Quanto c’è di vero, almeno sul piano storico, nei motivi che adduce Putin per giustificare l’aggressione all’Ucraina? Quando le prime forze russe sono penetrate in territorio ucraino il 24 Febbraio 2022, i territori del Donbas, l’oblast’ del Donec’k e quello di Lugansk, erano di fatto già contesi da forze filo-russe fin dal 2014. Nel maggio di quell’anno, i territori in questione si erano dichiarati unilateralmente indipendenti a seguito di un referendum, consultazione non riconosciuta dalla comunità internazionale né dall’Ucraina stessa. Il governo di Kiev aveva infatti considerato le Repubbliche secessioniste come territori temporaneamente occupati da gruppi armati illegali e truppe della federazione russa, dando corso ad una escalation del conflitto tra le parti in causa.
La recrudescenza degli scontri imponeva l’intervento di un gruppo di Contatto Trilaterale composto, oltre che dai mandatari Ucraini e Russi, anche dall’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa) e, ovviamente, dai rappresentanti informali delle repubbliche secessioniste. L’accordo che ne è seguito, adottato con un protocollo d’intesa in 15 punti firmato a Minsk il 5 settembre 2014, prevedeva un cessate il fuoco immediato, una serie di impegni bilaterali, la garanzia di svolgimento di elezioni locali in conformità con la legge ucraina e soprattutto accordi volti a riconoscere uno statuto speciale alle regioni del Doneck e di Lugansk. Insomma una decentralizzazione del potere a favore delle province indipendentiste.

Come è noto, gli accordi, che prevedevano un percorso teso a riconoscere un’ampia autonomia alle regioni del Donbas e di certo non l’indipendenza, non furono rispettati e, seppure con alterna intensità, i combattimenti non sono mai cessati. Questa la situazione fino alla data d’inizio della cosiddetta “operazione speciale”, che ha portato i carrarmati russi in Ucraina. Ma non nel Donbas, come era lecito aspettarsi, bensì alle porte di Kiev, distante dalle province orientali dell’Ucraina oltre 700 km. Viene quindi da chiedersi cosa mai possa centrare la Capitale con la rivendicazione delle minoranze russofone orientali di essere tutelate dall’arroganza del potere centrale ucraino.
E’ evidente che quello ventilato da Putin è stato quindi solo un pretesto per un’invasione dell’Ucraina, che avrebbe dovuto avere epilogo nel Putsch che doveva sostituire la Governance ucraina con una “minoranza di persone per bene”, come ha detto pochi giorni fa Silvio Berlusconi in una conversazione che molti credono “rubata” e che in realtà svela quali erano fin dal principio le reali intenzioni del Cremlino.Man mano che i piani della Russia venivano alla luce, si avvicendavano altre motivazioni che avrebbero spinto Putin all’invasione dell’Ucraina. Una di queste e’ la “denazificazione” di quei territori, pretesto che fa leva su susuggestioni retoriche capaci di evocare in seno all’opinione pubblica russa la “Grande Guerra Patriottica” combattuta contro Hitler, la quale è costata all’URSS milioni di morti.
Un pretesto invero assai poco fondato, se si pensa che in Ucraina il massimo risultato raggiunto da Svoboda, partito di estrema destra che si richiama a Stepan Bandera, il collaborazionista nazista morto nel 1959, conta un solo seggio nel Parlamento Ucraino e ha 15.000 iscritti in tutto il paese. Ovviamente non si può negare che i nazionalisti duri e puri possano essere di più, ma da qui ad affermare che l’Ucraina debba essere “denazificata” ce ne corre.

Putin ha poi fatto riferimento più volte al pericolo di un allargamento della NATO ai propri confini: una capitale (Kiev) di un Paese aderente al Patto Atlantico a 300 km da Mosca non lo tranquillizzerebbe, soprattutto considerando la gittata delle piattaforme missilistiche che il membri del patto Atlantico potrebbero installare in quell’area.
In realtà, a parte la banale considerazione per cui l’allargamento della Nato è giustificata proprio dal pericolo dell’espansionismo russo, oltre a quella che ogni Stato dovrebbe essere libero di adottare le misure necessarie alla propria tutela ed integrità territoriale, troppo spesso si sottace una semplice verità che emerge dall’evidenza “geografica”. la Russia confina con la Nato sin dal momento della sua Istituzione, il 4 Aprile del 1949. Sono infatti 196 i km di confine che la Federazione Russa e la Norvegia, paese aderente al patto Atlantico, hanno già in comune. E non si pensi che siano confini de-militarizzati, al contrario vi si svolgono esercitazioni dall’una e dall’altra parte praticamente ogni anno dal 1949. Un’altra motivazione pretestuosa che quindi non sta in piedi.

Allora perchè la Russia ha invaso L’Ucraina? Per rispondere ad una domanda del genere non basta pensare a queste vicende da un punto di vista geopoligico. Bisogna riflettere sulla storia culturale ed istituzionale della Russia, così come a quella degli accadimenti che si sono succeduti nei secoli in quello sterminato territorio.
La Russia è una potenza imperiale, lo è sempre stata. Le è stata quando era governata dagli Zar ed era contrapposta agli Inglesi in quello che fu definito “Il Grande Gioco” per la supremazia dei territori dell’Asia Centrale ed Orientale (a seguito del quale tanti “Khanati” e tribù caucasiche strappate ai mongoli ed ai persiani, entrarono a far parte della sfera di influenza di Mosca). E lo è stata anche in seguito, con l’avvento dei Bolscevichi nel 1917 e la nascita delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, tra le quali l’Ucraina, nel 1922. Le mire espansionistiche della Russia sui propri vicini appartengono quindi alla sua storia e alla necessità di controllare efficacemente confini sempre più ampi. Putin non fa eccezione. Come i suoi predecessori, egli si sente investito della missione di fare sempre più grande la Santa Madre Russia. Del resto non fa mistero del suo sogno, che è quello di Caterina II, la zarina che allargò i confini dell’Impero assorbendo la Crimea, il Caucaso, la Bielorussia, la potente confederazione polacco-lituana, arrivando fino alla colonizzazione dell’Alaska.
E’ proprio dalla visione politica di Caterina “La Grande” che nasce la Novarossiya, un progetto imperialista cui la Zarina ha dedicato tutta la vita e che è continuamente riaffiorato nei successivi secoli di storia russa come un fiume carsico.
Un semplice confronto fra la mappa i territori occupati oggi da Putin (tra i quali sono ricomprese le regioni di Cherson e Zaporidzie annesse con il referendum unilaterale del settembre 2022) e la cartina raffigurante l’impero zarista ai tempi di Caterina II, svela quanto meno quale sia la fonte d’ispirazione dell’attuale capo del Cremlino.
Il sogno russo di affacciarsi sul mare caldo (e di ottenere quindi accesso indiretto sia al Mediterraneo che all’Atlantico in chiave talassocratica) è stato solo in parte raggiunto da Putin con l’annessione della Crimea nel 2014.
Alla potenza navale e commerciale della Russia mancava però ancora la Perla del Mar Nero, Odessa, e i porti di Mariupol sul mare d’Azov, i quali garantiscono i traffici con una delle acciaierie più grandi del mondo, oltre naturalmente tutta la ricca fascia costiera fino alla Bessarabia, l’attuale Moldavia, che già contiene l’enclave della Transinistria, autoproclamatasi indipendente nel 1990 e riconosciuta come tale solo da Mosca.
La Nuova Russia di Caterina II, despota illuminata che ha modernizzato lo stato russo e lo ha reso una grande potenza, coincide quindi con le mire di Putin, il quale ha sempre considerato la dissoluzione della URSS una catastrofe immane.

Non a caso, infatti, l’epoca sovietica è coincisa con un periodo di ulteriore espansione territoriale da parte di Mosca, che alla fine della Seconda Guerra Mondiale ha finito con l’inglobare 15 nazioni e decine di etnie, dal Caucaso al Baltico, dall’Asia centrale all’Europa, dall’estremo oriente all’artico.
Una dissoluzione, quella dell’Unione Sovietica, che Putin percepisce come un’ingiustizia e una sconfitta. A cui tenta disperatamente di rimediare.
Avvocato e giornalista, coltivo un’antica passione per l’America Latina e l’Europa Orientale. Ma resto comunque convinto che non esista un paese che non valga la pena di essere visitato. E mi sono regolato di conseguenza. Siccome arriva sempre il momento in cui ti rendi conto di sapere meno di quanto pensi, mi sono rimesso a studiare e quelle quattro cose che so ho deciso di spacciarle su Deep Hinterland. Senza pretese che esse siano risolutive dei dubbi di chi legge, anche perché penso che ognuno farebbe bene a tenersi stretti tutti i suoi affanni. Alla fine, sono convinto, tornano sempre utili.