Li ho lasciati il 29 febbraio 2020, ultima pratica di tango prima del lockdown. Una piccola festa a “La Gardel” di Testaccio a Roma, di quelle domestiche e argentine, dove ritualmente si beve, si mangia, si balla tango. Maria Victoria Fuentes e Lucas Galera hanno continuato ad insegnare, anche loro a distanza, che a pensarci bene sembra un ossimoro: ballare tango a distanza (!).
Il tango, che è abbraccio, sudore, emozione, passione, talvolta batticuore difficile da contenere e/o celare, non può proprio essere da remoto. E così, in attesa che tutto pian piano si normalizzi, chiedo a Victoria e Lucas di fare di una nostra chiacchierata informale sul tango e dintorni una breve intervista con foto per DEEP HINTERLAND.

Dico breve intervista, ma dopo due ore di ricordi, aneddoti, curiosità, mi rendo conto che non potrà essere “breve”. Troppe le cose interessanti sulla città di Mendoza e su cosa questa città-Paese rappresenti per l’Argentina, una sorta di provincia capitale, “una periferia che si fa mondo”, come in altre occasioni è capitato di trovare. E poi il tango, nella stessa Mendoza, a Buenos Aires, in giro per il mondo, infine a Roma. Mendoza, le radici, quelle che si spingono fino in Spagna e pure in Sardegna (Victoria), ma anche La Matanza, provincia iperpopolosa di Buenos Aires, quella di Lucas, e le radici di lui, radici che arrivano in Calabria, a Mandatoriccio in provincia di Cosenza.
Comincio col chiedere a Maria Victoria, che è mendocina: come descriveresti Mendoza con una parola?
Direi che Mendoza è innanzitutto “un deserto”, un deserto che nel tempo è diventato oasi. Colpisce il contrasto tra la pianura desertica in cui la città è situata e la montagna che incombe su di essa, la Aconcagua, alta quasi 7000 metri. Per questa natura estrema la gente di Mendoza risulta introversa e conservatrice.

E per te, Lucas, cosa rappresenta invece Mendoza?
Volendo scegliere anch’io una sola parola, direi “rinascita”, la mia, esistenziale. Ti dico: dopo la crisi del 2001 in Argentina mi sono ritrovato davanti ad un bivio, andare via dal mio Paese, magari in Canada come tanti miei connazionali, oppure rimanere e lavorare nel sociale, contribuire anche alla rinascita dell’Argentina, non solo mia personale, ma lontano dalla provincia di Buenos Aires.
Ma perché a Mendoza?
Mendoza è nello stesso tempo Argentina, ma anche qualcosa di molto diverso, un posto dove migrare senza perdere l’identità nazionale. Ma confesso, anche per ragioni sentimentali, una mendocina conosciuta a Buenos Aires mi ha spinto a tentare la sorte nella sua città.
E una volta arrivato a Mendoza cosa ti ha trasmesso questa città?
Mi ha colpito il senso di “segretezza”, a Mendoza nulla ti è concesso di conoscere senza prima “camminare” tanto. Vale quanto ha detto Victoria, i mendocini sono “conservatori”, appartiene loro una riservatezza che è riserbo educato, pudore, senso dei propri limiti verso gli altri, ma anche una innata “solitudine”.
[Interviene Victoria] A Mendoza si chiede permesso per ogni cosa.

Eppure Mendoza passa per essere una città di grande respiro culturale.
[Risponde Lucas] è vero, Mendoza è una sede universitaria molto importante, ma prima ancora direi: – dove Gardel ha studiato canto e ha trovato ispirazione per la sua musica, nella “tonada”, una musica folcloristica dove voce e chitarra sono un tutt’uno rispetto al racconto; – città di adozione di Mercedes Sosa, la “voce” più importante dell’Argentina; – e poi di Mendoza è Quino, il disegnatore di Mafalda. Ma nella cultura di Mendoza un posto a sé è riservato al vino, quello rosso, il famoso Malbec, che fa di questo luogo una delle dieci capitali al mondo per il vino.
Però Mendoza non è solo passato illustre, vero Victoria?
Io posso parlare della Mendoza degli anni 2000. Quella della cultura underground, sempre legata però alla tradizione, penso all’INDIE ROCK, un rock indipendente, fuori dal mercato imposto dalle grandi case discografiche americane, in disaccordo/opposizione con il mainstream. Un rock che predilige il “racconto”. In fondo un rock che non rinnega le radici argentine, il folclore Cuyano, quello che trova la sua massima espressione artistica nell’annuale “Festa della vendemmia”, quella che vede il suo culmine nello spettacolo al Frank Romero Day, un anfiteatro di 40.000 posti a sedere ai piedi delle Ande argentine.
Vuoi aggiungere qualcosa Lucas? Cosa si è dimenticato?
Mendoza è un “biglietto di sola andata”, un luogo da cui non si può andar via, anche se la vita ti porta fisicamente altrove.

[E Victoria ricorda…] “Para quien lo ha vivido en Mendoza otoño son cosas que inventó el amor.” / ”Per chi ha vissuto a Mendoza, l’autunno è di cose che l’amore ha inventato” (Jorge Pacho Sosa, Tonada de Otoño).
Fotografo: Massimo Maselli
Ballerini di tango argentino/Modelli: Lucas Galera & Maria Victoria Fuentes
Esterni/Interni: Ex Mattatoio di Roma (“Mattatoio di Testaccio”); “Wall of Fame” presso Roma Ostiense; Stazione ferroviaria di Roma Porta San Paolo (Roma Piramide).

Cosentino di nascita, sopravvivo a Roma, estrema propaggine di Calabria. Artista visivo, da qualche anno in prestito alla fotografia, mi accorgo di continuare a dipingere anche quando scatto foto. La verità è che non capisco mai nelle cose che faccio dove inizia e finisce la pittura, dove la scenografia, la ceramica, la scultura, la fotografia. Capita pure di essere premiato, così è successo nel 2005, nell’ambito della III Biennale Internazionale della Magna Grecia di San Demetrio Corone (CS). Ho voluto che il dipinto presentato in quell’occasione, “Bastardo a Sud”, fosse l’immagine emblematica della mia rubrica su DEEP HINTERLAND: quale immagine migliore per i miei “percorsi artistici marginali”?