Non può che partire da Alacalà de Heranes la Ruta del Qujiote, la cittadina nel cuore della Mancha dove nacque Miguel de Cervantes Saavedra e che diede i natali anche a Caterina d’Aragona, moglie di Enrico VIII, prima che il volubile sovrano della dinastia Tudor la piantasse per sposare Anna Bolena provocando lo scisma anglicano.
Città romana e poi araba, Alcalà de Henares deve la sua fama anche all’Università Complutense fondata dal Cardinale Francisco Jimenez de Cisneros, primate di Spagna, reggente di Castiglia e Grande Inquisitore, un tipo da prendere decisamente con le molle. Fu nella sede arcivescovile di questa cittadina che Isabella la Cattolica diede udienza per la prima volta a Cristobal Colon, meglio conosciuto da noi come Cristoforo Colombo e notoriamente risoluto a buscar el Oriente por el Occidente.
Quella volta non se ne fece nulla ma in seguito, dopo la Reconquista di Granda, la Sovrana, memore di quel primo incontro, lo riconvocò nella città andalusa di Santa Fe. Lì, grazie alla mediazione del suo confessore, padre Juan Perez, grande estimatore di Colombo, si decise a finalmente finanziare l’impresa che nel 1492 cambiò per sempre la storia dell’Occidente e, purtroppo, anche quella dei nativi di tutte le Americhe.
In quella cittadina a 40 km da Madrid, splendida capitale di un regno su cui non tramonta mai il sole, vide la luce Cervantes, figlio di un cerusico specializzato in trasfusioni di sangue. Don Miguel nacque lì nel 1547, durante el siglo de oro, che per la Spagna fu tale non solo per la letteratura. Da lì fuggì a 23 anni per l’Italia, inseguito da una sentenza che lo aveva condannato al taglio della mano per aver ferito durante un duello un muratore nel recinto del palazzo reale a Madrid.
Da allora fu soldato, domestico, spia, esattore delle tasse e pure schiavo e galeotto. A Roma servì come cameriere del cardinale Giulio Acquaviva, nobile napoletano che giovanissimo aveva servito in Spagna. Tuttavia, il giovane Cervantes si sentiva più portato per una vita in armi e, poco dopo, si imbarcò su di una galea della flotta della Lega Santa, costituita da Papa Pio V per combattere gli Ottomani.
E fu nel corso della celebre battaglia di Lepanto, in cui i quell’alleanza scomoda di stati cristiani finì per sbaragliare i Turchi, che don Miguel ci rimise la mano che la giustizia spagnola non riusci ad amputargli qualche anno prima. Mutilato di guerra, si imbarcò ancora una volta a Napoli, stavolta risoluto a tornare in Spagna. Se non fosse che, davanti alle coste francesi, la nave su cui viaggiava venne assalita dai pirati. L’equipaggio, fatto prigioniero, venne trasferito in ceppi ad Algeri, da dove poi Cervantes fuggì rocambolescamente, dopo aver goduto dei favori dei suoi carcerieri. In seguito, fu anche esattore delle tasse, un lavoro che gli procurò non pochi nemici.
Vero o falso che fosse, accusato di essersi appropriato di denaro pubblico, dopo qualche tempo finì in galera a Siviglia. Non fu un gran male. E’ infatti proprio nelle carceri andaluse che iniziò a ideare il suo capolavoro: Don Chisciotte della Mancha.
L’amico Tomaso Gutierrez, oste, attore e mentore di Cervantes, spregiudicato al punto di introdursi in quello strano carcere di Siviglia, gli mise in mano una bottiglia di vino ed alcuni fogli per una supplica al signor Presidente della Real Camera Suprema Amministrativa. Quella detenzione per debiti non poteva durare a lungo, aveva detto.
La sera stessa don Miguel, in un fiorir di svolazzi, con la penna d’oca fornitagli dall’amico, iniziò a tracciare la richiesta di grazia. Ma non andò oltre. Se l’avessero accolta, se le porte del carcere gli si fossero aperte, cosa avrebbe fatto da solo, monco, povero, ammalato, per le strade di Siviglia?
Si guardò intorno e vide uno specchio di latta appoggiato alle pareti luride della cella. Vi scorse un uomo con una barbetta a punta, i baffi spioventi, appena qualche dente tentennante in bocca. Lo specchio allungava i lineamenti, rimandandogli una immagine ancora più ridicola.
Su quegli stessi fogli destinati alla supplica, tracciò il suo proprio ritratto immaginandosi in sella ad ronzino scheletrico, con le lunghe gambe che strascinavano per terra. Il bastone che utilizzava per potersi muovere divenne una lancia, i quattro cenci che aveva addosso, un’ armatura. Poi iniziò a ripensare al suo passato e si accorse che quell’autoritratto di un cavaliere precipitato in una galera andalusa non era l’immagine di un eroe, ma quella di un vecchio acciaccato perseguitato da fantasmi svaniti.
Era quella la storia che doveva raccontare.
Iniziò ad andare su e giù pensieroso per la cella. Prese la penna. Avvicinò il foglio che aveva già vergato con l’indirizzo del Presidente destinatario della supplica. Poi cominciò a scrivere: “In un borgo della Mancha di cui non voglio ricordarmi il nome, non molto tempo fa viveva un gentiluomo…”
Con il ritratto di quel sublime invasato, stava nascendo il romanzo moderno.
Avvocato e giornalista, coltivo un’antica passione per l’America Latina e l’Europa Orientale. Ma resto comunque convinto che non esista un paese che non valga la pena di essere visitato. E mi sono regolato di conseguenza. Siccome arriva sempre il momento in cui ti rendi conto di sapere meno di quanto pensi, mi sono rimesso a studiare e quelle quattro cose che so ho deciso di spacciarle su Deep Hinterland. Senza pretese che esse siano risolutive dei dubbi di chi legge, anche perché penso che ognuno farebbe bene a tenersi stretti tutti i suoi affanni. Alla fine, sono convinto, tornano sempre utili.