La “PayPal Mafia”: l’oro della Silicon Valley e l’oligarchia occidentale

C’era una volta un gruppo di giovani nerd che, dopo aver fatto fortuna con PayPal, decisero di spartirsi il mondo. Non è l’inizio di una favola, ma la storia della cosiddetta “PayPal Mafia“, un manipolo di ex dipendenti e fondatori del gruppo PayPal che hanno plasmato la Silicon Valley e, forse, molto di più. Nomi come Peter Thiel, Elon Musk, Reid Hoffman e David Sacks sono diventati icone, legati a successi stellari come LinkedIn, Palantir Technologies, SpaceX, YouTube e Yelp. Miliardari, visionari, innovatori, chiacchieroni. Ma l’etichetta “mafia”, nata per gioco proprio all’interno di questa combriccola di tecnocrati, oggi suona per quel che è.

Sotto la patina dorata dell’innovazione, infatti, emergono accuse pesanti: legami con l’ideologia neonazista e l’eredità infame dell’apartheid sudafricana. Un potere immenso, economico e tecnologico, che sembra flirtare pericolosamente con visioni del mondo radicali, antidemocratiche ed estremiste. Questa non è più solo una storia di startup, ma un’indagine sulle connessioni tra ricchezza smisurata, potere tecnologico e una possibile deriva verso l’oscurità politica.

Elon Musk e Peter Thiel. Photo credit: Fox Business.

Esploreremo come l’immenso capitale accumulato da questi avventurieri della new economy si sia tradotto in influenza politica, controllo dei media (pensiamo all’acquisizione di X (ex Twitter) da parte di Musk) e sostegno a progetti che minacciano le fondamenta stesse della giustizia sociale.

È l’ethos “muoviti velocemente e rompi le cose” della Silicon Valley che, applicato alla politica, sta mostrando il suo lato più oscuro? È sempre stato una stronzata di grand propaganda come ci ha già suggerito Rian Johnson con Glass Onion? Oppure siamo di fronte a qualcosa di più profondo, radicato nelle storie personali e nelle origini di questi “padrini” della tecnologia?

Figure chiave e le loro svolte ideologiche

Non tutti i membri della “PayPal mafia” marciano al passo dell’oca, sia chiaro. Reid Hoffman, cofondatore di LinkedIn, si distingue per il suo costante sostegno al Partito Democratico. Ma le traiettorie di altri membri di spicco sono, a dir poco, inquietanti.

Anche meno, Peter. Grazie. Photo credit: Damon Linker.

Peter Thiel: il “don” antidemocratico

Considerato la mente del gruppo, Peter Thiel ha percorso una lunga strada dal suo autodefinito “libertarismo conservatore”. Già negli anni ’90, con “The Diversity Myth” (scritto con David Sacks), attaccava multiculturalismo e politicamente corretto. Ma è nel 2009 che getta la maschera, affermando di “non credere più che libertà e democrazia siano compatibili”. Un’idea che ha fatto la gioia di pensatori neoreazionari come Curtis Yarvin.

Oggi Thiel è un alfiere del conservatorismo nazionale, critica il libero scambio (infatti ama i monopoli perché, parole sue, “la concorrenza è per i perdenti”) ed è stato un pezzo da novanta nel sostenere Donald Trump, finanziando candidati a lui graditi e tessendo la tela tra la Casa Bianca e la Silicon Valley. Le sue radici, dicono alcuni, affondano nella Namibia dell’apartheid, un’esperienza che potrebbe aver plasmato la sua visione del mondo.

A cosa serve l’IA se la realtà è già così? Photo credit: Il Post.

Elon Musk: dalle stelle alle stalle (dell’estrema destra)

L’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, un tempo si dipingeva come “moderato”. Oggi, può vantarsi di essere stato il maggior finanziatore della campagna 2024 di Trump ed il capo designato del Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE) istituito dal tycoon alla Casa Bianca. La sua parabola lo ha portato a sostenere figure dell’estrema destra europea come Giorgia Meloni e l’AfD tedesco.

Musk, autoproclamatosi “assolutista della libertà di parola”, ha trasformato X in un ricettacolo di teorie del complotto, antisemitismo e discorsi d’odio. La sua educazione nel Sudafrica dell’apartheid è spesso richiamata per spiegare le sue posizioni radicali, come la sua feroce critica all’affirmative action, definita “palesemente razzista”.

David Sacks ci spiega cos’è una red flag. Photo credit: Bitcoin.com News.

David Sacks e Roelof Botha: l’eco dell’apartheid

David Sacks, coautore di “The Diversity Myth“, ha seguito un percorso simile a quello di Thiel, approdando alla corte di Trump come consigliere. Anch’egli sudafricano di nascita. Roelof Botha, oggi pezzo grosso di Sequoia Capital, ha un legame col Sud Africa suprematista ancora più diretto: suo nonno, Pik Botha, fu ministro degli Esteri di quel regime d’apartheid. Un’eredità pesante questa, che lo fa definire da alcuni l'”erede di un progetto coloniale”.

Queste traiettorie non sembrano casuali. L’immensa ricchezza e il potere tecnologico, forse combinati con un’educazione in società basate sulla gerarchia razziale e una disillusione “contrarian”, sembrano spingere verso soluzioni autoritarie ed un disprezzo per le fondamenta democratiche.

Roelof Botha ci parla dei crimini di Nelson Mandela. Photo credit: LDV Capital.

L’ombra dell’apartheid: radici e connessioni

Non si può comprendere appieno la “PayPal Mafia” senza guardare alle sue radici. Thiel, Musk e Sacks hanno trascorso anni formativi in Sudafrica o Namibia durante l’apartheid. Un’esperienza che, secondo molti, ha lasciato un segno indelebile.

Thiel visse in Namibia, in un ambiente dove, si dice, si “glorificava il nazismo”. Suo padre, Klaus, lavorava nell’industria mineraria, e accuse (non provate) lo legano a traffici di uranio per il regime sudafricano. Musk crebbe a Pretoria, in un ambiente segregazionista e privilegiato. Suo padre Errol non nasconde la nostalgia per l’apartheid, mentre il nonno materno, Joshua Haldeman, era a capo di un movimento tecnocratico con venature neofasciste. Sacks, nato a Città del Capo, beneficiò direttamente del sistema.

Un cartello indica una spiaggia vietata alle persone di colore nella Città del Capo degli anni ’60. Photo credit: BBC.

Questa comune origine, in una società costruita sulla gerarchia razziale, potrebbe aver normalizzato concetti di disuguaglianza. E oggi, vediamo Musk attaccare le politiche di riparazione in Sudafrica e promuovere narrazioni vicine a quelle di AfriForum, un gruppo di destra che agita lo spauracchio del “genocidio bianco”. Una retorica, questa, utilizzata globalmente dall’estrema destra per combattere immigrazione e giustizia razziale.

Accuse di neonazismo ed estremismo

Le accuse più gravi, quelle di simpatie neonaziste, si concentrano su Thiel e Musk.

Thiel ha legami intellettuali ed economici con Curtis Yarvin (alias Mencius Moldbug), guru del pensiero neoreazionario (NRx), che critica democrazia ed egualitarismo. Le idee di Yarvin sono state associate a razzismo e apologia della schiavitù. La visione politica di Thiel, un'”autocrazia benevola” forse guidata da una élite tecnologica e basata su concetti eugenetici, si sposa infatti pericolosamente con le tecnologie di sorveglianza sviluppate da Palantir.

Curtis Yarvin, un uomo di cui potete spiegare facilmente l’odio verso il mondo. Photo credit: Heidi News.

Musk, dal canto suo, è stato protagonista di episodi imbarazzanti, come il saluto nazista a un comizio di Trump, e ha avallato teorie cospirazioniste antisemite sulla sua piattaforma X. Da quando l’ha acquistata, X è diventata un’autentica fogna di estremismo, disinformazione e odio, causando la fuga degli inserzionisti e l’imbarazzo internazionale. La sua “libertà di parola” assolutista sembra tradursi, in pratica, in libertà d’odio.

Queste non sono sviste isolate, ma si inseriscono in un quadro coerente, che affonda le radici nelle critiche al multiculturalismo di “The Diversity Myth” e culmina in accuse, forse estreme ma indicative della preoccupazione, di “fomentare una guerra razziale globale”.

“The Diversity Myth”, opera controversa di Sacks and Thiel che funge un po’ da manifeso politico (di estrema destra) della “PayPal Mafia”. Photo credit: The Independent Institute

Influenza politica e potere finanziario

Con i miliardi, arrivano le porte girevoli della politica. Thiel, Musk e Sacks hanno investito pesantemente sul Partito Repubblicano di Donald Trump, ottenendo in cambio ruoli di consulenza e, ora, la guida di dipartimenti governativi come il DOGE. Ken Howery, un altro ex PayPal, è stato ambasciatore sotto Trump.

Questa “presa di potere” ha preoccupato non poco, suggerendo una deriva verso una governance tecnocratica, dove l’efficienza (definita da loro) potrebbe prevalere su democrazia e responsabilità. Miliardari che, forti del loro successo tecnologico, pensano di poter “rompere” anche le istituzioni, forse applicando lo stesso disprezzo per le regole mostrato nei confronti della SEC o delle normative ambientali e sul lavoro.

Se per mezzo secondo avete pensato fosse una cosa seria ho pessime notizie per voi. Photo credit: Independent.

Conclusione: oltre la maschera dei disruptor

La “PayPal Mafia” non è un blocco unico, ma le figure più potenti al suo interno mostrano una chiara tendenza verso estrema destra e l’antidemocrazia. L’eredità dell’apartheid sembra proiettare un’ombra lunga, mentre le accuse di simpatie neonaziste e antisemitismo trovano riscontri preoccupanti nelle loro parole e azioni.

Il loro potere, amplificato dalla tecnologia e dai social media, non è solo economico, ma culturale e politico (Musk in particolare ha costruito molta della sua fortuna su promesse non mantenute). Tale potere rappresenta una sfida diretta alle società democratiche, normalizzando ideologie estreme che fino a pochi anni fa erano completamente fuori dalla finestra di Overton, spostando i confini del discorso pubblico in maniere repentine e drastiche.

Resta da vedere se questa intersezione tra capitale, tecnologia e ideologie radicali sia solo una fase o l’alba di un futuro distopico, governato da un’élite tecnologica che non ha mai avuto bussola etica. E la caduta di Musk dalle grazie di Trump non basterà a scalfire il percorso che si è delineato. Opporsi tocca a noi.

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