Ricchi premi e cotillon: l’Eurovision Song Contest visto dall’America

Nel lontano 2007, una mia amica ha cercato di spiegarmi questa cosa che si chiamava “Eurovision” e che lei stessa aveva appena scoperto. Siccome sia io che la mia amica siamo nate e cresciute in America, non avevamo un’idea precisa di cosa fosse l’Eurovision fino a quel momento. Ed infatti ricordo che l’amica in questione ha fatto non poca fatica per farmi capire di cosa si trattasse di preciso.

Sì, è vero, l’Eurovision è una specie di campionato europeo della canzone. Ma ciò non è del tutto vero, perchè a partire dal 2015 anche L’Australia partecipa all’Eurovision. Israele anche da prima. E poi non si tratta solo di una gara fra canzoni, perché all’Eurovision conta parecchio la performance. Che più è pittoresca e meglio è. Quindi l’Eurovision sarebbe un festival del pop filo-UE, con musica, mossette da discoteca ed un sacco di effetti speciali? Finalmente ci stiamo avvicinando alla verità, ma senza ancora coglierne appieno lo spirito.

No, l’Eurovision non si spiega. L’Eurovision lo si capisce solo se lo si guarda. Così la mia amica mi ha fatto vedere la sua esibizione preferita dell’edizione di quell’anno: “Vampires are Alive” del gruppo svizzero DJ Bobo. Una cosa a metà fra la dance elettronica, il teatro dei vampiri tipo Grand-Guignol ed il Circo Togni, impreziosita un po’ a casaccio da fuochi d’artificio, vagonate di paillettes, coreografia da cocainomane e la cresta da “wannabe punk” più notevole che io abbia mai visto.

Nonostante queste eccellenti premesse, ho iniziato a seguire davvero l’Eurovision solo dal 2021, anche se ora sto recuperando il tempo perduto. Almeno a giudicare dai dati sullo share della kermesse forniti da tutti i paesi partecipanti, il grande pubblico italiano sta più o meno facendo la stessa cosa. Non saprei perchè gli italiani abbiano snobbato in massa l’Eurovision fino a tempi così recenti. Forse perchè dal 1997 al 2011 l’Italia non ha partecipato direttamente a questa competizione. O forse perché gli Italiano hanno spazio nel cuore per una sola grande kermesse musicale dal forte retrogusto kitsch all’anno (sto parlando, ovviamente, di quella sanremese).

Quale che sia stato il motivo, la maggior parte degli Italiani ha iniziato a seguire il Song Contest solo a partire dall’anno scorso, quando Torino l’ha ospitato a seguito della vittoria dei Måneskin nel 2021. E, come me la prima volta, tutti questi gli italiani sono rimasti sconvolti dal ritmo arci-frenetico proprio di questa kermesse. Se fra i miei lettori ci fossero ancora persone che fino ad oggi si sono perse questa esperienza, non vi preoccupate; recuperiamo subito.

L’Eurovision Song Contest nasce nel 1956; e nessun italiano si sorprenderà di scoprire che questo evento musicale sia stato creato su ispirazione esplicita del Festival di Sanremo, di cui inizialmente costituiva una sorta di clone internazionalista. Per quanto la Sanremo nostro rimanga pur sempre il mio primo amore musicale, però, l’Eurovision ha assunto nel tempo un gusto del tutto diverso. Se la canzone sanremese più tradizionale è di solito una triste ballata alla Mengoni, la canzone classica “da Eurovision” ci deve spingere a ballare come dei tamarri. Fra le canzoni più notevoli degli ultimi anni, infatti, possiamo vantare una drag queen ucraina vestita dall’uomo di latta, un violinista norvegese circondato da ballerini acrobatici e —forse il mio preferito di sempre— il non facilmente descrivibile (nè pronunciabile) Daði Freyr che, assieme alla sua band di tastieristi cyberpunk in tuta, una volta ha pure salvato l’Islanda dall’attacco di una specie di Godzilla da mercatino dell’usato.

Ma come funziona questa competizione canora? In base a cosa i suoi partecipanti possono pure rischiare di vincerla? I punti vengono assegnati ad ognuno degli artisti in gara (un cantante o una band per paese partecipante) da due fonti diverse: le giurie nazionali ed il televoto. Ogni paese assegna un numero identico di punti, a prescindere dalla sua popolazione. Così, ad esempio, San Marino conta esattamente come la Germania e si evita che i dubbi gusti musicali dei Tedeschi (o, fino all’anno scorso, dei Russi) determinino ogni anno il vincitore. Per rendere la competizione più equa, inoltre, ad ogni paese è vietato assegnare punti ai propri artisti in gara. Ottima notizia per gli Italiani, i quali quest’anno non dovranno scegliere fra una possibile avversione per Marco Mengoni e l’orgoglio nazionale. Lo ripeto: siccome vi è vietato votare Mengoni, avete ogni valida scusa per scegliere tranquillamente un’altra canzone. E poi non dite che non vi avevo avvertito.

Tutto ciò però non è per dire che la geopolitica non c’entri con l’Eurovision. Anzi, c’entra eccome. Da tempo ormai si parla di blocchi elettorali e inciuci vari, con gli Scandinavi che fanno ciò che agli Scandinavi viene meglio da sempre in ogni competizione internazionale (cioè fare il “biscotto” con gli altri paesi nordici), ed i paesi slavi che regolarmente votano per altri paesi slavi. Eccetera, Eccetera. E come scordarsi che nell’edizione dell’Eurovision che ha seguito di poco la Brexit, tutti i paesi (e tutti i telespettatori!) dell’Unione Europea si sono alleati per dare zero punti all’artista in gara del Regno Unito?

Però le cose non vanno sempre esattamente così. Negli anni scorsi, per esempio, abbiamo visto quasi tutti i paesi slavi uscire “fuori di testa” per i Måneskin e, già nel 2022, la canzone made in UK sembrerebbe aver recuperato il favore dei suoi vicini. E poi anche se il voto delle giurie nazionali può sembrare spesso prevedibile, all’Eurovision il televoto rimane pur sempre una strana bestia.

E’ stato proprio il televoto ad avere offerto una vittoria travolgente all’Ucraina l’anno scorso contro il giudizio delle giurie, almeno in parte per motivi fortemente politici e di solidarietà, ma anche forse per lo stile peculiare della canzone folk-rap che Kiev aveva voluto sul palco di quell’edizione. Nell’edizione dello stesso anno, la geniale canzone moldava ha recuperato punti al televoto dopo esser stata vergognosamente trascurata dalle giurie. Si vede che un inno folk-rapsodico ai treni ed il trasporto pubblico tutto non è piaciuto granchè ai professionisti della critica, anche se il pubblico da casa l’ha apprezzato.

Infatti c’è sempre qualche sorpresa all’Eurovision e spesso le sorprese vengono accolte con calore dal suo pubblico. Abbiamo visto generi musicali che variano dal folk elettronico al nu metal; così come testi che vanno dal tradizionale al…meno tradizionale. Ma direi che alla fine la maggior parte di quelli che si presentano all’Eurovision possono essere divisi in tre categorie: 1) i “Mengoni”, 2) i bop da discoteca e 3) gli stramboidi.

Diamo quindi un’occhiata più da vicino a queste tre tipologie di artisti in gara, così come ad alcuni dei migliori esempi che possiamo aspettarci per ognuna di esse dall’edizione di quest’anno dell’Eurovision Song Contest.

Categoria 1: I “Mengoni”

L’Eurovision, così come a Sanremo, in fondo non sa mai resistere del tutto ad una ballata un po’ mielosa con dietro una voce potente. E quest’anno non farà un’eccezione. A parte l’ovvio esempio omonimo (dico davvero, non lo votate!), i “Mengoni” trovano il loro habitat naturale all’Eurovision anche presse le delegazioni francesi che, senza paura (nè vergogna) di dare luogo a dei cliché, propongono in gara per la seconda volta in 3 anni una specie di Edith Piaf next generation che si veste di nero e porta un berretto in testa:

Ma la migliore nella categoria dei “Mengoni” dell’edizione di quest’anno è di sicuro la Svezia, la quale si presenta con Loreen, una cantante che sa essere più “Mengoni” dello stesso Mengoni originale (il quale, fra l’altro, sarebbe davvero meglio se non lo votaste). La stessa Loreen ha già vinto l’Eurovision nel 2012 con una canzone ormai classica per i fan del Contest, ed è la favorita nell’edizione di quest’anno per chi scommette.

Negli ultimi anni, infatti, i “Mengoni” sono di solito i preferiti delle giurie nazionali, come abbiamo visto per esempio nel 2021, quando la Francia e la Svizzera rischiavano di battere i Måneskin. Grazie al cielo il pubblico aveva altre idee e, con un po’ di fortuna, eviterà di votare un “Mengoni” anche quest’anno in cui in gara c’è addirittura un Mengoni vero (voi nel dubbio non votatelo).

I “Bop” da discoteca

L’Eurovision è in fondo una festa da ballo. Come sempre, quest’anno abbiamo almeno alcune canzoni stile Britney, qualcosa a metà fra folk e house, e molte altre che ti potrebbero far comunque ballare anche se le hai capite fino in fondo. Ma i miei preferiti bop di quest’anno sono quelli di Norvegia e Slovenia.

L’italo-norvegese Alessandra porta una canzone talmente strana che non ti fa mai sapere se ti trovi in una discoteca oppure a qualche specie di ricostruzione medievale da palio di paese. Probabilmente un po’ tutti e due. Nel caso, tu taci, ci stai e te la balli.

Il mio debole di quest’anno per la Slovenia si spiega forse più facilmente. Per (quasi) citare colei che non dovrebbe essere mai citata, “sono una donna, sono una madre, e sono una millennial.” Nel video ci sono dei ragazzi carini che cantano un brano pop-rock molto orecchiabile. Praticamente si tratta di una boy band fuori tempo massimo, il che non può non piacermi per contratto generazionale.

Gli Stramboidi

In questa categoria ritroviamo tutti i veri gioelli della corona dell’Eurovision. L’anno scorso sul palco abbiamo avuto gente difficilmente inquadrabile da ogni logica umana, come i licantropi norvegesi, i lettoni iper-entusiasti per la verdura (e non solo), e i già citati moldavi amanti dei mezzi pubblici. Anche quest’anno di sicuro non mancheranno proposte strane e divertenti, fra cui due che mi hanno già conquistato il cuore:

Se vi chiedessi di indovinare l’argomento del testo più strano dell’edizione di quest’anno, scommetto che non avreste mai detto “l’essere posseduti dal fantasma dello scrittore horror Edgar Allan Poe”.  Ma eccoci qua.

E poi, la mia preferita in assoluto quest’anno, il “Cha Cha Cha” del finlandese Käärijä:

Già da tempo l’Eurovision ci aveva fatto capire che i finlandesi amano il metal. Ma se esiste un modo perfetto di fare rock alla Eurovision, Käärijä l’ha capito. Forse è quella specie di giacchetta verde elettrico con le maniche gonfiate. Forse sono quelle coppie di ballerini vestiti di rosa shocking che fanno ballo da sala mentre lui si sgola. Forse è che questo ragazzo ha già spiegato la sua canzone perfettamente in quattro parole durante un’intervista che rimarrà nelle cronache del cantautorato stramboide. O forse perchè questa canzone, dopo circa un minuto e cinquanta secondi, passa agevolmente da un genere musicale ad un altro completamente diverso senza perdere un colpo. Genio.

Quindi, se guarderete l’edizione dell’Eurovision di quest’anno e voterete, avrete l’imbarazzo della scelta. Basta che non sia un voto per il proprio paese o, anche se non vivete in Italia, per Marco Mengoni. Diciamo con Cavour che “fatta l’Europa, tocca ancora fare gli Europei.” Un po’ di campanilismo e di orgoglio nazionale c’è, certo, ma alla fine le cose più importanti dell’Eurovision sono altre: paillettes, keytars, balletti, ritmi elettronici, ostracismo per Mengoni e chi più ne ha più ne metta.

Io quest’anno farò il mio dovere esprimendo il mio primo televoto nella storia di Eurovision per il simpatico finlandese pop-metal. Perché? Sono italo-americana, sono vissuta in Italia, insegno la lingua e la cultura italiana all’università di mestiere. Perchè non votare proprio l’Italia? Beh, come avrete capito Mengoni non mi entusiasma molto…ma diciamo che quest’anno prendo ispirazione dalla regola che vieta di votare per il proprio paese.

Anche se, lo devo ammettere, se ci fossero stati i Cugini di Campagna a rappresentare il Bel Paese all’Eurovision, sarebbe stata tutta un’altra storia.

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