Incastonata fra la Russia e la Cina, la Mongolia è una terra immensa, senza barriere, senza tracciati, termini o confini. Una terra ricca di tradizioni, eventi culturali millenari e persino competizioni sportive tradizionali.
All’appuntamento del Naadam, la grande festa mongola di mezza estate, infatti, non si può mancare. Ogni anno tutto il popolo mongolo, dagli angoli più remoti della nazione, si raduna a Ulaanbaatar indossando l’abito tradizionale e arrivando con ogni mezzo, macchine, carri, moto, cavalli. Si tratta dei giochi mongoli, paragonati da taluni alle Olimpiadi, che si tengono nella capitale dall’11 al 15 luglio. La data di metà lugliocoincide con la liberazione dai cinesi del 1921. Ma alla maggior parte dei mongoli rievocare la rivoluzione non interessa granchè. Il Naadam, invece, interessa loro moltissimo.
Nell’ultimo decennio, la celebrazione del Naadam si è modernizzata e si è accresciuta, affollandosi di turisti che accorrono a frotte per vivere un evento che forse non riusciranno mai a capire fino a fondo. Ma l’internazionalizzazione della festa offre slancio al paese e rende possibile il passaggio del testimone ad una generazione di mongoli più giovane e cosmopolita. Nel 2010, non a caso, il Naadam è stato inserito nella lista dei rappresentanti del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’UNESCO.
Tre sono le discipline che si disputano in questa giostra senza tempo: la corsa a cavallo, il tiro con l’arco e la lotta; pratiche ancestrali del popolo mongolo. In Mongolia, oggi come tremila anni fa, per sopravvivere bisogna saper far bene tre cose: andare a cavallo, battersi e cacciare. Per tradizione, le discipline rispondono alle tre età dell’uomo, la corsa a cavallo si fa da bambini, la lotta da uomini e il tiro coll’arco da anziani.
Quest’anno i giochi mongoli, ove si esibiscono solo atleti nazionali, si sono disputati poco prima delle Olimpiadi 2024, attualmente in corso a Parigi, ove si esibisce il mondo intero. La cerimonia di apertura del Naadam 2024 si è tenuta, come sempre, allo stadio nazionale degli sport vicino a Ulaanbaatar. Lì hanno sfilato le squadre sportive in gara, assieme ad altre eccellenze tra artisti ed artigiani nazionali e internazionali.
Una festa incentrata su di un unico principio: essere tutt’uno, parti di un intero. Non a caso, il titolo dei Giochi di quest’anno è stato: Unità eterna. Una cerimonia che ha fuso tutti, insomma, protagonisti e spettatori, in un unico battito di cuore. Come si può vedere nella galleria a scorrimento qui sotto, si è trattato di molta sostanza e poca forma: un vaso, sobriamente decorato, ricolmo di un incantevole profumo.
All’opposto, l’apertura delle Olimpiadi di Parigi 2024 è stata caratterizzata da magnificenti fasti. Un preziosissimo vaso, riccamente decorato, forse vuoto. La coreografica e appariscente cerimonia di inizio è durata quattro ore e si è svolta fuori di uno stadio. Le squadre (a cui si erano aggiunti anche dirigenti o delegati, almeno a giudicare dal peso e dall’età) hanno sfilato ammassate in barche sulla Senna, mentre, contemporaneamente, giullari ballerini, mimi, musicisti si esibivano in ogni dove.
Per quattro ore si sono susseguiti abbaglianti effetti di luce e di suono, in una modernissima discoteca a cielo aperto, ove continui riferimenti alla fastosità francese hanno elettrizzato gli spettatori, facendo dimenticare la pioggia battente. Come si può osservare nella successiva galleria a scorrimento, si è trattato di lavoro imponente e spettacolare: il corteo di delegazioni prima e i tedofori poi hanno attraversato tutti i luoghi più famosi della città, dal museo del Louvre, all’arco di Trionfo.
Per l’intera durata della manifestazione sono stati trasmessi video di un misterioso tedoforo, la cui identità è stata rivelata alla fine[1], che danzava e correva sopra i tetti della città, calandosi talora nei luoghi più famosi di Parigi con acrobazie degne di Spiderman. Nel contempo, si susseguivano balli di can can, performance di heavy metal sui cornicioni della Conciergerie e non è mancata la figura di Maria Antonietta, con la testa mozzata.
Uno spettacolo fastoso, in cui, però, gli atleti, veri protagonisti delle Olimpiadi, sono passati in secondo piano: si sono presentati al pubblico ammassati su svariate barche, le cui dimensioni sembravano essere direttamente proporzionali alla grandezza delle delegazioni.
Neppure ipotizzabile, per il popolo mongolo, una cerimonia fuori dello stadio dello sport, quand’anche fosse stato il luogo più affascinante del Paese. Lo stadio per i Mongoli abbraccia e valorizza gli atleti e crea un legame con gli spettatori, in uno sguardo circolare, come una specie di gher, a cielo aperto.
Nella cerimonia di apertura del Naadam 2024 si è esibita, in abito tradizionale bianco, la cantante mongola nazionale, la quale, oltre a regalarci veri e propri virtuosismi vocali con complessi salti di ottava, ha cantato mentre era a cavallo – e dunque con il diaframma non in massima estensione – a tratti procedendo all’indietro.
Durante tutto il brano ha steso le braccia verso il pubblico, in un ideale abbraccio d’amore volto a valorizzare tutti gli altri, giammai sé stessa.
A Parigi Lady Gaga, con corpetto e culotte neri e piume bianche a tergo, nel frattempo scendeva da una scala dorata, in un tripudio di ammaliati adoratori, dotati a loro volta di piume rosate.
Il culmine della Naadam si raggiunge nelle gare di lotta, da cui le donne sono escluse, in cui circa cinquecento uomini si battono per conquistare il titolo di Leone della Mongolia. Dal momento in cui la lotta mongola tradizionale manca di un regolamento vero e proprio, è difficile che un lottatore mongolo venga accettato nella Olimpiade. Eppure quest’anno lottatori mongoli sono presenti a Parigi e anche lottatrici donne nel judo.
L’abbigliamento di gara di un lottatore del Naadam consiste in corpetto che copre solo spalle e braccia, attillati pantaloncini di seta e, ai piedi, i tradizionali stivali di cuoio.
Nulla a che vedere con il costoso abbigliamento tecnico altamente performante che si sfoggia alle Olimpiadi. Non è l’attrezzatura che fa l’atleta mongolo; è lo spirito, la forza, il coraggio e la fantasia, come direbbe Francesco De Gregori.
Non a caso gli abiti di tipo tradizionale del team mongolo alle Olimpiadi sono stati apprezzatissimi. Più del giacchetto griffato giallo limone di Brad Pitt, più della costosa mise firmata del rapper A$AP Rocky. Abiti sobri e altamente simbolici, composti da eleganti ricami di uccelli (che simboleggiano la libertà), di montagne (che simboleggiano il Paese) e di astri. C’è poi la torcia, simbolo olimpico per eccellenza.
Simone Biles, la fantastica ginnasta americana amata da tutto il popolo USA, ha vinto un meritatissimo oro sfoggiando un lucente body da tremila dollari. Con una somma simile un nomade mongolo può vivere per anni. Felice nel poco.
Ma anche noi Occidentali, e noi Italiani in particolare, abbiamo avuto piccoli momenti di gloria e di grande emozionein queste Olimpiadi parigine. Momenti in cui, forse, ci siamo sentiti un tutt’uno come in una specie di Naadam.
L’oro nel dorso di Ceccon, per fare un esempio.
Oppure l’oro delle spadiste, per fare un esempio di squadra.
Oppure ancora il bronzo di Samele, per fare un esempio di nobiltà, dove il vincitore, piangendo, ha fatto cenno al pubblico di non applaudire lui ma l’avversario. Di fronte a momenti come questi, ogni differenza prodigiosamente si azzera, e capita che persino gli atleti del ping pong della Corea del Nord abbraccino quelli della Corea del Sud.
E come per miracolo, ci sentiamo tutti un unico popolo in piedi sugli spalti, unito da una stessa passione. Nell’antica Grecia durante le Olimpiadi si sospendevano tuti i combattimenti in atto. Che lo sport, oggi come allora, sia ovunque opportunità di pace.
Note
[1] erano due persone: Mariejosé Perec e Teddy Riner.
Appassionata di diritto ma, soprattutto, innamorata della gente, ho redatto oltre trenta pubblicazioni scientifiche e collaborazioni manualistiche. Ho scritto due libri: il diario di un cammino con i detenuti ed una monografia su detenzione e religione. Vivo tra Roma, Milano e la Toscana e canto, per hobby, in un coro polifonico di musica popolare.