Appunti randagi nella Sicilia ragusana

“…sarebbe stato ugualmente bello per me crederci tutta l’estate. Poiché non è solo bella viverla, la vita. È bello quasi altrettanto fingere e mentirsi di viverla.”

(Gesualdo Bufalino, Argo il cieco)

La mia ispirazione.

Scappo da Roma, insopportabile in estate e, per certi versi, ora anche in altre stagioni. Dopo una breve tappa nella mia Calabria, anch’essa odiata-amata, mi dirigo oltre il mio limite a sud: la Sicilia oltre Catania, dove qualche anno fa ho partecipato ad un avventuroso tango-festival. Da dimenticare! (motivi strettamente personali).

Arrivo a Villa San Giovanni e penso che qui la necessità del “Ponte sullo Stretto” non si sente affatto. Mi sovviene una mia intervista di tanti anni fa al geologo Mario Tozzi (“il Quotidiano”, 4 giugno 2002). Nulla è cambiato da allora, quel ponte appare oggi più di ieri sempre più “Opera inutile e dannosa”.

La traversata è comoda e veloce, anche troppo veloce, si fa appena in tempo a divorare una classica “arancina” al bar a bordo della nave che già bisogna recuperare l’auto ed uscire dal traghetto. Solo 20 min. e via!

Traghetto Villa San Giovanni-Messina.

Autostrada Messina-Catania, poi quella Siracusa-Gela, uscita Rosolini e si arriva ad Ispica, dove ho scelto di soggiornare per una vacanza ragusana.

Perché Ispica:

• Nome esotico a casa nostra, mi fa pensare a qualcosa di ispido, pungente, come quelle spine fitte e fastidiose dei fichi d’India;

• Ho visto una foto del Loggiato del Sinatra ed ho immaginato un’opera imponente e sontuosa, che nella realtà scopro in scala ridotta e/o modesta, quasi sorta di modellino architettonico;

• In posizione strategica, in altopiano dominante, vista mare, punto di compasso che mi permette di disegnare un semicerchio da Scicli a Marzamemi;

• Trovo una residenza d’epoca con piscina che si rivelerà una delle scelte più azzeccate del viaggio: un buen retiro notturno dove portare cibo locale e vino rosso e ammollarsi nell’acqua riscaldata dai 46 gradi diurni; per la cronaca, Hotel Villa Belmonte (… non è pubblicità prezzolata, ma spontanea riconoscenza per un luogo di vero ristoro in un fine luglio veramente torrido);

La piscina di Villa Principe di Belmonte a Ispica.

• Perché poi in certe scelte di soggiorno un po’ di “back” non guasta mai.

Villa Principe di Belmonte a Ispica.
Interni di Villa Principe di Belmonte a Ispica.

Attraversando Ispica spuntano improvvisi ornamenti architettonici anti funzionali, se non si vuole riconoscere la mera funzione della bellezza, anche quando apparentemente effimera.

Sarà la ricerca di questa bellezza “effimera” una connotazione costante del mio girovagare randagio per il ragusano.

Ispica.

Secondo giorno, alla volta di Capo Passero (vedi galleria fotografica) e di Marzamemi passando per Pachino.

Isola di Capo Passero.

A Portopalo di Capo Passerò cercherò un belvedere senza mai trovarlo, il non agevole accesso al mare, quando non addirittura interdetto, sarà un’altra costante di questo breve viaggio. E così mi dirigo verso Marzamemi sperando in meglio.

Marzamemi è carina, ma attraversare la campagna a coltivazione intensiva dei pomodori di Pachino è un piuttosto angosciante.

Non si vede un’anima viva, la vegetazione, a parte appunto i pomodorini, è agonizzante, come se contassero solo i famosi “Pachino”. Così Marzamemi sembra un’isola felice, anche se troppo “turistica” (vedi galleria fotografica).

Marzamemi.

Non vorrei fare paragoni con la “mia” Calabria, perché non vorrei sembrare campanilista, ma…nel mio Tirreno cosentino il mare è sempre a portata di vista. Quando ti muovi in auto lungo la costa in cerca di dove fermarti per un bagno, da Cirella ad Amantea, il mare è sempre lì, ovunque invitante.

Prima di lasciare Marzamemi, evitando rigorosamente i carissimi ristoranti, una degustazione delle famose panelle e poi di un dolcissimo gelato mandorla-pistacchio.

Panelle a Marzamemi.

A proposito di mare ragusano, il terzo giorno lo dedichiamo alla ricerca delle famose dune di Santa Maria del Focallo a Marina d’Ispica. Sotto e sopra lungo la litoranea prima di capire dove poter parcheggiare. Finalmente uno sbocco al mare!

Ma la prima sorpresa è quella di un’acqua che rimane ad altezza delle ginocchia per decine di metri, tra alghe ed altri residui naturali. Le dune invece sono proprio belle e invitano ad un reportage fotografico (vedi galleria fotografica).

Le dune di Santa Maria del Focallo.

Nei giorni a seguire visita di Ragusa Ibla e Modica.

Modica.

Visite veloci che si limitano all’urbano-architettonico di superficie. Il caldo africano concede un’autonomia all’aperto di un paio di ore al massimo, poi è inevitabile rifugiarsi in un ristorante, dove prima ancora che il cibo, sempre gustoso, si va in cerca di acqua ghiacciata ed aria condizionata.

“Bastardo a Sud” a Ragusa Ibla.

A Modica si inverte l’ordine delle cose: si mangia e si beve prima, poi in giro per la città.

Chiedo ad una vigilessa dove pranzare, con il classico “dove possiamo mangiare pesce di qualità senza essere spennati?”. Mi indica di andare da Ignazio.

Ignazio è un nome per cui vale la pena fidarsi, il nome di battesimo di mio padre, quello che andava in giro a raggio corto con la sua “protesi a quattro ruote”, una fiammante (ossimoro) FIAT128 blu elettrico.

Da Ignazio a Modica.

Centinaia di meravigliose chiese a Modica, ma io ne voglio ricordare due:

• Il Duomo di San Pietro Apostolo, con la sua scenografica scalinata cinta dalle statue dei dodici Apostoli, che qui chiamano “Santoni” per enfatizzarne la primaria importanza;

Duomo di San Pietro Apostolo a Modica.

• Il Duomo di San Giorgio (v. in galleria f.), che mi è sembrato più bello della Chiesa di Trinità dei Monti a Roma e della sua famosissima scalinata; lo ricordo nelle immagini del film di Bebbe Cino del 2007, “Quell’Estate Felice“, tratto dal romanzo di Bufalino, Argo il cieco.

Duomo di San Giorgio a Modica.

Imperdibile tappa a Modica, dove si trova la più antica fabbrica di cioccolato presente in Sicilia (fondata addirittura nel 1880).

Io e Irène nell’Antica Dolceria Bonajuto a Modica.

Un discorso a parte merita Scicli. Sembra lì ad un tiro di schioppo da Ispica. Mi suggeriscono in hotel di prendere la superstrada 115 per Modica, opto invece per una diversa soluzione: scendere al mare verso Pozzallo, percorrere un po’ di litoranea verso Marina di Modica e poi risalire verso la cittadina barocca.

Non avevo fatto i conti con, nell’ordine:

• Il navigatore tende in Sicilia ad impazzire, sarà il caldo, saranno le innumerevoli stradine di campagna, sarà l’imponderabile;
• Fuori dai centri abitati non esiste praticamente segnaletica stradale;
• Non vedi un cane o altro essere vivente per km. e tutto intorno ti sembra arso e desolato allo stesso modo, senza punti di riferimento che non siano dei muretti a secco che separano una proprietà dall’altra;
• Le cittadine ragusane interne non le vedi a distanza, ma ci entri dentro all’ultimo minuto, come un “colpo di scena” teatrale; e la regola vale soprattutto per Scicli.

Quando avevo oramai perso ogni speranza, mi ritrovo in città, in basso, lato Chiesa di San Bartolomeo, senza averci capito nulla.

Scicli.

Insieme a Modica, Scicli è quanto di più bello ho visto in questa Sicilia estrema.

Il Palazzo Beneventano, cui si confluisce dalla via Mormino Penna, è l’apoteosi del barocco di questa assolata cittadina, un capolavoro assoluto, con quei balconcini panciuti e quei mascheroni grotteschi ad abbellire le facciate.

Palazzo Beneventano a Scicli.

Ma di Scicli mi colpisce pure il Canale di Gronda. A 46 gradi, camminare lungo il corso di un rivo secco sembra come percorrere una cittadina del Far West ed immaginare che da un momento all’altro qualcuno possa regolare i conti a colpi di pistola Colt o di fucile Winchester.

Canale di Gronda a Scicli.

Infine Noto, forse la più famosa delle città barocche di questo angolo di Sicilia. Bella, senza dubbio, ma non la preferisco alla sontuosa Modica ed alla conturbante Scicli.

Di Noto voglio ricordare una granita alla mandorla in un chiosco con vista sulla Cattedrale.

Noto barocca.

Considerazioni politiche finali a margine di questi appunti randagi nella Sicilia ragusana:

• In ragione delle stime di costo per il “Ponte sullo Stretto”, pari a circa 15 miliardi di euro;
• Data pure la carenza di strade interne, di adeguata segnaletica e di sistemi di sicurezza, in questa Sicilia in parte abbandonata a se stessa;
• Non sarebbe forse più opportuno investire quella montagna di danaro per ammodernare il sistema viario e ferroviario siciliano?

Domanda retorica, cui non seguirà adeguata risposta dalla nostra inadeguata, poco lungimirante, sperperona classe politica.

 

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