La Georgia è un piccolo paese del Caucaso collocato in quella parte di territorio euroasiatico che divide il Mar Nero dal Mar Caspio, oggi al centro di profondi conflitti sociali (nonchè dell’attenzione dei media nostrani) a causa degli interessi russi in quell’area. La Georgia aderì controvoglia alla Comunità degli Stati Indipendenti succeduti alla dissoluzione della Unione Sovietica nel 1989, per poi uscirne nel 2009, dopo l’invasione da parte dei Russi dei territori georgiani dell’Ossezia meridionale e della Abcazia. Da allora il paese ha vissuto un equilibrio precario, stretta fra l’egemonia di Mosca ed una forte volontà popolare di avvicinarsi al mondo occidentale.
Una realtà complessa, quella georgiana, che però oggi proveremo a raccontare attraverso lenti diverse da quelle usuali, partendo dalla percezione di immagini che, quantomeno a livello simbolico, caratterizzano fortemente la storia e la cultura di questo paese. La Georgia infatti è un paese ricco di draghi e di vini. Ed è proprio a partire da questi due elementi del folklore locale che cercheremo di comprendere meglio il suo spirito.
Dunque dicevamo, i draghi (1).
La maggior parte degli studiosi ritiene che il nome stesso “Georgia” derivi da San Giorgio, protettore del Paese, la cui croce rossa su campo bianco campeggia ancora oggi sulla bandiera nazionale.
Altri ritengono invece che derivi dalla radice greca “georg”, che rimanderebbe al campo semantico dell’agricoltura. Ma questa è una origine che non mi convince, non tanto perché io sia un esperto di etimologia, ma perché è più suggestivo immaginare Santi guerrieri protettori delle genti, che non territori votati alla semina e al raccolto.
E San Giorgio, ovvero il Santo in questione, notoriamente non aveva una grande empatia con i draghi, i quali tendevano a terminavare la loro fantastica vita ai suoi piedi, miseramente trafitti da una lancia.
I vini (1).
Stando ai più recenti studi nell’ambito dell’archeologia enologica, in Georgia sono state scoperte le più antiche cantine sulla faccia della terra.
Un team di scienziati ha infatti scoperto in Georgia, soprattutto nel territorio di Kakheti, prove archeologiche del fatto che la domesticazione dell’uva selvatica ed il processo di vinificazione erano già pratiche diffuse in quelle terre a partire da almeno 6.000 anni fa.
I draghi (2)
Tbilisi, la capitale della Georgia, e’ adagiata in una deliziosa conca situata tra le montagne del Caucaso. Questa conca è attraversata dal fiume Mtkvari, sulle cui sponde scorre la (più o meno) tranquilla vita cittadina. Una città ben conservata, soprattutto il centro storico, che testimonia un passato architettonicamente vivace, influenzato dalla cultura ottomana, curda ed ebraica.
Tblisi però galleggia letteralmente sullo zolfo. Le tante fonti sulfuree sono state incanalate in bagni termali che sorgono un po’ ovunque nella città. Nel tempo, tanti meravigliosi scrittori russi, spesso di cagionevole salute, hanno approfittato del clima e dell’ospitalità georgiana per curare i loro malanni, mentre arricchivano con la loro sapienza lo spirito dei contemporanei e dei posteri. È quindi lecito supporre, o almeno così ci piace pensare, che tra le viscere sulfuree della città vivano dei draghi dormienti, pronti a scaldare le acque della città con il loro respiro infuocato.
I vini (2)
La cristianità georgiana, ortodossa ed antichissima, deve molto all’apostola Nina (o Nino, a seconda delle fonti storiche). Nel IV secolo d.c., la Santa donna, per convertire al cristianesimo il re d’Iberia, una regione del Caucaso da non confondere con la Spagna, usò una croce fatta con tralci di vite.
Ancora oggi questa croce è ufficialmente simbolo della Chiesa Ortodossa Georgiana.
I draghi (3)
Josiph Vissianorovic Dzugasvili, detto Stalin, uomo d’acciaio e padre e padrone del dopoguerra sovietico, era georgiano, anche se i georgiani tendono spesso a dimenticarlo. Tutt’al più oggi il nome di Stalin è utile a vendere qualche escursione verso Gori, la sua città natale, che comunque non ha altre particolari attrattive.
Negli anni Cinquanta, però, il cosiddetto Piccolo Padre ha “amorevolmente” sovietizzato la sua patria e non risulta l’abbia trattata meglio delle altre repubbliche sovietiche da egli amministrate. E’ persino inutile spiegare perché il nome di Stalin evochi quello di mostri sanguinari come i draghi.
I vini (3)
Passeggiando per le città georgiane, non appena alzi gli occhi, non puoi fare a meno di notare tralicci di vite che corrono da una casa all’altra.
Un bell’esempio di legami architettonici.
I draghi (4)
Durante le funzioni ecclesiali ortodosse, vuoi per i potenti amplificatori posti all’esterno della chiesa, vuoi per la voce baritonale del Pope officiante, ti sembra sembra di udire il ruggito di un drago.
I vini (4)
Proprio per l’importanza che ha il vino in Georgia, tutti i ristoranti locali di un certo livello, e ce ne sono tanti, si sono dotati di sommelier competenti e soprattutto loquaci. Anche troppo.
Uno va per bere un bicchiere e si trova sommerso da informazioni più o meno utili sulla vinificazione biodinamica in orci di terracotta con metodo di filtraggio a secco. Inquieta la compostezza con cui ti spiegano la cosa, che poi ti metti quasi paura a berlo quel vino.
I draghi (5)
Lavrentij Pavlovic Berija, ovvero l’anima nera dello stalinismo, come lo definì Svetlana, la figlia di Josiph Stalin. Anche lui georgiano dell’Abcazia, fu Commissario del Popolo e Ministro degli Interni a Mosca, oltre che capo della polizia segreta e probabilmente anche spia dei britannici.
Forse finì strangolato, forse con una pallottola in testa, alla fine di una di quelle misteriose riunioni che si tenevano nelle segrete stanze del Cremlino. Comunque non ebbe un processo e tirò le cuoia poco dopo la morte del suo mentore e conterraneo Stalin. Fu in seguito largamente dimenticato ed esposto al pubblico ludibrio da Krushev, che da buon contadino ucraino dei draghi georgiani non sapeva che farsene.
I vini (5)
E le donne. E’ difficile negare il connubio. Per le strade di Tblisi, le vedi spesso deliziosamente ebbre davanti ad un bicchiere di vino ed indossano sorrisi maliziosi.
Hanno occhi neri e profondi ed è difficile trovarle astemie. Per fortuna.
Avvocato e giornalista, coltivo un’antica passione per l’America Latina e l’Europa Orientale. Ma resto comunque convinto che non esista un paese che non valga la pena di essere visitato. E mi sono regolato di conseguenza. Siccome arriva sempre il momento in cui ti rendi conto di sapere meno di quanto pensi, mi sono rimesso a studiare e quelle quattro cose che so ho deciso di spacciarle su Deep Hinterland. Senza pretese che esse siano risolutive dei dubbi di chi legge, anche perché penso che ognuno farebbe bene a tenersi stretti tutti i suoi affanni. Alla fine, sono convinto, tornano sempre utili.