“Così vanno le cose”: la Mongolia fra presente e passato

La Mongolia è la grande nazione dell’Asia centrale che confina a nord con la Russia e a sud con la Cina. Una terra immensa, senza barriere, senza termini o tracciati. E’ la terra di Genghis Khan, il feroce guerriero che si autodefiniva “la punizione di Dio”, tutt’ora acclamato come un prode campione. A lui sono intitolati l’aeroporto, il museo nazionale del Paese, la piazza più importante della capitale, Ulaanbaatar.

Le più significative manifestazioni della nazione vengono invariabilmente dedicate a Genghis Khan, il creatore del più importante impero del mondo, una specie di semidio, combattente che non scendeva mai da cavallo, di cui si è sempre ignorato il luogo di sepoltura.

La mappa mostra l’estensione dell’impero mongolo nel 1200 ai tempi di Genghis Khan: dalla Corea a Costantinopoli; estremamente più vasto dell’Impero Romano. Photo credit: World History Encyclopedia.

Nel XVII secolo la Mongolia cadde sotto la dinastia Manciù Qing, ma i cinesi non riuscirono mai a sottomettere i guerrieri mongoli e la loro fierezza. Questa orgogliosa indipendenza, insita nel DNA culturale della millenaria popolazione, è forse correlata alla tipologia e alla struttura del territorio: enorme, disabitato e bellissimo, caratterizzato da una forte percentuale di abitanti mai stanziali, sempre alla ricerca di nuovi luoghi ove andare e far pascolare il bestiame.

E questo movimento continuo, è, sì, giustificato dalla necessità di far sopravvivere gli animali, ma anche da una ricerca incessante dei luoghi in cui gli avi hanno vissuto e sono stati seppelliti. E allora si parte, quando la luna o le prime fioriture all’alba indicano che è arrivata l’ora.

Un gruppo di pastori in Mongolia. Photo credit: Silk Road Mongolia.

Dopo il crollo della dinastia Qing la Mongolia si dichiarò indipendente, ma nel 1924 fu nuovamente assoggettata a un paese straniero, la Russia. Proprio nel 1924 fu instaurata la Repubblica Popolare Mongola, di stampo sovietico, durante la quale il governo comunista tentò di ricondurre i nomadi a una vita stanziale, coartandoli in piccoli appartamenti in anonimi palazzoni grigi, costruiti nella capitale.

Con il periodo Staliniano le costrizioni si intensificarono, accompagnate, nel contempo, dalla persecuzione dei religiosi buddisti. La splendida catena montuosa del Khogno Khan, nell’omonimo parco al centro del Paese, ricorda, appunto, tali eccidi: il significato letterale del suo nome è “testa contro testa”, la posizione in cui da sempre vengono poste le capre per la mungitura. Così, tutti in fila, vennero messi i monaci prima di essere decapitati.

Photo credit: Marina Binda.

Eppure nessun governo di regime è mai risuscito a piegare completamente la popolazione Mongola: un popolo fiero e indipendente, tenacissimo. Non molti nomadi, in percentuale, accettarono la costrizione in città. La mappatura e la segregazione delle popolazioni che volle la Russia fu difficile e scivolosa, considerata la continua migrazione e le caratteristiche dell’immenso territorio, assolutamente privo di strade tracciate, anche oggi.

Un territorio in cui a nord le montagne di granito si alternano ai fiumi e alle estese foreste. Un territorio in cui a sud convivono gli ondulati prati di ghiotta erba insieme alle alte dune desertiche. Ove il vento, a contatto con la sabbia, crea melodie incantatrici. Da questi suoni, si dice, sono nati gli antichi canti dei nomadi del deserto (i khoomii) che pacificano i nostri poveri cuori inquieti.

Photo credit: Marina Binda.

Ancora a sud si estende il grande deserto, ai piedi della bruna catena degli Altai, ove sopravvivono rari progenitori di tutti gli artiodattili: i selvaggi cammelli bactriani, un tempo popolosi nell’Asia centrale, oggi presenti nel Gobi in sparuti esemplari, come incerti eroi di Arrakis in esilio dal mondo.

Photo credit: Marina Binda.

Un territorio in cui già dalle porte della capitale si estende la piana e arida steppa. Terra di nessuno, terra senza confini. Landa sterminata e piatta ove nulla sembra mai cambiare, salvo, d’estate, quei fallaci specchi di lago, prodotti dai nostri sguardi incerti.

Photo credit: Marina Binda.

D’inverno, la steppa è spazzata da un furioso vento incessante ed è devastata dallo Dzud, il gelo estremo che arriva sino a meno 30 gradi e che copre la terra con una impietosa e compatta coltre glaciale. Lo Dzud, terrore atavico di tutti i nomadi, rende impossibile il nutrimento per il bestiame, essenziale per la sussistenza della maggior parte della popolazione.

In questi casi, i pastori non possono che seguire disperatamente, anche per giorni, i loro amati animali erranti, assistendo impotenti alla loro morte uno ad uno, per i patimenti della fame e del freddo. “La notte gela, neroarata, ai margini della steppa fra guizzi di perline[1]. Tra gennaio e marzo del 2024, il più rigido inverno di sempre, sono morti 4,7 milioni di animali. Un vero strazio.

Una seduta del Grand Khural di Stato, il Parlamento mongolo. Photo credit: Wikipedia.

Dopo il collasso dell’URSS, nel 1992 si svolsero le prime elezioni: vinse il Partito Comunista. La gente della steppa e del deserto preferì il comunismo, oppure, semplicemente, non si fidò del nuovo. Dal 1996, poi, la Mongolia scelse un parlamento a maggioranza democratica e il comunismo fu superato.

Eppure, anche nelle recenti elezioni svoltesi a giugno 2024 ha vinto ancora il Partito Popolare Mongolo (PPM), di vocazione Comunista. Fino al 1990 si chiamava Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo e dal 1924 aveva governato il paese in maniera autoritaria, come un regime influenzato dall’Unione Sovietica. In seguito, il PPM ha trascorso un periodo all’opposizione, per tornere infine al governo grazie a varie vittorie elettorali, compresa l’ultima, del mese di luglio.

Il Primo Ministro mongolo Oyun-Erdene Luvsannamsrai. Photo credit: Mongolia Weekly.

Il secondo partito più votato, nelle recenti elezioni, è stato il Partito Democratico Mongolo (PDM), che aveva governato il paese tra il 2009 e il 2017 e che ha visto un esponenziale aumento delle preferenze. Il PPM ha infatti vinto con un margine molto inferiore alle attese. Il suo leader, Oyun-Erdene Luvsannamsrai, ha comunicato che il partito ha preso il 54 per cento dei voti, ottenendo 68 seggi[2]. Il calo dei consensi è probabilmente un diretto effetto di scandali legati allo sfruttamento delle risorse minerarie e alla corruzione.

Ed è stato proprio il portavoce del neoeletto governo mongolo che ha chiarito le ragioni della visita di Valdimir Putin nel Paese, accolto con tutti gli onori dal Presidente Ukhnaagiin Khurelsukh. In dispetto del mandato di arresto europeo della Corte Penale Internazionale (CPI). “Il 95% dei prodotti petroliferi e il 20% dell’elettricità dipendono dai nostri vicini. Questa fornitura è fondamentale per garantire la nostra esistenza e quella del nostro popolo”, ha dichiarato.

Ma, in realtà, gran parte del popolo mongolo, abituato a lottare per sopravvivere nella steppa, appare lontano e indifferente al petrolio, agli elettrodotti e, soprattutto, alle dinamiche del potere. Si vive nell’essenziale, con meno di un euro al giorno: eppure nessuno muore di fame. Quand’anche la Mongolia rimanesse senza petrolio, il popolo della steppa sopraviverebbe ugualmente. Ci si riscalda con la legna.

Il recente summit fra Valdimir Putin ed il Presidente della Repubblica di Mongolia Ukhnaagiin Khurelsukh. Photo credit: The Economic Times.

Oggi i politici indossano completi in tinta con le cravatte e utilizzano auto con programmi software, ma i mongoli hanno volti e atteggiamenti antichi: vestono con il deel, l’abito tradizionale i cui primi esemplari risalgono al neolitico, e si muovono a cavallo.

Nei grattacieli e nei palazzoni della capitale, Ulaanbaatar, vivono circa un milione e 400 mila abitanti, quasi la metà dell’intera popolazione mongola. I restanti due milioni sono sparsi in un territorio di oltre un milione e mezzo di chilometri quadrati. Ciò rende la Mongolia il paese a più bassa densità abitativa del mondo.

Photo credit: Marina Binda.

Ma i nomadi, proprio in virtù dello stile di vita fondato sull’accudimento delle greggi e sulla libera transumanza, non amano i palazzi. Vivono in una particolare abitazione cilindrica, dalle origini antichissime: la gher. E’ una struttura rotonda, temporanea e facilmente smontabile, composta da un unico ambiente, ove vive tutta la famiglia. Al centro del cerchio campeggia una stufa a legna, il cui fumo fuoriesce, tramite un tubo, da una finestra rotonda ubicata sul soffitto. Un perenne collegamento tra terra e cielo.

Il termine “nomade” deriva dal greco “νομάς”, che significa pastore. Eppure nelle vaste steppe mongole non sono mai state costruite stalle. Il rapporto con gli animali è molto stretto: qui vi è la concentrazione di animali di allevamento più elevata del pianeta. Tutti sanno cavalcare: “Il mongolo nasce nella gher e muore a cavallo[3]. Pur in perenne precarietà, si continua costantemente a lottare, giorno dopo giorno, per sempre.

Nel territorio di Umnuobi, ragazzini di ritorno da una prova di corsa a cavallo, in vista del Naadam. Photo credit: Marina Binda.

I figli dei nomadi che vivono nelle gher disseminate tra steppe, pianure e altipiani imparano a cavalcare in tenera età ed a partecipare alle gare di corsa a soli nove anni, pronti a competere. Non sono rari gli incidenti di bambini, nelle competizioni. Può sembrare una tradizione disumana, ma i nomadi ritengono che in questo modo l’animo del futuro uomo venga temprato, fin dalla più tenera età. “Così vanno le cose, così devono andare[4].

Del resto, per il popolo mongolo, l’uomo si avvilisce quando non guarda in faccia la morte: la vita è l’evento, o meglio, l’avventura. Ciò spiega il disprezzo per i sedentari e l’attaccamento ancestrale al proprio nomadismo. L’orgoglio di un’esistenza vissuta sotto il grande cielo, la divinità sacra, in cui tutti credono.

Photo credit: Marina Binda.

La Mongolia è un luogo che costringe a guardare in alto, e non i tuoi piedi.

Nel guardare il grande cielo, finalmente guardi il tuo cuore, intuendo e accettando, come a tentoni, l’ineluttabilità del tuo destino. E con questo animo fortificato, ritorni indietro, nella civiltà occidentale.

Note
[1] Osip Mandel’štam, Poesie scelte, Ottanta Poesie, 1934.
[2] il parlamento mongolo ha 126 seggi e la maggioranza è di 64.
[3] Antico proverbio mongolo.
[4] Brano “I fuochi della notte”, ispirato alla Mongolia, del gruppo italiano C.S.I.

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