Il treno per Barcellona: una storia di binari, linguaggi e sotterfugi

Todos afuera! Signori, si scende. Quel treno con destino Barcellona era partito il giorno prima da Napoli. Aveva attraversato l’Italia e la Francia mediterranea. Ma era la frontiera di Cerbère, Pirenei francesi orientali, il capolinea delle ferrovie europee nel 1986, 38 anni fa.

In Spagna, lo scartamento ridotto dei binari impediva ai treni provenienti dalla Francia, unica frontiera ad ovest, di poter proseguire. Il generalissimo Francisco Franco, che aveva  da poco tirato le cuoia, era ossessionato dalla paura di essere invaso “por el ferrocarril” e per questo non adeguò mai la misura dei binari spagnoli a quelli utilizzati nel resto d’Europa.

La stazione di Cerbère, Francia, passaggio obbligato per qualunque europeo che volesse entrare via treno nella Penisola Iberica fino a tempi recenti. Photo Credit: BonjourLaFrance.

Quindi, tutti a terra, in coda per attraversare la frontiera a piedi, mostrando il passaporto ad una guardia armata piuttosto seccata per dover controllare tutti quei passaporti nel cuore della notte. E poi ancora in fila, per cambiare qualche lira o qualche franco contro pesetas, non prima di aver mentalmente fatto complicati calcoli. Era l’Europa prima di Schengen, quella che tanti oggi rimpiangono e non so in quanti ricordano.

Infine ti trovavi a Portbou, in Catalogna, che è la stessa città da dove venivi ma dall’altra parte della stazione, sui cui binari potevi scorgere fermo un elegante TGV proveniente da Parigi. Alcuni operai gli montavano addosso un carrello che lo faceva adattare ai binari spagnoli. Era l’unico treno europeo, e forse del resto del mondo, a farlo.

Dalla stazione catalana, un buffo trenino a vapore correva, si fa per dire, su quei binari più stretti del solito, giungendo dopo qualche ora alla Estacion de Francia, Barcellona, una città di una Spagna all’epoca extracomunitaria e dove, per giunta, si parlava poco e mal volentieri lo spagnolo. Esistesse un Esperanto Europeo, questo non potrebbe che essere il Catalano, una lingua contaminata dal Francese della Provenza, dall’Italiano della Liguria, dal Castigliano della Navarra. La lingua catalana a Barcellona è fortemente identitaria.

Il mercato della Boqueria a Barcellona. Photo credit: Spain.info.

Impossibile per un catalano rinunciare ad esprimersi con questo idioma che ne racchiude tanti. Allora come ora, le tante rivendicazioni autonomiste sono espresse rigorosamente in catalano. Unici repubblicani nel Paese iberico, i catalani non manderebbero mai a quel paese Felipe di Borbone nella lingua di Cervantes e Unamuno.

L’architettura istituzionale post-franchista, aveva assicurato ai Catalani, come del  resto ai Baschi, una forte autonomia politica su base territoriale. Il fatto che a differenza di Bilbao, nel centro di Barcellona non esplodessero automobili, con o senza ministri a bordo, aveva fatto guardare al mondo con simpatia alla causa catalana. Un patrimonio politico buttato al vento dalla nuova classe dirigente di Barcellona e dintorni.

Jordi Pujol, leader storico dei catalani, che governò la comunità per 23 anni, ottenne per la Catalogna condizioni di autonomia molto ampie negoziando con Madrid. Era riuscito a farlo anche perchè quella catalana era stata la regione che, non dimentichiamo, aveva pagato il prezzo più alto durante la dittatura franchista.

Una foto recente di Jordi Pujol, leader storico del movimento autonomista catalano. Photo credit: El Mundo.

Pujol era cattolico, repubblicano ed antifascista. Figlio dunque di ideologie forti, capaci di imporre una visione strategica molto ampia e lungimirante. Al punto tale che la Comunitat è, ancora oggi, una tra le più regioni più avanzate d’Europa. La Catalunya di allora non era certo in mano a leader come Puidjemont, uno che immediatamente dopo aver dichiarato la secessione è scappato a Bruxelles, lasciando che in galera ci andassero i suoi collaboratori.

Non esistesse un problema irrisolto di diversità culturale ed integrazione amministrativa all’interno del microcosmo spagnolo, però, probabilmente le istanze autonomiste della comunità catalana sarebbero state disattese a tutti i livelli. Lo dimostra quanto accaduto a Bruxelles quattro anni fa, quando L’Unione Europea ha temporeggiato sulle decisioni da assumere a proposito dei leader secessionisti catalani eletti all’Europarlamento, ancorché inseguiti dalla giustizia spagnola. Fino a che, dal suo dorato esilio nelle Fiandre, l’ineffabile Puigdemont si è detto disponibile “a collaborare con le autorità spagnole.”

Il leader indipendentista ed ex governatore della Catalogna Carles Puigdemont. Photo credit: De Morgen.

Intendiamoci, non che abbia chiarito bene in cosa consistesse questa disponibilità alla “collaborazione”. Alla luce dei fatti odierni, è però più facile capire cosa intendesse. Tramite la sua rocambolesca fuga, prima in Francia e poi in Belgio, Puidgemont aveva infatti astutamente driblato le procedure di consegna sollectitate dalla Spagna, soprattutto contando sul fatto che in patria sarebbe stato giudicato dalla “Audiencia Nacional”, un tribunale speciale con specifiche competenze in materia di reati contro la Corona di fatto non riconosciuto da tutte le costituzioni europee. In questo modo, il leader indipendentista era riuscito ad aspettare il momento opportuno per pianificare il suo ritorno, costringendo la Spagna a porre al centro dell’azione di governo la questione catalana ed utilizzaondo i riflettori dei media per uscire fuori dall’angolo in cui era andato a cacciarsi.

Junts per Catalunya, il partito di Puidjemont, in cambio dell’appoggio all’attuale governo di Sanchez, otterrà inoltre l’amnistia per le responsabilità  penali, amministrative e contabili di più di 300 leader incriminati per vari reati commessi dopo la bocciatura del referendum secessionista del 2017, compreso lo stesso Puidjemont. Non solo, Sanchez ha anche promesso a Puidjemont che il governo regionale della Catalogna potrà tenere per sé il 100% di tutte le tasse e imposte che raccoglie sul suo territorio.

Pedro Sanchez, leader del Partito Socialista dei Lavoratori Spagnolo ed attuale Primo Ministro del Paese iberico. Photo credit: Claudio Alvarez/El País.

La Catalogna è una delle regioni più ricche ed avanzate della Spagna e l’idea che sarà del tutto esente da ogni forma di redistribuzione ha provocato forti proteste da parte di tutti i settori, pubblici e privati. Questo sarebbe infatti un trattamento di favore senza alcuna giustificazione legale nei confronti dei cittadini catalani, come sostengono anche più o meno tutti i partiti di opposizione al governo di Sanchez e anche molti simpatizzanti socialisti in seno al suo stesso partito.

Quel che è certo è che, alla lunga, il cinismo politico di Puidjemont ha dato i suoi frutti. Sanchez è stato costretto, per formare il proprio governo, ad accettare i voti non solo dei catalani di Junts, ma anche dei partiti regionali (e qualche volta indipendentisti) baschi, canarini e galiziani. E se vorrà continuare a governare la Spagna, dovrà fare i conti con le loro (non sempre giustificate o, quantomeno, giustificabili) spinte autonomiste. Un’altra vittoria, non si sa quanto meritata, degli eredi di Jordi Pujol.

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