L’obbligo di sperare: Papa Francesco e la questione carceraria

E’ un po’ di tempo che va di moda parlare di carcere. Fa figo, innalza lo share. Molti “interventori seriali”, considerati esperti di carcere solo perché ne parlano spesso e volentieri, non lesinano la loro autorevole opinione sull’argomento nelle discussioni sui media, sui social, sulle piattaforme collettive. E come accade per tutti i temi della società contemporanea, subito ci si divide tra guelfi e ghibellini, untori e immuni, colpevolisti e buonisti. C’è la fronda di coloro che proclamano, con veemenza, “Tutti fuori subito! E senza preclusioni!” e quella che, con nobile sdegno e graziosa compiacenza verso le vittime, sollecitano la chiusura delle porte con definitiva eliminazione delle chiavi.

I primi, generalmente di sinistra, sono gli stessi che invocavano un giustizialismo rigoroso e senza sconti all’epoca di Mani Pulite; quelli che innalzarono a due terzi il quorum in Parlamento per l’approvazione dei provvedimenti di clemenza. I secondi, generalmente di destra, sono pronti a cambiar idea quando in galera ci capitano loro. Basti pensare, come esempio emblematico, alla lettera ai giornali con la quale Gianni Alemanno, attualmente detenuto a Rebibbia Nuovo Complesso, ha chiesto di far entrare in vigore una proposta di legge presentata 2020 dalla parte politica da lui allora avversata.

L’attuale centrodestra, però, è governo che si proclama antitetico a qualsiasi misura di liberazione anticipata e che a tali tipi di musure si è sempre detto contrario. “Indultini” [1]. E’ prioritaria, secondo Giorgia Meloni, la riforma della separazione delle carriere. L’assoggettamento della magistratura requirente al potere politico è per la Premier una questione molto più urgente della riorganizzazione del sistema carcerario.

Ma su ciò vi è un consenso trasversale di tutte le forze politiche, nonostante il risultato del passato referendum [2], con l’unica solitaria opposizione della magistratura, forse perché lucidamente consapevole delle ricadute sul principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, e, in definitiva, sullo stato di diritto. Ma questa è un’altra storia, su cui ho un’opinione assolutamente fuori dal coro, a quanto pare.

Tornando a coloro che parlano di carcere, bisogna convenire che a Roma non li abbiamo visti mai, o quasi mai. Forse frequentano Volterra, Sollicciano o Poggioreale. Con una sola eccezione: Papa Francesco.

Papa Francesco durante una visita al carcere di Rebibbia nel 2018. Photo credit: Penitenziaria.it

A pochi giorni dall’elezione al soglio pontificio, Francesco si recò a Casal del Marmo per incontrare i minori detenuti. Al carcere di Civitavecchia celebrò la messa del giovedì santo e lavò i piedi a dodici giovani detenuti, tra cui due ragazze commosse, una cristiana e una musulmana, lasciando un’immagine incancellabile. Il Papa chino e servo di chi ha sbagliato.

Ricordo quando feci io la lavanda dei piedi ai detenuti. Un momento indimenticabile della mia vita. Accadde al termine di un cammino di una settimana, che facemmo nel 2017 in tre volontari con sette detenuti permessanti. Percorremmo da soli, zaino in spalla, la Via Iacopina che collega Pistoia a Firenze e ci recammo poi sulla Francigena ove camminammo da Viterbo a Roma. In sette giorni camminammo per 180 chilometri circa, da soli, senza guardie. Dormimmo nei luoghi di accoglienza del cammino e mangiammo tutti insieme, condividendo simultaneamente tutte le fatiche e i pesi, dello zaino e del cuore [3].

Al termine del cammino, giunti a Roma, ci fu la cerimonia della lavanda dei piedi, ove ci sentimmo fratelli, compagni di trincea. In quel momento non c’erano detenuti nè volontari. Non c’erano neppure più persone: eravamo una persona sola. Il mondo scorreva di lontano, con tutti i suoi affanni. Noi eravamo là, uniti nello stesso cerchio, nello stesso gesto.

La lavanda dei piedi ai detenuti alla quale presi parte a Roma. Photo credit: Marina Binda.

Papa Francesco venne poi a conoscenza di questa piccola nostra impresa e ci volle ricevere da soli, stremati ma felici, sul sagrato di San Pietro.

Il nostro incontro con Papa Francesco. Photo credit: Marina Binda.

Il pontificato di Papa Francesco è stato caratterizzato da continue visite ai penitenziari italiani. Celebre è la sua frase, rimasta nel cuore di tutti: “Ogni volta che entro in un carcere, mi domando perché voi e non io”. A significare che la possibilità di commettere reati è di tutti noi, nessuno escluso. “Chi sono io per giudicare?”, ha sempre detto.

Francesco ha voluto aprire una Porta Santa del Giubileo della Speranza in carcere. Ha donato tutte le proprie personali sostanze alla Casa minorile di Casal del Marmo e, in generale, ha sempre avuto un pensiero particolare per il mondo carcerario. Alla solitaria Via Crucis del 2020, nel cuore dell’umanità straziata, Francesco ha letto le meditazioni dei detenuti, dei poliziotti, dei magistrati di sorveglianza, degli educatori, dei volontari, dei familiari dei condannati. “Per me sperare è un obbligo”, affermò in quell’occasione la figlia di un ergastolano.

La Via Crucis del 2020, presieduta da Papa Francesco in una Roma ancora in quarantena. Photo credit: vatican.va

Papa Francesco ha sempre chiesto provvedimenti di clemenza per i detenuti [4]: forse la considerava una clemenza dal dolore. Per vero Bergoglio non è stato il primo pontefice a invocare l’indulgenza. Nel 2002, Giovanni Paolo II, già profondamente segnato dalla malattia, si spinse di fronte alle Camere riunite a Montecitorio per chiedere espressamente l’amnistia, o quantomeno l’indulto. Tale appello restò del tutto inascoltato dalla classe politica di allora. Neppure la deferente richiesta di un Papa di fronte a un semicerchio, invero commosso, produsse alcun risultato. Italia dei Valori arrivò a pubblicare sul proprio sito nomi e foto dei parlamentari che si erano detti favorevoli all’indulto.

Di recente Francesco ha detto che l’ergastolo è una forma nascosta di pena di morte. E’ stato abrogato nello Stato Vaticano. Il 17 aprile 2025, soltanto quattro giorni prima di morire, il Pontefice ha voluto entrare in carcere, di nuovo per “lavare i piedi” ai detenuti. Lo ha fatto metaforicamente, perché le sue povere forze non lo consentivano. Era stravolto dal dolore. Il fisico a pezzi, e forse era a pezzi anche il suo cuore.

E’ arrivato a Regina Coeli quasi senza farsi annunciare, distorto dalla malattia e gonfio per le dosi di farmaci, presumibilmente massicce. Tuttavia, pur nello stravolgimento della sofferenza fisica, è riuscito a donare ancora un sorriso, una carezza. E lui stesso è parso rasserenarsi un pochino. A un certo punto della visita ha sorriso e ha alzato il pollice in alto.

Un affetto corrisposto da tutti i presenti: personale e carcerati. Alcuni detenuti erano stracciati, altri benvestiti, forse in suo onore. Tutti, ma proprio tutti, credenti e atei, cristiani e musulmani, innamorati di lui. C’è stata, a Regina Coeli, una sorta di condivisione di una situazione di restrizione: una restrizione tra le sbarre, per i detenuti; una dolorosa restrizione dovuta alla grave malattia, per Francesco.

In fondo il legame speciale tra Francesco e il mondo del carcere si può capire: Gesù era un condannato. E a ben vedere una malattia grave è una forma di segregazione fisica, vissuta tra le sbarre di un letto, al pari della segregazione tra le sbarre di un carcere.“Come sta?” ha chiesto al Pontefice un giornalista che lo attendeva fuori dal carcere. “Seduto”, ha risposto Papa Francesco con un piccolo sorriso triste.

Ecco perché la visita di Francesco a Regina Coeli è fra le vicende più emozionanti del suo pontificato. Commuove la sua mano cerea e chiazzata di sangue tra le forti braccia tatuate dei carcerati. Non ha avuto paura a mostrarsi vulnerabile a chi vive una situazione di fragilità. Il più vulnerabile di tutti.

Note
[1] Si veda la citazione delle parole esatte del Papa nell’articolo “Natale in carcere” della stessa autrice, su Deephinterland dicembre 2024.
[2] Per un resoconto del cammino si veda: Binda M., Diario di un pellegrinaggio, Herald Editore, 2017.
[3] Con tale termine s’intende la sospensione di una parte della pena residua al condannato, che ha già scontato parte della pena detentiva.
[4] Il referendum del 12 giugno 2022 sulla separazione delle carriere ha visto la partecipazione del 20,9% degli elettori, percentuale molto inferiore al quorum richiesto per l’abrogazione della disciplina vigente.

1 COMMENT

  1. Un articolo che affronta la questione carceraria a vari livelli, tramite un forte coinvolgimento emotivo dell’autrice che non può non colpire il lettore. Brava Marina

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