Conobbi il lavoro di Coquelicot Mafille indirettamente nel 2020 perché entrambe partecipammo ad una mostra collettiva dall’evocativo titolo “Viva la Vulva”. La curatrice, Laura Brignoli, parlò all’una dell’altra e Coquelicot fu così gentile che mi scrisse in privato, visto che la pandemia era nei suoi mesi di forza acuta. Dovemmo però aspettare il dicembre 2022 per abbracciarci. La incontrai a Milano e pensai che la sua energia era disarmante, come quando entri in una casa per la prima volta e sai già cosa c’è nei cassetti. Era come me l’aspettavo.
Coquelicot è forte come il suo lavoro, poetico senza fronzoli, colorata e vivacemente spirituale. Succosa, aperta e carnosa, come i suoi capelli folti, come le bocche di leone in estate. La preziosa sintesi del suo lavoro è puntuale e onnicomprensiva, sia nel caso che si tratti di un murales di metri e metri che di un lavoro ricamato nascosto in un quaderno.
Coquelicot, buongiorno e grazie per aver accettato di partecipare a questa intervista. Come stai, cosa fai e dove sei in questo momento?
Cara Arianna, che bello incontrarci qui, tra queste righe! Mentre ti scrivo è novembre, sono nella mia casa studio a Milano, in quel mese stretto fra la fine dell’anno ed i conti che non tornano; un momento che richiede tutta la mia attenzione. Direi che sto bene, perché sono viva, con un tetto sopra la testa, ma dal 7 di ottobre, da quando Hamas ha compiuto quei crimini mostruosi e la conseguente abissale e genocida risposta israeliana su Gaza, non mi sento bene. Lavoro e cerco di reagire informandomi e partecipando alle proteste, aggiungendo la mia voce al generale “cessate il fuoco immediatamente”.
Qual è il tuo colore preferito?
Per darti un’idea di quanto ami i colori e gli accostamenti insoliti, ti racconto che quando avevo due anni leccavo i dipinti colorati di mio padre! In famiglia ci siamo sempre vestiti in modo variopinto, anche in inverno, cosa che ho fatto fin da subito anche con mio figlio. Tra le mie tinte preferite ci sono il rosso carminio, un cardine dei miei dipinti, il rosa bonbon e quello antico, il fucsia, il verde acqua e l’azzurro, il blu elettrico, il marrone Siena, il giallo, l’indaco. A tal proposito, tra i miei libri preferiti c’è Haishoku Sukan, The complete collection of Color Combination, di Sanzo Wada, pubblicato nel 1933.
Se lo è, quanto è importante la musica nel tuo lavoro?
Durante la ricerca e l’elaborazione di un disegno non ne ascolto, preferisco il silenzio. Mentre dipingo o ricamo, invece, seguo podcast o programmi radiofonici parlati. La musica arriva in altri momenti, durante il tempo passato a casa oppure per ballare e riesce a creare uno spazio allegro e leggero. Una decina di anni fa partecipavo a feste ed eventi mettendo musica. Inoltre iniziai a registrare suoni e parole per creare mix che diventavano ambienti, cartoline sonore. Questa passione, anche se meno evidente, resta viva. Questo lavoro si trova sul mio account mixcloud al nome di LaCoq.
Parlando con un’altra artista ci siamo confrontate su quanto una tendenza senza tempo nell’arte sia l’individualismo. Questo non solo nel comportamento quotidiano dell’autor* ma anche delle opere stesse che, in qualche modo, si autolimitano non essendo lasciate libere di essere interpretate. Entrambe concordiamo invece con una visione partecipativa da parte dei fruitori del lavoro artistico, aperta a ogni punto di vista. Che ne pensi?
Ogni volta che concludo un’opera, questa non mi appartiene più. Pur avendola generata e datole un titolo, lei avrà vita propria. Quindi non mi preoccupo troppo dell’interpretazione che le verrà data. Certo, spesso è importante conoscere le motivazioni e la vita dell’artista per avere un quadro più completo del suo lavoro ma ciò non permette comunque di comandare le emozioni eventuali che la sua arte suscita in chi osserva. Preferisco sia l’opera a parlare, senza spiegazioni aggiuntive.
Quale opera ti ha più colpito ultimamente? Quale ti ha colpito per prima?
Uh la la! Questa è una domanda difficile! Alla Biennale di Venezia del 2022 ho particolarmente ammirato gli arazzi cuciti da Malgorzata Mirga-Tas, il mondo estraniante di Uffe Isolotto, quello ancestrale di Ilit Azoulay. Ho amato molto anche i maxi-dipinti colorati di Sally Gabori alla Triennale di Milano all’inizio del 2023. Indietro nel tempo, tra le primissime opere che mi hanno colpito, ricordo il Pont-Neuf avvolto da Christo e Jeanne Claude nel 1985 e una mostra di Ben Vautier al Centre Pompidou. Tra l’altro, in quel periodo, incontrai Jack Lang e gli chiesi perfino l’autografo!
Qual è la prima esposizione d’arte a cui ti ricordi di aver partecipato?
Ricordo una personale curata da Mariolina Cosseddu, credo fosse nel 2008, presso l’associazione “Marinai d’Italia” ad Alghero. Si trattava di un evento all’interno di una rassegna della Facoltà di Architettura di Sassari. La mia opera si intitolava “Felice di Conoscerti” ed era costituita da una serie di manifesti enormi incollati lungo tutto il perimetro della sala. Ritraeva due palmi di mano, incluse le impronte digitali, che s’incontravano toccandosi e separandosi.
Quando ritrai quello che vedi è più importante la superficie su cui lavori o il soggetto?
Non credo di aver mai riflettuto su questo aspetto, ma credo mi interessi di più il soggetto. Il supporto è importante ma non lo trovo preponderante, forse per una mia necessità di aderire alla realtà che vedo e a cui presto più attenzione.
Qual è il tuo interesse più vivo in questo momento?
Attualmente il mio impegno è rivolto all’eco-sostenibilità in senso lato. In particolare mi interessano le possibili soluzioni e azioni nella direzione di una decrescita globale. Mi impegno personalmente per vivere in maniera sostenibile – dieta vegan e trasporto via terra il più possibile – anche se è sempre più evidente che urge un’azione globale e compatta sul piano politico, sociale ed economico a livello sistemico.
Dal tuo lavoro traspare, infatti, una grande sensibilità verso l’ambiente e gli esseri viventi, che si declina in senso estetico, politico, sociale, educativo e chi più ne ha più ne scriva. Ti va parlare di questo tuo sentire e di questa necessità?
La questione ambientale nel suo complesso è al centro dei miei pensieri e della mia pratica, anche artistica. Tuttavia questo non mi permette di vivere serenamente la situazione generale, anzi, purtroppo soffro di eco-ansia. Cerco sempre di prendermi cura della mia salute mentale ed ora specialmente anche di quella parte di me che più risente dell’effetto di questa impotenza generalizzata e che fa percepire ogni avvenimento positivo sul piano ambientale e del benessere animale come una goccia in mezzo al mare. Nel quotidiano, oltre a seguire il lavoro di attiviste e ricercatrici impegnate in questo campo, attuo un’altra strategia di reazione, che è richiamare l’attenzione sulla situazione ecologica tramite il mio lavoro artistico.
Non saprei neppure io dirti come lo faccio, perché in realtà io pratico un’arte non urlata e, anzi, molto sottile e delicata, dove è lasciata molta libertà a chi guarda e scegliere di vedere e ragionare oppure di tirare dritto senza pensarci più. I miei lavori, disegni o dipinti, raccontano momenti, storie poetiche, evocano simboli. Creo delle combinazioni silenziose e permeabili, che credo siano più efficaci nel penetrare nella parte più profonda delle persone per farne affiorare emozioni e sentimenti autentici e, a volte, più nascosti.
Città o campagna? Zuppa o pan bagnato? Caffè o cioccolata? Paolo Conte o Bruno Lauzi? In fondo, perché scegliere?
Scegliere è, purtroppo, escludere. Anche se a volte è semplicissimo, mentre altre ancora è complementare. Direi città e campagna, caffè e cioccolata.
Quali sono le tue scarpe, le tue stoffe e i tuoi odori preferiti?
Partendo dal presupposto che secondo me i piedi nudi vincono su tutto, amo le scarpe col tacco. Le mie preferite sono le décolleté dal tacco comodo, anni Quaranta e Ottanta. All’opposto, amo anche le scarpe da ginnastica, da corsa e le “flip flop” perché mi danno l’idea che l’indispensabile mi sia sufficiente.
Le stoffe invece sono la mia passione. Ne possiedo bauli pieni, tramandati da generazione a generazione. Il fatto che la parte materna della mia famiglia abbia sempre confezionato i propri abiti mi ha invogliata a dipingere su vari tessuti: teli di cotone, wax africani, Liberty, mussole, seta. Ricordo che a Parigi vivevo sopra al più grande negozio di tessuti mai esistito. La sua presenza caratterizzava lo stile di tutto il quartiere.
Da ultimo, i profumi. Adoro quello dei gigli, del cardamomo, dell’incenso thiouraye, del sandalo e del palo santo, i profumi forti che intridono l’aria dell’India e della Sardegna ma anche altri più delicati come la zagara, il frangipane o la gallette des rois.
A cosa pensi quando non riesci a dormire?
Non ho problemi a dormire ed amo moltissimo farlo, soprattutto perché sogno parecchio. Una dimensione quotidiana che mi permette di risolvere le ansie diurne e che mi offre soluzioni e idee non può che essere vitale. Le rare volte in cui non riesco a dormire significa che ciò che mi attanaglia è davvero possente oppure sogno ad occhi aperti di trasformarmi in una donna ricchissima che può realizzare tutto ciò che ha in mente in poco tempo.
Che consiglio daresti a chi inizia ora ad avvicinarsi all’arte e non sa da dove cominciare?
Direi di essere curios*, affamat*, apert*. Consiglierei di viaggiare in solitaria e leggere e scrivere. Penso sia cruciale nutrirsi il più possibile di tutte le arti e conoscere tante persone diverse e per prima cosa sé stess*.
Cosa diresti invece a quell* che dicono “ah, no, io non so disegnare! No, ma dico davvero”?
Questo è un tema delicato! A volte mi sembra ci siano delle categorie misteriose e infondate, delle capacità “superiori” basate su come il disegno viene praticato. Ad esempio, io non credo di saper disegnare! Vedo i miei disegni come una sorta di “stratagemma” che invento perché la forma finale sia aderente a quella che desidero esprimere. So che il risultato non sarebbe il medesimo se disegnassi ogni parte a mano libera. Dico che non so disegnare perché, anche se in fondo so bene che “non esiste disegno sbagliato”, non mi concedo ancora di disegnare completamente in maniera libera.
Purtroppo ti è capitata un’intervistatrice che ha il culto di Gigi Marzullo. Quindi, Coquelicot, si faccia una domanda e si dia una risposta.
La vita ti presenterà altre sorprese in contesto artistico? Farai mostre pazzesche in luoghi meravigliosi? Venderai quadri, muri, carte ad amant* dell’arte internazionali? Si! Sono pronta. Non vedo l’ora!
Se chiudi gli occhi, cosa vedi?
Il terreno che ho comperato in Sardegna pieno di nuovi alberi e di molte piante e fiori, un pullulare di uccelli e di insetti che impollinano felici, delle artiste e degli artisti in residenza là che creano e discutono assieme.
Grazie, Coquelicot!
Coquelicot Mafille, (Parigi, 1975) è un’artista visiva italo-francese che vive e lavora a Milano. Nel suo lavoro le dimensioni del gioco, del sogno, degli spazi occupati dal linguaggio e dal viaggio si intrecciano, per evidenziare gli elementi poetici dell’identità multiculturale del mondo e della Terra. Le sue composizioni-visioni restituiscono un senso d’intimità condivisa di episodi sociali e naturali utilizzando la stratificazione di luoghi, epoche e gesti. Attraverso uno sguardo intimo, poetico, colorato, terrestre, racconta momenti umani, animali, vegetali, fatti di piccole cose, di gesti e di pause. Nella sua pratica indaga immagini pittoriche e fotografiche passate e contemporanee dalle quali prende spunto declinandole in ricami e pittura. Interviene su tele, tessuti, carta, legno o muri come quello dipinto per Le Mur Oberkampf, (Parigi, 2015) e vetrate come quella realizzata per Fondazione Feltrinelli (Milano, 2021). Ha esposto in Italia, Francia, Marocco e Turchia ed ha partecipato a diverse residenze d’artista tra cui 59 Rivoli a Parigi, Bocs a Cosenza, Menafueco a Grottaglie. Conduce atelier d’artista presso scuole e musei.
Arianna Tinulla Milesi è artista, illustratrice multimediale e nasce a Bergamo prima della caduta del Muro di Berlino. Si laurea in Arte Bizantina alla Statale di Milano e successivamente in Arti Visive – illustrazione allo IED. Al centro della sua pratica c’è il disegno come forma mentis, un tramite e mai un fine. Collabora internazionalmente con spazi espositivi, gallerie e musei. Le interessano le interazioni, la memoria, il folklore e la devozione, la percezione della violenza e il concetto di limite. Dal 2024 collabora con l’Orto Botanico di Toscolano Maderno parte dell’Università di Milano, per promuovere il disegno sperimentale come approccio libero verso il mondo naturale e non.
Questo le ha fatto venire in mente che potesse essere una buona idea partire alla volta del Galles per partecipare alla Mawddach Residency e studiare le alghe, il suo terrore più grande. Arianna è membro del Council della Society of Graphic and Fine Art, l’organismo che si cura di promuovere l’arte del disegno dal 1919 nel Regno Unito e nel mondo. I suoi lavori sono esposti presso istituzioni artistiche in varie parti del mondo e non sempre vogliono tornare a casa. Ama Piero della Francesca e Paolo Uccello, la sua power couple preferita sono Raffaello e Pietro Bembo, la gamma di colori dal vermiglio al lampone, sulle labbra e nei vestiti, i capelli estremamente corti, Adrien Brody vestito da Salvador Dalì, accarezzare gli animali e cantare a squarciagola. Ha adottato un gatto di nome Pilade, ricama e si produce vestiti con alterna fortuna, legge Giada Biaggi e Hilary Mantel, ascolta Paolo Conte, PJ Harvey, Fred Buscaglione e prova a fare snorkeling nel lago di Garda. Tra i suoi appuntamenti per il 2025 ci sarà un percorso di ricerca come artista in residenza presso la School of Art & Design dell’Università di Nottingham Trent all’interno del progetto AA2A. Il suo motto è: “Adoro i piani ben riusciti” e “Ogne melù al g’ha la sò stagiù”.