Probabilmente è stata anche la saturazione e la stanchezza del pubblico verso il genere superioristico la causa del successo degli adattamenti poco convenzionali dell’annata 2023. Prodotti come Super Mario, Barbie e la serie TV di The Last of US sono l’ennesima dimostrazione che non esistono adattamenti impossibili, ma che con il giusto piglio traduttivo la rilettura è sempre possibile.
È proprio in questo terreno di ambizione e scommessa con l’impossibile che si piazza anche il recentissimo live action One piece, prodotto da Netflix.
Con un curriculum non proprio sfavillante in merito agli adattamenti, Netflix sfida l’impossibile. E ci riesce pienamente non solo tentando l’adattamento di un manga, cosa già di per se non facile, ma addirittura un’opera che (almeno in teoria) aveva tutte le carte per fallire in versione live action.
Da un lato perché One Piece di Eichiro Oda è uno dei manga/anime di maggior successo della storia di questo genere mediatico, e di conseguenza ha un grosso seguito di fan e sostenitori pronti ad incendiarsi per qualsiasi errore effettuato in sede di traduzione. Dall’altro perché è un un’opera che, nei suoi centinaia di capitoli, fonde nel suo immaginario gli stili più variegati, i poteri più assurdi ed un gigantesco worldbulding, con una spruzzata costante di ironia demenziale e retrogusto Camp. In poche parole, immaginare una storia simile con degli attori in carne ed ossa e delle scenografie dal vero poteva sembrare un vero e proprio azzardo da ogni possibile punto di vista.

Ma forse tentare l’impossibile e puntare ad un presunto assurdo sogno era un rischio necessario per spezzare la catena di adattamenti non riusciti (in primo luogo, il recente esperimento fallito di Cowboy Bebop, sempre ad opera di Netflix, così come la sequela di flop inanellati dalla Disney con la riproposizione dei suoi classici in live action), oltre ad essere lo spirito giusto per abbracciare le questioni proposte dall’autore originale.
Infatti la produzione ha consultato sin dalle prime mosse Eichiro Oda per potere garantire ai fan sicurezza e rispetto per lo spirito del manga originale. E tutto ciò è ben visibile sin dalla prima scena. Ovviamente la serie TV presenta diversi cambiamenti rispetto al manga originale, dovuti al fatto che non tutto quello che funziona su carta può funzionare allo stesso modo in live action. Ma ogni alterazione rispetto al lavoro di Oda è giustificata ed inserita in una coerente visione d’insieme, ben calibrata e ragionata.

Lo spirito camp che permea il manga di Oda è mantenuto, se non spinto oltre, dalla serie targata Netflix. Tra costumi dai colori sgargianti e scenografie “plasticose”, essa infatti riesce a a tradurre alla perfezione quella vibrazione giocosa e carnevalesca, costantemente velata da striature di grottesco, così tipica del fumetto in questione. Anzi, c’è da dire che una certa estetica apparentemente posticcia e “da cosplay” ben si amalgama allo spirito giocoso dell’opera, se non al suo tema portante, ovvero l’importanza di inseguire sempre i propri sogni a prescindere dalle difficoltà della vita.
Anche la regia, seppur con svariati scivoloni nei momenti più frenetici, inquadra i corpi ed i volti in modo distorto per aumentare l’assurdita del folle mondo in cui si muovono i protagonisti dell’opera, siano essi pirati dalle caratteristiche più svariate o assurdi ufficiali della Marina Mondiale. A questo la serie aggiunge una insolita profondità per i suoi personaggi, ovviamente avvantaggiata da riuscitissime scelte di casting.

Interessanti anche i cambiamenti apportati alla storia del manga originale ed alla sua timeline, che mostrano grande consapevolezza dei processi di adattamento transmediatico. La serie trova infatti nuovi modi di essere un pastiche dalle varie referenze, tirando a sé estetiche e generi cinematografici dai gusti più disparati.
Come dimostrano la vicenda del villain Kuro, che viene trasformata in una orrorifica cena con delitto, oppure il setting in cui viene presentato Bagy il Clown, che allude molto più del manga all’estetica circense e rimanda più o meno direttamente ai vari adattamenti del Joker della DC Comics.

Il rischio di flop era certamente alto, anzi altissimo. Ma questa volta Netflix ha dimostrato che il rischio può premiare la riuscita di un’opera, se bilanciato da un’adeguata consapevolezza non solo dei contenuti e delle estetiche proprie delle opere originali dalle quali gli adattamenti vengono tratti, ma soprattutto delle differenze tra linguaggi mediali.
Ed è davvero bello rimarcare come la dimostrazione che certi preconcetti sugli adattamenti in live action possano essere abbattuti sia venuta fuori proprio da un’opera, One Piece, che della forza dell’immaginazione e la distruzione di ogni limite e confine ha sempre fatto il suo punto di forza.

Frequento l’ultimo anno di DAMS a Palermo, dopo aver concluso un percorso all’accademia di cinema Griffith, a Roma.
Studio da tempo la cultura pop e le sue, svariate, manifestazioni. Su di queste ho organizzato pure 3 seminari all’Università di Palermo.
La mia rubrica approfondirà le dinamiche e i linguaggi dell’arte popolare, con particolare attenzione a come, oggi, questi vengano percepiti dai nuovi media e le nuove generazioni.