Il 7 febbraio è mancato Alfredo Castelli. Nato a Milano nel 1947, da oltre 50 anni era uno dei più importanti autori del fumetto italiano.
Parlare con lui era un’impresa. Innanzitutto, non era facile trovarlo. Sempre impegnato in qualche progetto straordinariamente ambizioso, mai abbastanza fermo da essere vicino a un telefono. Quando poi lo si riusciva a trovare, la conversazione assumeva presto contorni strani: nel giro di pochi secondi, la ragione per cui lo avevi cercato si perdeva perché iniziava a parlare d’altro. La sua curiosità onnivora lo aveva portato a una conoscenza enciclopedica di qualsiasi argomento, e la sua capacità di conversazione era leggendaria.
Fumetti, naturalmente. Ma anche cinema, di ogni genere. Culture di ogni parte del mondo, esoterismo, ambientalismo, storia, letteratura, geografia, informatica. Il problema era fermarlo, o anche solo inserirsi nel discorso. E allo stesso tempo, Castelli era un grande ascoltatore, curioso, attento. Aveva poi un’altra caratteristica preziosa: era una delle persone più spiritose che si possano incontrare. Creatore infaticabile di gag e battute, che si trovano disseminate nell’intero corpus della sua opera.
Ho avuto modo di parlare con lui alcune volte, negli anni. La prima volta, avevo poco più di vent’anni. Avevo organizzato, per conto della biblioteca civica del paese in cui sono nato, tra Milano e Como, un’iniziativa sui fumetti. Un caro amico comune, il disegnatore di Tex Claudio Villa, che per Castelli aveva disegnato alcune storie epocali di Martin Mystére, aveva coinvolto Alfredo e l’editore Sergio Bonelli (altro conversatore straordinario, altra meravigliosa persona). Erano venuti tutti e tre una sera nel nostro municipio a conversare con il pubblico e, finita la serata, avevamo cenato a casa mia.
Si era parlato di tutto, dai viaggi (quelli di Bonelli erano leggendari) ai fumetti, al cinema, al fatto che Alfredo aveva smesso di fumare (avrebbe poi ripreso) perché una sera, tornato a casa e scoperto che l’ascensore era guasto, si era ridotto a dormire in auto perché non sarebbe mai riuscito a salire cinque piani di scale.

Alcuni anni dopo ero andato a trovare Castelli nel suo ufficio, nella redazione della Sergio Bonelli Editore a Milano, insieme a Gianfranco Goria, sceneggiatore Disney e autorevolissimo esperto di fumetto franco-belga, ed al caro amico Carlo Falciola. Avremmo dovuto parlare di un progetto che non avrebbe mai visto la luce, ma, di nuovo, la verve di Castelli aveva portato la conversazione altrove (vai a ricordarti dove).
Dopo una mattinata di chiacchiere e progetti ambiziosissimi, eravamo finiti a pranzo insieme, e si erano uniti a noi Sergio Bonelli e lo storico statunitense del fumetto Bob Beerbohm, in visita a Milano. Anche in quell’occasione, lo scopo originale del nostro incontro si era perso in pochi istanti. Avevamo parlato delle origini del fumetto, avvenute nella Svizzera del primo ‘800 per opera di un quasi dimenticato umorista ginevrino, Rodolphe Töpffer, sulle cui vicende Beerbohm e Castelli stavano, proprio in quel periodo, concentrando i loro studi.

Una terza volta avevo parlato con lui al telefono. Avevo avuto l’incarico di curare la realizzazione di un libro a fumetti dedicato al centenario della CGIL, e Castelli aveva accettato di sceneggiare una delle brevi storie che lo avrebbero composto. Di nuovo, dopo innumerevoli tentativi di trovarlo, ero finalmente riuscito a mettermi in contatto con lui. Ma la nostra conversazione (credo oltre un’ora di telefonata) aveva esplorato ogni ambito dello scibile umano tranne il lavoro che avrebbe dovuto fare per noi. Alla fine, aveva accettato, ma i suoi proverbiali ritardi avevano reso impossibile la collaborazione, e il libro si era concretizzato senza di lui.
La quarta ed ultima volta ci eravamo incontrati ad un convegno, a Varese, con svariate decine di fumettisti che stavano (credo su iniziativa di Luigi Bona e Luca Boschi) discutendo del progetto di una nuova rivista a fumetti. In quella occasione non c’era stato il tempo di chiacchierare veramente, ma il calore con cui mi aveva salutato mi aveva sorpreso: in fin dei conti ci eravamo visti tre volte in oltre dieci anni, e mi aveva colpito il fatto che si ricordasse di me in modo così vivido. Io certamente mi ricordavo di lui con grande affetto.

Questo, in buona sostanza, oltre a tutti i racconti magnifici che ci ha regalato, è quello che mi resta di Alfredo Castelli.
Al di là della grande cultura, della straordinaria capacità di inventare e narrare storie, del senso dell’umorismo, resta il vuoto lasciato da una persona che amava stare in mezzo agli altri, che non faceva mai sentire nessuno escluso, poco importante. Una bella persona, che ci mancherà.

Bancario, vignettista, sindacalista e Brianzolo, lavoro come responsabile dell’Ufficio Formazione Nazionale per la FISAC/CGIL Lombardia. Sempre per la CGIL, mi occupo da quasi trent’anni di progettazione grafica e campagne di comunicazione. Tutto è cominciata quando, dopo la maturità, ho seguito il tirocinio come disegnatore di fumetti presso lo studio di Claudio Villa (Tex, Dylan Dog, Martin Mystère). Nel febbraio del 2000 sono stato tra i fondatori del SILF/CGIL (Sindacato Italiano del Lavoratori del Fumetto, dell’Illustrazione e del Cinema di Animazione), per il quale sono stato Segretario Nazionale Organizzativo fino al 2007. Appassionato di grafica d’arte, affianco il Maestro Pedroli nella gestione dei corsi di tecniche calcografiche presso il Centro dell’Incisione Alzaia Naviglio Grande di Milano.