Attraverso lo specchio: populismo e televisione nell’Italia contemporanea

di Salvatore Giusto, traduzione di Dario De Leonardis

Questo articolo valuta il ruolo di mediazione politica svolto sia dalle televisioni nazionali che da quelle locali all’interno delle periferie sociali napoletane contemporanee.

Nel contesto dell’Italia populismo di inizio millennio, la gestione dei mezzi televisivi da parte di istituzioni politiche lecite o illecite (oltre che pubbliche o private) come lo Stato neoliberale e la Camorra ha di fatto sostituito il ruolo di mediazione fra centri e periferie storicamente svolto da elementi della società civile di stampo Gramsciano. In questo senso, la partecipazione diretta dei ceti subalterni alla produzione e alla circolazione di contenuti televisivi esplicitamente populisti è oggi fortemente promossa e, al contempo, informalmente monitorata da chiunque gestisca il potere politico nell’Italia contemporanea.

Il regime di produzione mediatica e di rappresentanza sociale che emerge da questi processi mediatici non ha innescato alcuna crisi dell’egemonia egemonia culturale esercitata dall’establishment neoliberale italiano sulle masse popolari. Esso ha invece favorito l’accrescimento del potere diretto espresso dallo Stato nei confronti dei cittadini, nonché la sua capacità di stimolare l’immaginario politico tanto delle classi popolari che degli operatori culturali al suo servizio. Ciononostante, le politiche televisive dell’Italia populista hanno anche dato vita a nuovi processi di mobilità sociale e a nuove forme di “società politica”, le quali riproducono “dal basso” le caratteristiche mediatiche del potere statale italiano attraverso una pletora di enti politici locali ed informali, compresi veri e propri “nemici pubblici” come la Camorra Napoletana.

Il curioso caso di Ernesto il sarto

Ho passato la maggior parte del 2015 a Napoli, dove conducevo una ricerca etnografica sul campo. In quel periodo vivevo alla Pignasecca: un quartiere popolare partenopeo che collega l’area turistica di via Toledo con i Quartieri Spagnoli, un altro rione popolare napoletano. Data la sua vocazione naturale di trait d’union fra zone abbienti e zone povere della città, la Pignasecca presentava al suo interno sia un mercato all’aperto che vendeva prodotti alimentari di base agli abitanti dei Quartieri Spagnoli che boutique artigianali storiche di fascia alta volte ad attirare l’attenzione dei turisti.

È proprio in questo luogo che mi è capitato di essere fermato per strada da Ernesto, il proprietario di una sartoria locale. Dato che Ernesto mi aveva visto più volte intervistare delle persone per strada nel contesto delle mie ricerche, egli aveva intuito che io fossi un giornalista televisivo. Il sarto voleva a tutti i costi attirare la mia attenzione per convincermi ad invitarlo in TV a parlare del “suo caso,” che egli descriveva come “una di quelle storie di cui parlano i programmi televisivi che si fanno oggi…sì, uno di quei format di infotainment tipo Le Iene, dove voi gente della televisione mescolate musica, bagatelle spassose, e storie di vita vera raccontate da uomini del popolo come me!”.

Ernesto mi ha quindi raccontato di essere stato coinvolto suo malgrado in una dura disputa tra i negozianti della Pignasecca ed alcuni Camorristi del suo quartiere. In base al racconto del sarto, il Comune di Napoli aveva recentemente autorizzato il traffico automobilistico lungo il vicolo dove si trovava il suo negozio allo scopo di di promuovere il commercio dei negozianti rispetto a quello dei venditori ambulanti.

I proprietari dei negozi della Pignasecca come Ernesto avevano infatti richiesto più volte al comune di aprire il traffico del loro quartiere alle macchine, rendendo dunque più facile l’accesso al quartiere ai turisti che provenivano da fuori città. I venditori ambulanti della Pignasecca, tuttavia, erano pesantemente disturbati dalla presenza ingombrante delle automobili negli stretti vicoli dove essi lavoravano ogni giorno. Inoltre, la loro clientela (perlopiù composta da persone locali e poco abbienti) non aveva certo bisogno di un’automobile per fare la spesa ogni giorno. Questo attrito tra i proprietari dei negozi ed i venditori ambulanti era ulteriormente complicato dal fatto che la maggior parte dei venditori ambulanti era composta da commercianti non autorizzati. A differenza dei proprietari dei negozi, molti di essi non pagavano neppure le tasse. I loro interessi erano di fatto sostenuti dalla Camorra, alla quale pagavano un pizzo mensile per via di un mix inestricabile di necessità economica e coercizione violenta.

Nella stessa notte in cui nuove regolamentazioni relative al passo carrabile nel vicolo in cui si trovava il negozio di Ernesto vennero promulgate, alcuni Camorristi piazzarono delle grosse fioriere ai due estremi della strada in questione allo scopo di impedire fattualmente il passaggio delle macchine.

Alcuni proprietari di negozi (tra cui lo stesso Ernesto) si diedero subito da fare per spostare le fioriere. Vennero interrotti dai Camorristi, i quali si misero ad insultare e picchiare i negozianti di fronte ai loro stessi clienti. Ernesto mi raccontò di non essersi mai sentito così umiliato e impotente in vita sua. Ciononostante, il sarto era fermamente convinto che denunciare questo attacco alla polizia sarebbe stata una monumentale perdita di tempo. Secondo lui, la polizia era troppo spaventata dalla Camorra per sfidarla. Solo la pubblica opinione di un’audience televisiva indignata avrebbe potuto convincere le autorità pubbliche ad intervenire prontamente nel suo vicolo, costringendo la Camorra a mantenere un basso profilo nella zona.

Dopo averlo ascoltato, ho subito informato Ernesto che non lavoravo in televisione che quindi mi veniva difficile aiutarlo. Ciononostante, il sarto si rifiutava ostinatamente di credermi. Ernesto è persino arrivato ad offrirmi una mazzetta “sottobanco” se l’avessi messo in contatto con “chiunque fosse stato a capo” dei casting del mio show televisivo. Dopo venti minuti di contrattazione, sono finalmente riuscito a convincere il sarto del fatto che di mestiere facessi l’antropologo. A quel punto, non mi è rimasto che suggerirgli di inviare una richiesta d’invito formale ad network televisivo attraverso i canali ufficiali. Ernesto ha subito assunto un’espressione frustrata e mi ha risposto: “Mica so’ fesso! I canali ufficiali per essere invitato in TV li ho già provati tutti…ne fosse funzionato almeno uno! La verità è che la televisione italiana è gestita dai politici e dai loro sponsor, i quali decidono chi va in onda e chi no in base al loro sfizio personale. Se non fai parte di quell’élite mediatica, puoi solo coltivare amicizie e scambiare favori con loro. Se ti trovano degno di attenzione, magari puoi anche avere una chance di andare in TV.”

In breve, Ernesto era convinto che un “uomo del popolo”, come lui stesso si auto-definiva, potesse ottenere condizioni di vita migliori (ed addirittura sfidare con successo un potente cartello criminale come la Camorra!) solo attraverso il patrocinio informale dell’élite che gestiva di fatto i media nazionali, i quali a loro volta detenevano il potere effettivo di rendere pubblici e prioritari i suoi problemi di onesto cittadino.

Questo articolo ha lo scopo di esaminare le ragioni per le quali la televisione italiana venga oggi interpretata dai suoi stessi spettatori come un fondamentale mezzo di azione politica e di mobilità personale. Allo stesso tempo, esso si pone anche l’obiettivo di valutare come questa dinamica mediatica possa essere messa in relazione con le modalità di espressione esplicitamente populiste che hanno caratterizzato le istituzioni pubbliche italiane dagli anni Novanta ad oggi. Nelle prossime pagine, cercherò quindi di mostrare come gli odierni meccanismi di governance televisiva contribuiscano a (ri)produrre la relazione socio-politica fra centri e periferie nell’Italia contemporanea, insieme alla capacità dei cittadini italiani di agire politicamente nei confronti sia del potere dello Stato che della criminalità organizzata.

Come sostenevo qualche riga fa, questa “mediatizzazione” della politica italiana ha a sua volta favorito una rinegoziazione complessiva degli equilibri storici stabilitisi tra società civile, periferie subalterne, crimine organizzato e potere statale dal dopoguerra e per tutto il corso della cosiddetta “Prima Repubblica.” A partire dagli anni Novanta, in breve, la televisione italiana ha progressivamente sostituito il ruolo storico di mediazione socio-politica tradizionalmente svolto dalla società civile con forme di azione politica tramite le quali i soggetti subalterni possono partecipare attivamente alla produzione e alla circolazione di produzioni culturali populiste, legittimando al contempo dinamiche di clientelismo asimmetrico e di mobilità informale. Lungi dal ritenere acriticamente che questi fenomeni mediatici avvengano solamente in Italia (o, peggio ancora, solamente nelle periferie napoletane!), inoltre, sostengo che le attuale politiche televisive nostrane possano essere pienamente interpretate come un riflesso locale della crescente circolazione di discorsi populisti all’interno di contesti globali di governamentalità neoliberale […]

Continua nell’articolo completo (in inglese) qui.

Pubblicato su “2020, PoLAR: Political and Legal Anthropology Review”

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