Il pugilato di Vincenzo Lizzi: riflessioni attuali sulla sconfitta e la rinascita

Conosco Vincenzo Lizzi da quando era un ragazzino paffutello e gioviale: un muro di cinta separa le nostre case in Calabria. Negli ultimi anni ho seguito la cronaca dei suoi incontri di boxe. Di recente Vincenzo ha vissuto infatti imprese sportive intense ed emozionanti. Prima ha conosciuto un bruciante verdetto, perdendo ai punti nella finale degli Assoluti Italiani di categoria medio-massimi del 2020. Finale che, fra l’altro, si è svolta ad Avellino nel 2021 per via del Covid-19 e dei lockdown. Poi, questo settembre, si è rifatto alla grande ottenendo la medaglia di bronzo ai Campionati Mondiali Militari di Mosca del 2021. Da qui nasce l’idea di un’intervista per DEEP HINTERLAND, una riflessione sul tema della sconfitta e della rinascita con un pugile in carriera di altissimo livello.

Quando hai cominciato a praticare questo sport? E perché?
C’è da dire che in Italia non puoi combattere se non hai prima compiuto i 13 anni, ma da quando ne avevo 10 ho iniziato ad allenarmi con quell’idea; tutto è risultato naturale condividendo una passione di famiglia, soprattutto di nonno e zio materni.

Vincenzo Lizzi con la medaglia di bronzo conquistata alle Olimpiadi Giovanili del 2014 in Cina. Foto di Augusto Bizzi.

Prova a dirmi in breve alcuni dei risultati più significativi che hai conseguito nella tua carriera. Poi però spostiamo l’attenzione sugli aspetti più ampiamente esistenziali, sulla dimensione umana del tuo pugilato.
Mi piace ricordare un bronzo alle Olimpiadi giovanili di Nanchino, in Cina, del 2014, un oro ai campionati europei di Zagabria sempre nel 2014, cinque titoli italiani di categoria a partire dall’anno 2009 fino al 2019, passando dai pesi supermosca ai pesi medio-massimi con 81 kg. Tralascio innumerevoli altri titoli per non annoiare i non addetti ai lavori che leggeranno questa intervista. E siccome mi dicevi che sei interessato piuttosto alla dimensione umana del mio pugilato, aggiungo che in questo mondo sei costretto a maturare prima, devi quasi rinunciare ad un’adolescenza “normale”; parlo di allenamenti durissimi, diete rigide e frustranti. Mi vengono in mente i pranzi di matrimonio, i compleanni e le altre festività che in Calabria diventano pretesto per grandi abbuffate, ed io che dovevo quasi solo guardare gli altri. Posso dire che ciò è servito a fortificare il mio carattere, a farmi sentire un uomo adulto prima del tempo.

Mi dicevi però del sostegno della tua famiglia.
Non posso negare che il fatto di essere stato allenato in famiglia mi abbia molto aiutato. Accennavo ad uno zio – zio Ercole – che poi è stato in questi anni il mio principale “maestro”, come si dice nel nostro ambiente, una sorta di motivatore, di guida spirituale. Se dovessi però sottolineare un tratto umano del pugile, certamente direi la solitudine nel momento cruciale del combattimento. Ma di ciò preciserò più compiutamente quando parleremo della “sconfitta”, che mi sembra di capire sarà il cuore dell’intervista. 

Vincenzo Lizzi e il suo allenatore Ercole Morello. Foto di Renata Romagnoli.

Si, certo. Ma prima ti voglio chiedere altro ancora. Cosa rappresenta per te il mare? Tu che vivi in una marina di un piccolo comune del Tirreno cosentino, in Calabria.
Considerando che appartengo ad una famiglia di pescatori, poi convertiti al mondo delle professioni libere, come faccio a prescindere dal mare? Il mare innanzitutto come lavoro, come fonte di sostentamento. Ma il mare è spesso anche terapeutico, ciò che ti permette di far sbollire le tensioni, le amarezze, le delusioni per certe sconfitte. Per me Fuscaldo è la “Marina”, e di questa il luogo più caro è la “piazzetta”, quella che si affaccia sul mare. Quella piazzetta dove ho vissuto tante delle mie esperienze giovanili. Ma la ricordo pure come il ring di un match interregionale Calabria-Abruzzo. La piazzetta della Marina è un po’ quello che in città è il “muretto”, il luogo dove si riuniscono i giovani del quartiere.

Marina di Fuscaldo (CS). Foto di Massimo Maselli

Parlando della “sconfitta”, tema centrale di questa intervista, e al di là di un match perso: qual è il valore/disvalore della sconfitta per te?
In effetti potrei ricordare quell’ultima sconfitta che ancora mi tormenta, per un evidente torto arbitrale. Parlo di assoluti di categoria medio-massimi, un argento che mi sta alquanto stretto, ma forse è meglio sorvolare. Vorrei piuttosto parlarti di un altro tipo di “sconfitta”, di tutte quelle volte che, e sono tante, mi sono dovuto fermare per un infortunio. Uno pensa alla fisicità di un boxer, ma non immagina la delicatezza, talvolta fragilità, delle strutture tendinee e legamentose. Uno pensa alle ossa, ai muscoli, e dimentica questo importante connettore, nel mio caso poi, presumibilmente per via della celiachia, questa lassità legamentosa risulta particolarmente marcata. Vorrei dire di quella condizione psicologica conseguente ad un infortunio in cui pensi: “è finita!”. Uno stato d’animo che rasenta la depressione, lo sconforto più grande, il non vedere una via d’uscita. Certamente conta il sostegno dei tuoi, ma se poi non trovi in te stesso la forza d’animo di ricominciare non ce la puoi fare. Ora, che si tratti di un match perso o di un grave infortunio, vorrei sottolineare l’importanza pedagogica della sconfitta: per non ripetere gli stessi errori, non solo tecnico-tattici, per una più attenta prevenzione degli infortuni, ma anche per evitare che ”appendere i guantoni al chiodo” significhi smarrimento esistenziale, la fine di tutto. Si potrà sempre rinascere come uomo, reinventarsi come sportivo. Ma la sconfitta può anche essere un disvalore, quando “distruttiva” di ogni speranza, un blocco che ti impedisce di andare avanti per come vorresti. E forse dovresti.

Il Pugilatore a riposo, Palazzo Massimo, Roma. Foto di Massimo Maselli, su concessione del Ministero della Cultura – Museo Nazionale Romano.

Cosa vuoi infine aggiungere per i lettori di DEEP HINTERLAND? Un magazine che vuole dare voce appunto al poco o affatto raccontato, perché lontano dalla logica informativa del vivere metropolitano, dai clamori delle capitali, dei Paesi dominanti. Raccontaci la tua idea di “provincia profonda”. 
Non ho mai considerato il vivere in “provincia” come un limite, piuttosto come un grande privilegio. La provincia ti dà la possibilità di vivere a ritmi ridotti, di ottimizzare il tempo. Penso con ansia a tutte quelle volte che per ragioni professionali ho dovuto trascorrere periodi in grandi città metropolitane, penso alla mia esperienza romana. Abitavo al Quartiere Tuscolano: l’incubo la sera di girare a vuoto per trovare un parcheggio, la confusione ovunque ed a qualsiasi ora, anche una certa apprensione per una criminalità diffusa che avverti soprattutto nell’ambiente pugilistico.

E delle tue esperienze all’estero?
Potrei aggiungere che il pugilato è stato per me anche una grande opportunità di scoprire il mondo. Non solo le grandi città, ma anche quelle tante “province” meravigliose e sperdute. Penso ad esempio a quella trasferta nel nord della Moldavia, ai confini con l’Ucraina, a quei paesaggi rurali che mi hanno lasciato fantasticare su come poteva essere la Calabria del secondo dopoguerra. Ma penso anche alla Cina, penso a Wuhan, sorprendente nella sua immensità urbana, uno sguardo sul futuro. Come infine non ricordare il Kazakistan, la capitale Nur-Sultan, che ho conosciuto come Astana. Come non ricordare quei neonati kazaki sballottati in giro con le slitte a meno venti gradi, le città costruite col ghiaccio e quella cultura sportiva che in Italia possiamo solo sognare. Ricordo che lì le scuole impongono la scelta di uno sport da praticare già a partire dai sei anni, uno sport che viene svolto giornalmente al termine delle lezioni.

Ringrazio Vincenzo per la stimolante riflessione sul tema della sconfitta e della rinascita e gli auguro di poter coronare presto la sua già brillante carriera pugilistica con un oro mondiale.

Copertina: Vincenzo Lizzi, fotografato da Fabio Bozzani
Photogallery: “Pugilatore a riposo”, Palazzo Massimo, Roma. Fotografie di Massimo Maselli su concessione del Ministero della Cultura – Museo Nazionale Romano.

 

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