La guerra in Ucraina ha spinto tanti di noi ad approfondire le ragioni recondite di questo conflitto. Tra i saggi pubblicati in quest’ultimo anno spicca certamente per esaustività e chiarezza “Nel cuore di Odessa. L’orgoglio di una città al centro della storia” di Ugo Poletti, Rizzoli editore.
La prima lettura di questo libro mi ha fornito importanti chiavi interpretative circa gli eventi bellici in corso e mi ha rafforzato nella convinzione che l’Ucraina non può essere lasciata al suo destino di vittima predestinata e che le mire imperialiste della Federazione Russa vanno respinte nell’interesse non solo dell’Ucraina, ma dell’Europa tutta.
Una seconda lettura di questo saggio complesso e articolato mi ha invece spinto a voler approfondire la centralità di Odessa nel panorama culturale europeo. Scrive Poletti: “Città orgogliosa della propria diversità storica e culturale, si è sempre comportata come un’isola indipendente”; “attraverso la prospettiva di Odessa abbiamo la possibilità di conoscere l’anima dell’Ucraina contemporanea”; “ci sarà più Europa nel futuro dell’Ucraina e Odessa è la città culturalmente più vicina al vecchio continente”. Odessa, “in cui ancora oggi lo straniero si sente accolto come portatore di novità e opportunità”.
Così ho deciso di contattare l’autore per proporgli un’intervista sul passato di Odessa e sul suo futuro, sfiorando soltanto il presente di questa città per una sorta di pudore e quasi a voler anestetizzare una sofferenza che ci accomuna.
Comincio da qui.
Dal tuo punto di vista di “straniero portatore di novità e opportunità” cosa mi puoi dire circa il modo di vivere degli odessiti prima della guerra? Insomma, cosa caratterizzava il vivere in questa città fuori dall’ordinario? Quale la “frase urbana”[1] di Odessa?
Nonostante il conflitto nel Donbass fosse già in corso dal 2014, la sensazione a Odessa era quella di vivere come se la guerra non ci fosse. Ma non nel senso di negazione della realtà. Infatti, si conoscevano le storie di manager stranieri scappati da Lugansk o di ucraini fuggiti da Donetsk a Odessa, dopo aver dovuto abbandonare le loro case. Ma la città continuava a vivere e a curare le proprie attività senza lasciarsi affliggere da un conflitto lontano, come se fosse congelato. Il senso della tragedia come parte del paesaggio o fatto quotidiano ricorrente é molto presente nell’anima ebraica di Odessa, indurita da molte persecuzioni.
Inoltre, la città era prima della guerra il luogo dove si incontravano regolarmente manager o affaristi russi, trattati senza alcuna animosità, nonostante la nazionalità, e neppure considerati degli stranieri. In fondo, prima dell’Indipendenza ucraina erano tutti Sovietici, come prima della rivoluzione sudditi imperiali. Quindi, la città continuava a vivere con spensieratezza i suoi festival del cinema e della musica estivi, accogliendo i turisti della stagione balneare, fino a quando la doccia fredda dell’invasione russa l’ha costretta a scegliere tra amici e nemici. Una scelta dolorosa se si pensa che ancora oggi molti Odessiti hanno parenti e amici oltre confine della Federazione Russa.
In un mio breve viaggio ad Odessa, nel dicembre del 2021, ho soggiornato in un piccolo e delizioso hotel in via Deribasovskaya. Nelle prime settimane della guerra, durante i collegamenti da Odessa dei vari TG italiani e dietro le fila dei cavalli di frisia, ho riconosciuto la finestra da cui nelle notti gelide odessite potevo lanciare uno sguardo insonne su quel viale e scorgere a qualsiasi ora la buia silhouette dei passanti, in una città che mi è sembrata non fermarsi mai. Ne accenni anche tu nel tuo libro: “strada di ciottoli fulcro della vita notturna della città”.
Come e perché nasce così? Vorrei saperne di più, se possibile, di questo boulevard parigino ad Odessa. Cos’ha rappresentato per la “Regina del Mar Nero”? Lo immagini così anche in futuro?
Se parliamo dei ciotoli della Deribasovskaya (dedicata a De Ribas, l’aristocratico napoletano fondatore di Odessa) e delle vecchie strade della città, bisogna ricordare che molta di quella pavimentazione é di pietra lavica toscana. Le navi che da Odessa portavano il grano a Livorno, al ritorno mettevano dei blocchi di pietra nelle stive per zavorrare lo scafo della nave vuota. Un bel giorno, il sindaco greco di Odessa Grigorios Maraslis decise di vendere sottocosto tutte quelle pietre accumulate nei magazzini del porto per lastricare le vie della città. Quindi, quei ciotoli che oggi calpestiamo sono un pezzo d’Italia.
La Deribasosvskaya é il viale del passeggio e l’asse della vita notturna della città. D’estate si riempie di giocolieri e musicisti da strada. Questo boulevard cambia pelle in continuazione. Ristoranti famosi hanno chiuso, stremati da Covid e guerra, ma al loro posto ne sorgono già di nuovi. É la via che taglia in due il centro storico e, idealmente, collega la vecchia zona del porto con il parco della cattedrale ortodossa. É la Montmartre di Odessa: da un lato si affollano pittori e ritrattisti di strada; dall’altro, gli appassionati di scacchi di tutte l’età, che non hanno smesso di giocare neppure sotto i bombardamenti. Resisterà così anche nei prossimi anni.
Scrivi sempre nel tuo libro che Odessa “non ha un’anima chiara, ma possiede una maestosità indiscutibile. Come tutte le città portuali, è fatta di contraddizioni, di traffici loschi e di angoli bui”.
Nel tuo “Cuore di Odessa” ricordi il mercato delle pulci sulla Kolontaivska, tra i primi a riportare il commercio nelle strade di Odessa dopo la guerra di invasione russa. La via si trova nel quartiere ebraico della Moldavanka, quello in cui sono ambientati i “Racconti di Odessa” di Isaac Babel.
Cosa rimane di quello scenario epico e spesso paradossale? Di quei personaggi al limite del reale, malandrini e piuttosto grotteschi? Com’è cambiata la città, se poi è cambiata?
Quel mercato delle pulci sparpagliato sui marciapiedi, chiamato “Starokonniy” (che significa: vecchio mercato dei cavalli, una volta nel quartiere), c’é ancora. Puoi trovarvi porcellane antiche, mobili di antiquariato, vecchi libri e cartoline, ma anche macchinari elettrici arrugginiti e vestiti usati. Sembra un museo a cielo aperto sull’ottimismo dell’utilità di qualsiasi oggetto, anche il più improbabile. Nel weekend ci trovi tutta Odessa: da persone semplici che comprano oggetti per la casa, a collezionisti in cerca di occasioni rare.
Però del vecchio tipo di malandrino come Mishka Yaponchik, romanzato da Babel, non rimane nulla. Ai tempi dell’URSS continuava l’attività insopprimibile del contrabbando, grazie alla corruzione nel porto. Negli anni ’90 arrivarono le gang caucasiche, che spadroneggiavano in tutta l’Unione Sovietica. Malavitosi meno eleganti e più spietati. A differenza dei leggendari ladri della Moldavanka, questa nuova criminalità non era affezionata ai suoi quartieri, né interessata a suscitare ammirazione. Nulla di paragonabile alle feste nei cortili pittoreschi di Odessa, dove il re dei ladri portava abbondanza di cibo e vodka per gli abitanti del quartiere. Erano tempi in cui la reputazione e l’onore contavano. Un palco all’Opera e donazioni a qualche artista erano un modo per nobilitarsi. I ladri odierni difficilmente vanno all’Opera o all’inaugurazione di una mostra d’arte.
La mia curiosità salta poi il presente e si proietta sul futuro prossimo venturo quando la guerra non sarà più: cosa ne sarà di Odessa? Come possiamo immaginare un’Odessa 2025 o 2035? Riesci a spingerti oltre con l’immaginazione? Per un racconto di Odessa domani.
Anche durante la guerra Odessa ha riaffermato il suo ruolo di capitale marittima dell’Ucraina. Quando la flotta russa ha effettuato il blocco navale dei sette porti della regione (di cui tre sul Danubio), il mondo si é accorto drammaticamente quanto fosse importante Odessa per l’alimentazione di molti Paesi.
Odessa é la città che insegna all’Ucraina ad andare per mare e la collega con i porti di tutto il mondo. Le altre grandi città ucraine sono terragne e guardano al continente. Odessa guarda all’Europa e ai mari del mondo, perché fu costruita da immigrati europei e dal mare viene non solo la sua ricchezza, ma anche la sua identità, come dimostra la gastronomia della città, ricca di piatti stranieri. La prossima sfida di Odessa sarà quella di combinare insieme la nuova identità ucraina con l’aspirazione europea, che, ancor prima dell’adesione all’UE, é un cambio di paradigma culturale, quasi uno stato mentale.
Se devo immaginare la Odessa nel 2035, mi vengono in mente un grande evento internazionale, su cui mobilitare tutta la città, e un nuovo progetto architettonico che segni il cambiamento. Il grande evento internazionale é l’EXPO 2030, a cui la città é ufficialmente candidata. Ospitare quell’esposizione cambierebbe la mentalità di Odessa. Anche gli Odessiti che non lavorano con l’estero scoprirebbero quanto é considerata la loro città nel mondo. Inoltre, li spingerebbe ad essere attivi anche nei mesi non balneari, come aprile, maggio, settembre e ottobre, di solito poveri di iniziative ed eventi. Una grave pecca per una città d’arte da visitare tutto l’anno. Sarebbe una bella sfida anche per la classe dirigente locale, alle prese per la prima volta con l’organizzazione di un progetto così ambizioso.
Un progetto architettonico d’effetto sarebbe quello che riuscisse a recuperare il valore di un monumento del passato, adattandolo alle esigenze moderne. Per esempio: un grande ponte pedonale realizzato da un architetto internazionale, che colleghi la celeberrima scalinata Potiomkin (il capolavoro dell’arch. Francesco Boffo, ridicolizzato da Fantozzi) al molo delle crociere, costruito in epoca sovietica.
Sarebbe un simbolo della modernità di Odessa che valorizza il suo monumento più iconico, ma privo di utilità. Infatti, oggi la maestosa scalinata finisce contro le sbarre di recinzione della strada che la separa dal porto. La necessità di costruire una strada con l’avvento della motorizzazione, le ha tolto la sua funzione originale di via d’accesso al mare. Inoltre, lo stesso molo delle crociere é scarsamente visitato. Ecco un esempio di progetto intelligente di architettura per recuperare l’anima di Odessa e riportarla al servizio della modernità.
[1] Bailly Jean-Christophe, La frase urbana, Ed. Bollati Boringhieri.
Cosentino di nascita, sopravvivo a Roma, estrema propaggine di Calabria. Artista visivo, da qualche anno in prestito alla fotografia, mi accorgo di continuare a dipingere anche quando scatto foto. La verità è che non capisco mai nelle cose che faccio dove inizia e finisce la pittura, dove la scenografia, la ceramica, la scultura, la fotografia. Capita pure di essere premiato, così è successo nel 2005, nell’ambito della III Biennale Internazionale della Magna Grecia di San Demetrio Corone (CS). Ho voluto che il dipinto presentato in quell’occasione, “Bastardo a Sud”, fosse l’immagine emblematica della mia rubrica su DEEP HINTERLAND: quale immagine migliore per i miei “percorsi artistici marginali”?