in Albania ed in Africa. Venne firmato quindi una sorta di componimento bonario sul caso in questione, contenuto però in una sola paginetta. Se tutto ciò non fosse vero, sarebbe divertente.
Sul finire degli anni Cinquanta, quindi, gli Scalera (o, per meglio dire, i discendenti degli stessi) si ritrovarono nuovamente proprietari di un patrimonio libero da qualsiasi peso e/o pregiudizio. Potrebbe non essere un caso, ma a Roma, proprio in quel periodo, esplose il cosiddetto “Sacco di Roma”, ovvero un periodo nel quale vennero costruiti interi nuovi quartieri nella capitale italiana, immensi e quasi sempre nelle medesime zone ove i due famigerati fratelli possedevano terreni edificabili. Nessuno ha ancora analizzato attentamente queste vicende, così come la selvaggia edificazione immobiliare che ne seguì.
Bisogna però notare che, a partire da quell’accordo bonario con lo Stato, i fratelli Scalera scomparvero dalle cronache del Bel paese e quasi nessuno seppe più nulla di loro. La loro casa di produzione cinematogratiche era già stata fusa con altre tramite accordi finanziari, perdendosi anch’essa nei meandri della storia.
Insomma, i recenti scandali politici non debbono eccessivamente meravigliare. Sarebbe però da chiedere alle forze politiche che ancora oggi nutrono un sentimento di nostalgia verso quel Regime se simpatizzino in verità pure per quelle forze di allegra e spensierata gestione della cosa pubblica.
D’altronde non fu solo il democristiano Giulio Andreotti, quale Ministro del Tesoro nel 1959, ad avere (legalmente, ovviamente) sanato la situazione debitoria dei fratelli Scalera, ma puranco le forze politiche dell’allora opposizione non risulta abbiano (già allora) sollevato il caso nelle aule parlamentari o sulla stampa. Invece in pratica quasi nulla. Riesce assai difficile comprendere come quella “sanatoria”, formalizzata in atti ufficiali della Repubblica e della Corte dei Conti, sia passata inosservata e celata e come nessuno, specie negli organi di stampa dell’allora opposizione, abbia sollevato il caso.
Una sanatoria miliardaria inerente migliaia di ettari edificabili a Roma che venne stimata ininfluente e di scarso interesse per l’opinione pubblica: come fosse stato nulla di più d’un piccolo ravvedimento operoso del pizzicagnolo sotto casa. In altre parole, forse nessuno in quei giorni, neppure chi sosteneva di essere duro e puro, trovò nulla di male e di ingiusto in quell’accordo fra i palazzinari del Fascismo e la Repubblica democratica ed antifascista.
Descriversi è sovente difficile e forse inutile. Ognuno pensa di essere qualcosa, di possedere certe caratteristiche, ma sono gli altri, il nostro interagire nel e con il mondo, che dicono chi siamo. Per quanto mi riguarda, faccio l’avvocato; eppure gli altri mi vedono e mi sentono uno storico ed alcuni addirittura uno psicoanalista abusivo. Scrivo di storia contemporanea andando alla ricerca, negli archivi ovunque, delle mille verità che si nascondono dietro l’immagine pubblica e formale. Nel 2021, per la collana “Storia dei grandi segreti d’Italia”, ho pubblicato due biografie: “La morte di Giangiacomo Feltrinelli” e “L’impero di Sindona”. Nel 2023, ho invece pubblicato il libro: “Il potere che offende. Quando Luigi Calabresi denunciò Lotta Continua” per i tipi di Pendragon Editore.