Chiunque abbia a che fare con la scrittura, per lavoro o per diletto, conosce di certo l’importanza fondante della lettura come primo presupposto. Più leggi e meglio scriverai, scrivi molto, elimina il superfluo sono regole presenti in ogni manuale per aspiranti scrittori, e dio solo sa quanti se ne vendano in Italia, Paese che conta forse un numero più alto di gente che vorrebbe vivere scrivendo che di lettori. All’interno di Deep Hinterland, il taglio di questa rubrica, che prende il nome da due versi di una delle più celebri poesie di Carmelo Bene, è fondamentalmente letterario. Orbitando e giocando intorno al concetto di sacro, declinandolo in ogni possibile sfaccettatura, l’ambizione è quella di fare dell’antropologia deliziandovi con la narrazione di piccoli e grandi mondi. Ed è entro questa ambizione che nasce in un pomeriggio di scambio di mail tra Cittaducale, provincia d’Italia, e Toronto, l’idea di occuparci della Comunità di San Patrignano.
Questo è l’anno di Sanpa, tra le altre cose, visto che i riflettori sulla più grande e famosa comunità di recupero di tossicodipendenti si sono riaccesi improvvisamente grazie alla quotata e discussa serie Netflix che ha indagato sulle luci e sulle ombre della prima San Patrignano. Quella che non esiste più e che si è rigenerata nella nuova Sanpa dove il recupero dei ragazzi è tornato ad essere al centro dei riflettori rispetto agli accadimenti di cronaca, una volta che la scena è rimasta sgombera dalla figura ingombrante e totalizzante di Vincenzo Muccioli, fondatore dibattuto per fatti a tutti noti. Non nego che inizialmente l’idea di parlare di Muccioli fosse forte e al centro stesso delle telefonate di confronto in cui si decide di cosa scrivere e di cosa non scrivere su Deep Hinterland.

La tentazione di parlare della Sanpa di Muccioli era forte, perché San Patrignano è provincia, tre case su una collina, che s’è fatto centro, luogo geografico centrale di pellegrinaggi di speranza per migliaia d’esistenze disperate (chiunque abbia a che fare con la scrittura sa quanto le parole e tra di loro gli aggettivi siano sofferti, studiati, limati, corretti, eliminati. Il miglior manuale di scrittura è forse l’incompiuto Petrolio di Pasolini dove questa necessità e ricerca di perfezione è visibile nelle note, negli asterischi, nei mille dubbi stilistici. Esistenze disperate sottintende un giudizio di merito, una presa di posizione rispetto alla subalternità della condizione di tossicodipendenza; non andrò a correggere perché questa annotazione, che svela l’errore dello scrivente, vale più di ogni altro maldestro tentativo di affrescare una condizione umana non mia) che lì hanno trovato possibilità di un reinserimento sociale di norma negato al tossicodipendente.
Inoltre San Patrignano, la prima San Patrignano, somiglia molto (da quel che ci dicono i documenti) ad un’organizzazione religiosa, ad una Chiesa ove il fondatore predicava e applicava una rigida dottrina, talmente rigida da negare ai ragazzi la possibilità dell’Apostasia. Muccioli, della cui intuizione hanno beneficiato migliaia di vite è vero, fu con ogni evidenza un uomo che non ha esitato, con la complicità dei suoi primi collaboratori, ad esercitare la violenza, che ha usato le catene, l’internamento coatto , le botte come trattamenti necessari con quei ragazzi che più di altri ambivano alla fuga e al ritorno alla strada (la letteratura in genere è ampia, diversi ospiti hanno raccontato negli anni dei metodi di Sanpa; gli articoli sono facilmente rintracciabili, mi limiterò dunque a citare giusto un passaggio di una intervista di Giulia Mengolini per deabyday tv che è rivelatrice di un tema poco dibattuto,ossia quello della disparità di genere: “la parità di genere non esisteva a Sanpa […] quando era una donna la punizione era molto più dura. Venivano rinchiuse, spesso completamente nude. Una ragazza che stava con me, sui trent’anni, fu chiusa in una gabbia completamente nuda, se non sbaglio per una settimana.”

Per avvicinarvi alla figura del fondatore consiglio, oltre al documentario, l’ottimo – Sanpa Madre Amorosa e Crudele- di Fabio Cantelli Anibaldi, che di Muccioli è stato ospite ma anche e soprattutto Capo Ufficio Stampa della Comunità tra il1992 e il 1995. Lo rileggo matita alla mano per preparare questo pezzo una domenica sera e mentre mi accorgo che le possibilità di aggiungere qualcosa di nuovo ed originale ad un tema tanto dibattuto e a una figura così viva nella memoria collettiva sono scarse e che il progetto rischia di naufragare (la letteratura è fallimento, spesso), sottolineo un passaggio: “m’indignavano quelle [descrizioni] che dipingevano Sanpa come una riedizione di Auschwitz, ma pure m’irritavano, ormai,quelle che la celebravano come un posto unico al mondo per calore e umanità, guidato da una persona altrettanto unica: Vincenzo Muccioli, taumaturgo, santo e campione di bontà”.
La lettura è sempre un buon inizio, dicevamo. Credo d’un tratto che potrei collegare la figura di Vincenzo Muccioli, per alcuni autentici Santo Laico, a quella dei Santi Ambigui della Chiesa come Agostino (che nelle Confessioni ammette di aver rubato per il puro gusto di farlo) o la libertina Pelagia (“Gli uomini che prendeva per amanti diventavano ubriachi di lei. Pelagia si unì con padri che abbandonarono i figli, uomini facoltosi che dispersero ogni ricchezza. Riuscì addirittura a sedurre il fratello dell’imperatrice. Nel tentativo di descrivere il potere che Pelagia esercitava sugli uomini, San Giovanni contemplò anche la possibilità che la donna li drogasse o che facesse uso di stregoneria,” scrive Craugwell) e l’idea sarebbe perfino buona se Muccioli avesse nel corso dei suoi ultimi anni di vita mostrato segni di pentimento (che non è un atto esclusivamente religioso ma anche e soprattutto un atto di coscienza laica). Purtroppo non abbiamo nei documenti biografici del fondatore il riconoscimento dell’errore, il quale equivarrebbe ad un ben più importante confessione del reato (i rari cedimenti furono più che altro funzionali nel discutere l’idea stessa di reato e di liceità dell’azione). Se è vero come è vero che per alcuni fu Santo, è vero che le ombre nere che affollano la memoria collettiva del fondatore di Sanpa parlano chiaramente di fatti ambigui, metodi violenti e, almeno stando alla Procura Generale di Bologna, di un caso di maltrattamenti cui seguì la morte dell’ospite Roberto Maranzano (compiuti da terzi con il plausibilissimo avallo di Muccioli).
All’interno del più vasto garantismo possibile e in virtù del fatto che la morte di Muccioli spense le indagini (e in virtù anche dei legami di Muccioli con un’egemonia che contrastò la stampa dell’ottimo testo di Cantelli Anibaldi che pure molto ci racconta di quel mondo) la domanda che riecheggia è di fatto sempre la solita: fino a quale punto i sistemi delle Istituzioni Totali (o più semplicemente,fino a che punto la privazione delle libertà individuali) possono essere adottati per scopi umanitari e socialmente validi? Se il Male è un concetto relativo, il Reato non lo è. Se un Sistema che ha salvato migliaia di vite ne ha uccisa anche e soltanto una, volontariamente (procedendo anche all’occultamento del cadavere a centinaia di chilometri dalla Comunità), quel Sistema è un Sistema Valido o è un Sistema Sbagliato? Stupisce la sicurezza di alcuni pensatori nel propendere verso la prima ipotesi, penso ad esempio (trascurando Red Ronnie) alla sicurezza di Viviana Daloiso che su Avvenire pare non avere dubbi, bocciando il docufilm a suo avviso confezionato per un pubblico appassionato a serie tv di impatto e programmi cult, quasi che la violenza accertata fosse fiction o almeno cosa irrilevante rispetto all’impegno complessivo di San Patrignano per la lotta alle dipendenze (Avvenire, 2 Gennaio 2021).
Passando la palla al mio collega Davide Truchlec per un pezzo sulla docufiction di Netflix (mi delizierebbe leggere un suo scritto sul tema), rimango entro la mia rubrica disconoscendo a Muccioli lo status di Santo Laico in virtù di una biografia accertata (a differenza delle agiografie dei santi) ove paiono vacillare quelle caratteristiche, Treccani alla mano, di perfezione morale che forse meglio si adattano ad altre figure della nostra storia laica (rimanendo nell’ambito della lotta alle dipendenze mi riprometto, per il futuro, di parlare di Mauro Rostagno e di Marco Pannella, il quale a Muccioli disse un eterno e forse un po’ generoso“Io mi occupo della guerra, tu dei feriti). Sarei tentato di scrivere del pre-Patrignano, dunque del Cenacolo di Muccioli dedito a parapsicologia ed esoterismo dal quale poi nacque una comunità di recupero priva di fatto di un qualsivoglia piano terapeutico, ma sarebbe così troppo semplice ed intellettualmente poco onesto rendere macchietta grottesca un’esperienza che comunque è da giudicare con attenzione e curiosità (San Patrignano è in piena funzione e dopo la morte del suo fondatore nessun’ombra ne ha più macchiata la fama e l’efficacia, è giusto dirlo per rispetto degli operatori e dei ragazzi) ma senza le certezze assolute che dividono i sostenitori dai detrattori (facendo nostro insomma l’insegnamento di Cantelli, campione di equilibrio).
Mentre leggo il libro di Cantelli, sul sessanta pollici passano mute le immagini di repertorio dove la speranza delle mamme dei ragazzi si trasforma in autentico fanatismo pro-Muccioli, e ancora le testimonianze al processo delle personalità della cultura e dell’egemonia che più lo difesero: i coniugi Moratti e Paolo Villaggio. Mi ricorda qualcosa, questa entusiasta e compatta muraglia umana a difesa di Muccioli e del suo operato, riaccolto nel giubilo in Comunità dai suoi ragazzi dopo il celebre processo delle catene. Mi ricorda questo giubilo l’adorazione dei cristiani verso il Vescovo Patrignano,perseguitato e costretto all’esilio nei primi anni del 300 d.C. da Diocleziano.

Dopo anni trascorsi di là dal Metauro, giunta l’azione di Costantino, Patrignano venne condotto in giubilo a Fano, di cui divenne Vescovo e guida per oltre un quarantennio. È una mera suggestione letteraria che faccio brevemente mia-prima di farla scivolare via- quella di Santo che diviene toponimo di un piccolo angolo d’Italia ove milleseicento anni dopo, un altro taumaturgo, santo, campione di bontà (prendendo ancora in prestito Cantelli) si mise a capo di una comunità ambigua e dibattuta, in perenne bilico tra la bontà del fine e la discutibilità dei mezzi. Una comunità che nonostante tutto, con una convinzione assimilabile al fanatismo religioso e all’entusiasmo dei fanesi per Patrignano, mai smise di difendere ed osannare il suo Padre Fondatore.
Maurizio Perelli

Antropologo non praticante, nasce a Rieti nel 1982. Laureato presso l’Università di Perugia, al momento ha messo la sua laurea in fondo al cassetto dei calzini preferendo andarsene in giro a commerciare bottiglie di vino. Appassionato delle vite dei santi, se n’è già occupato in un piccolo mensile che poi però è fallito. Sposato, gli piace la pastasciutta e ha una forte passione per la Milano degli anni ’80. Anche se a Milano ci è andato giusto tre volte.