Nel quartiere Bjøvika, un tempo porto per container, oggi nuovo centro urbano affacciato sul Fiordo di Oslo, un’enorme costruzione di 11 piani è lo spazio espositivo destinato a contenere gran parte delle migliaia di opere di Munch (circa 28.000 catalogate)[1].
Parafrasando architettonicamente un celeberrimo capolavoro dell’artista norvegese, questo verticale in alluminio perforato e vetri è da “urlo”.
La prima impressione, vagando per questo quartiere di canali e passatoie di legno marino, è di trovarmi a Canary Wharf a Londra. Del resto anche qui ad Oslo ha funzionato la stessa logica di riconversione urbana: da un austero luogo di deposito portuale ad una sfavillante new city. Anche ad Oslo l’idea di vivere il privilegio di una città senza auto, a dimensione di camminatore e domestico navigatore.
Qualcosa che sarebbe potuto avvenire anche a Venezia se non si fosse deciso di farne un grande luna park per orde barbariche di turisti da tutto il mondo, espellendo anno dopo anno migliaia di Veneziani.
Certo, anche ad Oslo non mancano quei mostri marini che sono le navi da crociera, ad inquinare visivamente, e non solo, la meraviglia dei fiordi.
Decido di veicolare i miei nostalgici e angosciati pensieri verso il Museo Munch. Del resto, quale luogo migliore per fare i conti con il mio cuore perpetuamente nero?
Ho sempre amato Munch, sin dalla mia prima adolescenza inquieta e kierkegaardianamente timorosa e tremante, proprio per quel comune sentire dolente: l’amore, la malattia, la morte, nella mancanza assoluta di Dio.
Munch dipinge sentimenti estremi secondo una tecnica pittorica fatta talvolta di pennellate ondulate o curvilinee, come ad assecondare un “flusso di coscienza”, talvolta pennellate che sono veri e propri graffi o scarabocchi infantili, come invece ad assecondare uno spontaneismo primitivo o selvaggio.
Le tematiche svolte graficamente e pittoricamente da Munch appartengono ai classici snodi esistenziali di cui sopra.
La ricchezza e la complessità dell’opera di Munch mi spingono a focalizzare questo mio intervento per Deep Hinterland solo su un paio di espressioni artistiche del genio norvegese: la melanconia delle sue lune e il suo rapporto con la nudità.
LE LUNE. È nelle lune che si esprime tutto il lirismo di Munch, lo struggimento emotivo dell’artista. Per quanto mi riguarda ho sempre visto quelle lune nella loro estensione luminosa: non tanto o non solo il tondo pieno in alto da cui la luce scaturisce, ma il verticale fascio di luce che termina tondeggiante nel mare di un fiordo o nelle acque di un lago.
In quel cono luminoso ho sempre visto le fattezze di un pene che sfiora appena quelle acque gelide, ma che poi non riesce a penetrare, a far sue. In quella classica condizione di “incomunicabilità tra i sessi” che più tardi affronterà anche Magritte tramite il suo celebre dipinto “Gli Amanti” (1928). La Melanconia delle Lune di Munch è nello struggimento amoroso, il desiderio mai pago nell’attesa o nel ricordo.
I NUDI. Dalle didascalie in mostra relative alla sezione “Nudi”, l’idea che ogni persona reagisce a modo suo di fronte alla nudità: quando prevale la timidezza ed il senso di vulnerabilità, si preferisce nascondersi; in altri casi prevale il senso di liberazione ed un sentimento di forza.
In Munch la nudità si esprime in modi diversi: “Dipinge bagnanti sulla spiaggia, donne che si spogliano, l’imbarazzo di una ragazzina, una schiena scoperta. A volte usa il proprio corpo nudo come punto di partenza per un’immagine.” In ogni caso Munch parte sempre dal dato reale, da uomini e donne che hanno posato per lui.
Non c’è un ideale estetico nel corpo rappresentato, l’interesse dell’artista è per il corpo per come appare realmente, ma poi, al di là dell’apparenza, ciò che conta è ciò che quel corpo contiene in termini di piacere-passione o angoscia-dolore esistenziali.
Di altro non voglio e forse non riesco a dire di questo grande e molto amato artista, una sorta di pudore mi pervade e/o mi attanaglia.
Lascio che sia il silenzio delle immagini da me selezionate ad accompagnarvi in questo percorso di melanconie nordiche, 42 fotogrammi originali in galleria.
Note
[1] Il Museo Munch è opera dell’architetto spagnolo Juan Herreros: https://www.visitoslo.com/it/articoli/munch/.
Cosentino di nascita, sopravvivo a Roma, estrema propaggine di Calabria. Artista visivo, da qualche anno in prestito alla fotografia, mi accorgo di continuare a dipingere anche quando scatto foto. La verità è che non capisco mai nelle cose che faccio dove inizia e finisce la pittura, dove la scenografia, la ceramica, la scultura, la fotografia. Capita pure di essere premiato, così è successo nel 2005, nell’ambito della III Biennale Internazionale della Magna Grecia di San Demetrio Corone (CS). Ho voluto che il dipinto presentato in quell’occasione, “Bastardo a Sud”, fosse l’immagine emblematica della mia rubrica su DEEP HINTERLAND: quale immagine migliore per i miei “percorsi artistici marginali”?