Sono più di 10 anni che sentiamo parlare di invasione ed Eurabia e invece di avere una distopia teocratica abbiamo neofascisti che inventano nuovi crimini mascherati da DL sicurezza. L’orda musulmana alle porte, pronta a instaurare la Sharia e a trasformare il Bel Paese in una teocrazia, non è ancora arrivata. E dire che di tempo ne ha avuto.
Che difficilmente arriverà davvero ormai è chiaro a chiunque non abbia la testa infilata in una vignetta di Marione Improta (lol, mi sono appena ricordato dell’esistenza di Marione, quanti ricordi) e queste voci allarmate e le loro generalizzazioni un tanto al chilo fanno da sempre i conti senza aver finito le medie – ovvero, senza un’analisi seria dei numeri e delle reali dinamiche sociali.

Ovviamente qui non si tratta di minimizzare un fenomeno storico di ampia portata, quello lo fanno in genere gli stessi che parlano di invasioni quando invece gli chiedi di discutere di femminicidi, ma di mettere due numeri in croce. L’obiettivo? Dare un contesto reale alla crescita della popolazione musulmana in Italia, valutandone le implicazioni per disinnescare un po’ del boomer panic (inteso in senso culturale, non anagrafico), su cui certa politica italiana (e tanta stampa al seguito) si diverte a fare grifting da che ne ho memoria.
I numeri che parlano chiaro
Non c’è dubbio, i musulmani in Italia sono aumentati negli ultimi decenni. Se all’inizio del millennio parlavamo di circa 488.300 stranieri musulmani regolari, oggi le cifre sono diverse. Il Pew Research Center ci dice che nel 2010 eravamo al 3,7% della popolazione, saliti al 4,9% nel 2020 (circa 2,7 milioni, tra italiani e stranieri). Stime più recenti della Fondazione ISMU (luglio 2024) parlano di circa 1,6 milioni. Ma attenzione: queste cifre sembrano concentrarsi sugli stranieri residenti, quindi il confronto diretto è azzardato.
Il dato rilevante? La crescente quota di cittadini italiani nel segmento demografico nel conteggio totale dei musulmani in Italia. Dal 31% di non strarieri nel 2010 siamo passati al 47% nel 2020 (lo ripeto: in quel segmento demografico, non in riferimento all’intera popolazione italiana, ma solo a quella residente di religione musulmana). È l’effetto combinato delle naturalizzazioni (circa 460.000 tra il 2002 e il 2016, come evidenziano alcune analisi demografiche) e, sempre più, delle nuove generazioni nate qui. Questo sposta l’intera faccenda: non si parla più solo “immigrazione”, ma di una dinamica interna alla nostra società.

Certo, l’immigrazione da Paesi storicamente musulmani e il saldo naturale contribuiscono. Ma i nuovi flussi migratori non stanno stravolgendo la composizione religiosa, e le conversioni all’Islam, per quanto se ne parli, restano una nicchia (circa 60-70.000 persone, stando a dati sulla comunità islamica).
Anno | Totale musulmani stimati | Cittadini italiani musulmani | Residenti stranieri musulmani | Fonte |
---|---|---|---|---|
1995 | ~700.000 | 40.000–50.000 | ~650.000 | Treccani (2003) |
2007 | ~1.200.000 | ~67.000 | ~1.133.000 | Wikipedia (cit. CESNUR 2007) |
2011 | ~1.500.000 | ~90.000 | ~1.410.000 | Caritas/Migrantes 2011 (via Nelfuturo) |
2016 | 2.520.000–2.900.000 | ~1.270.000 | ~1.250.000–1.630.000 | ISMU / Pew (via Neodemos 2018) |
2020 | ~2.700.000 | ~1.220.000 (circa 45%) | ~1.480.000 (circa 55%) | Openpolis (dati 2020/2021) |
E per il futuro? Stando al Pew Research Center, nel 2050 i musulmani in Italia resteranno una minoranza, intorno al 10% o poco più (circa 5 milioni) a meno di impennate di flussi migratori delle quali non abbiamo segnali tangibili, se non nelle grafiche fatte (male) con l’IA della Lega.
Anche immaginando scenari di immigrazione massiccia e costante, non si arriverebbe mai a una maggioranza musulmana in Europa entro metà secolo. Le proiezioni da fine del mondo, tipo quelle che vedono l’Italia a maggioranza musulmana nel 2100 (rilanciate con dubbio gusto da certa stampa), si basano su calcoli davvero un po’ troppo allegri, ignorando fattori cruciali. E ricordiamolo: le previsioni a lungo raggio sono, per definizione, un terno al lotto anche per chi di modelli matematici ne capisce davvero qualcosa. Figuriamoci per Sallusti.

Non solo cifre: i veri freni culturali e sociali
Ma attenzione, fare 2+2 con i tassi di crescita, anche se bassi sarebbe riduttivo. Ci sono potenti dinamiche socio-demografiche, interne alle stesse comunità musulmane, che remano contro scenari apocalittici. Innanzitutto c’è la secolarizzazione, quel processo per cui la religione diventa una faccenda sempre più personale e meno istituzionale. Tocca anche i musulmani in Italia, specie i più giovani. Molti di loro si allontanano dall'”Islam dei padri”, legato alle tradizioni del Paese d’origine, per cercare una fede più intima, riflessiva, un “Islam all’italiana“, che dialoghi con la società in cui vivono. Se la fede diventa una scelta individuale, è difficile che si trasformi in una forza politica pronta a imporre un nuovo ordine.
Poi non facciamoci ingannare: l’Islam non è un monolite. Anzi, è un mosaico incredibilmente sfaccettato. Ci sono diverse scuole di pensiero giuridico-religioso, minoranze sciite, confraternite spirituali (Sufi), per non parlare delle differenze culturali legate ai Paesi d’origine (Marocco, Albania, Bangladesh, Egitto, e chi più ne ha più ne metta). Questa eterogeneità si riflette in una miriade di associazioni islamiche (UCOII, COREIS, CICI, CII, ecc.), spesso in disaccordo su interpretazioni e metodi. Persino l’Iraq sunnita di Saddam Hussein aveva un certo margine di libertà religiosa. Il suo numero due ad esempio, Tariq Aziz, era cattolico caldeo. Immaginare che questo arcipelago di voci possa unirsi compatto per instaurare un califfato è, francamente, un esercizio di scrittura fantasy molto pigra.

La Costituzione questa sconosciuta
E non dimentichiamo la Costituzione, che finora è riuscita a prevenire persino le intenzioni peggiori di alcuni italianissimi governi passati e presenti. Il cuore della carta, oltre il lavoro, è il principio supremo di laicità dello Stato, scolpito nero su bianco anche dalla Corte Costituzionale fin dal lontano 1989. Laicità, per capirci, non significa che lo Stato sia ateo o nemico delle religioni. Significa che garantisce a tutti la libertà di credere (o non credere), mantenendosi neutrale e imparziale. Un concetto agli antipodi di qualsiasi teocrazia.
Certo, gli articoli 8 e 19 della Costituzione garantiscono ampia libertà religiosa, ma mettono anche dei paletti chiari: nessuna organizzazione religiosa può andare contro le leggi italiane e nessun rito può offendere il buon costume. Tradotto: pratiche come la poligamia, punizioni corporali o una radicale disuguaglianza di genere, seppur previste da alcune interpretazioni estreme della Sharia, qui non passano. La nostra giurisprudenza, inoltre, ha sempre usato il concetto di “ordine pubblico internazionale” come filtro, sbarrando la strada a norme e istituti giuridici che cozzino contro il nostro stato di diritto.

Valori come la sovranità che appartiene al popolo (articolo 1), l’uguaglianza di tutti i cittadini (articolo 3) e i diritti inviolabili della persona (articolo 2) sono il DNA della nostra Repubblica. Imporre una teocrazia significherebbe stracciare la Costituzione, un atto che va ben oltre una semplice riforma. E a proposito di riforma: il nostro ordinamento non è un Far West (anche se in genere piace crederlo proprio a chi urla contro il nemico islamista). Non esiste che una minoranza possa imporre uno stravolgimento costituzionale in modo legale. Le regole per cambiare la Costituzione, fissate dall’articolo 138, sono piuttosto dure, richiedono maggioranze parlamentari schiaccianti e, in alcuni casi, il sigillo del voto popolare, quello di tutti i cittadini. Una maggioranza reale quindi.
E mi rendo conto che in un paese dove l’ultimo governo sta emanando leggi incostituzionali con solo 12 milioni di voti alle ultime politiche sia uno scenario che crea confusione su cosa sia una maggioranza reale, ma la Costituzione neanche la Meloni e i suoi hanno pensato solo per un attimo di toccarla, numeri alla mano (anche se posso immaginare Lollobrigida e Valditara essere abbastanza stupidi da crederlo). Da qui alla Sottomissione di Houellebecq, ci siamo capiti, c’è una distanza siderale.

Non dimentichiamo poi il “Patto Nazionale per un Islam Italiano” del 2017. Siglato dal Ministero dell’Interno con alcune delle principali organizzazioni islamiche, non è ancora la famosa Intesa (che l’Islam italiano, a differenza di altre confessioni, attende ancora), ma è un passo importante. Impegna i firmatari alla trasparenza, a formare imam che conoscano lingua e cultura italiana, a rinnegare l radicalismo e a rispettare leggi e diritti fondamentali, parità di genere inclusa. Un segnale di dialogo e integrazione, non di guerra santa.
L’islamizzazione? Una comoda arma di distrazione di massa (tanto per cambiare)
Sgombriamo il campo da equivoci quindi: l’allarme “islamizzazione”, con annesso spettro teocratico, è una vecchia, polverosa retorica reazionaria, un classico esempio di fearmongering, cioè l’inventare problemi spaventosi per offrire soluzioni in cambio di voti (sto semplificando, ma andate a ripescare quando Trump e Musk si sono inventati che i migranti haitiani stavano mangiando cani e gatti in USA per avere un esempio recente).
Questo tipo di narrazione tossica, che soffia sulla paura dell'”altro” e offre una visione deformata della realtà, ha uno scopo preciso: spostare i riflettori dai veri problemi del Paese, quelli concreti e spinosi di cui molta politica, specie in ambito liberal conservatore, è complice. Per incanalare il malcontento verso un nemico inventato, ma comodo. Agitare il fantasma della “sostituzione culturale” (teoria del complotto molto cara ai neonazisti, guarda tu le coincidenze) o della fine della civiltà occidentale per mano della Sharia è una scorciatoia dialettica che, storicamente, paga in termini di consenso facile e polarizzazione.

Chi cavalca queste teorie fa finta di non vedere tutti gli argomenti di cui abbiamo parlato finora. O semplicemente certe cose le ignora, perché non ha bisogno di conoscere a fondo l’argomento. Gli basta gridare “al lupo, al lupo, arriva la Sharia!”. È un’esagerazione grottesca, smentita dai fatti, ma terribilmente efficace per chi vuole seminare paura e costruire barricate ideologiche su cui ergersi a leader.
È il manuale base della propaganda: trasforma questioni complesse in slogan da bar, tanto semplici quanto semplificatori, se non proprio falsi nella loro interezza, e trasforma una minoranza in un nemico disumanizzato (vi ricorda qualcosa?). Tutto questo per spostare l’attenzione da problemi molto più legati al benessere dei cittadini, tipo il crescente impoverimento di middle e working class a tutto vantaggio di ricchi e super ricchi. Cioè quelli che a questa gente pagano le campagne elettorali o fanno donazioni a fondazioni create ad hoc con cifre che nessuno di noi ha mai visto in vita sua.
L’economista britannico Gary Stevenson, diverso tempo fa, in una intervista dichiarò: “se i ricchi sapessero che la propaganda anti-migranti è il miglior modo per nascondere quello che stanno facendo alle classi subalterne spenderebbero molti soldi per finanziarla”.
Se ne sono decisamente accorti. E certe destre sono come al solito, libri di Storia alla mano, il loro braccio armato. E ricordiamo anche che l’islamofobia fa molto gioco a certi Atlantisti con l’agenda colonialista USA/Israele in tasca (letteralmente), al punto che anche la destra russofila se ne è accorta, ma quello è un discorso che affronterò in separata sede.

Niente panico: nessun califfato in vista sotto il Cupolone
Tirando le somme di questa analisi, che ha toccato demografia, società, cultura e diritto, una cosa emerge con chiarezza cristallina: l’idea di una teocrazia islamica pronta a sorgere in Italia appartiene al regno della pura propaganda politica, non a quello della realtà.
Ricapitoliamo i perché, nero su bianco:
- I numeri non tornano: La popolazione musulmana cresce, sì, ma non abbastanza da diventare maggioranza e imporre alcunché anche se ce ne fosse una vaga intenzione.
- Un Islam plurale e in evoluzione: L’Islam è un mondo sfaccettato e ricco di tradizioni divergenti che non si possono sminuire, sempre più vissuto in chiave personale e meno dogmatica, specie dai giovani. Come accade per tutte le religioni.
- La Costituzione: Laicità dello Stato, sovranità popolare, uguaglianza, diritti inviolabili. Sono principi talmente radicati da rendere impraticabile qualsiasi svolta teocratica senza uno stravolgimento totale che nessuno vuole (e nessuno potrebbe imporre).
- Occhio alla propaganda: Le sirene dell’ “islamizzazione” servono spesso solo a creare panico e a distrarre, ignorando bellamente i fatti.

Insomma, una cosa è la presenza, anche significativa e in lenta crescita, di una comunità religiosa; un’altra, completamente diversa, è la sua presunta capacità o volontà di sovvertire l’ordine democratico. Le chiacchiere allarmistiche stanno a zero di fronte a un’analisi scevra da qualunque malafede o agenda. L’Italia, con i suoi anticorpi culturali e costituzionali, è ben lontana dal trasformarsi in un emirato. Anche perché, da parte delle comunità migranti, detto molto chiaramente e in base a tutti i dati oggettivi che abbiamo a disposizione, quell’obiettivo non sembra proprio esserci.
A conti fatti, più che una Sharia tricolore, quello che rischiamo davvero è di perdere il senso critico sotto il peso della propaganda. E questa, sì, sarebbe una distopia tutta italiana.

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