Negli ultimissimi anni, dopo un lungo ed (a tratti) estenuante dominio del fenomeno dei cinecomics, l’industria audiovisiva americana sembra stia virando il suo sguardo verso i media videoludici. Il successo della serie The Last of Us, il futuro arrivo della serie Amazon Prime tratta dalla saga di Fallout, l’adattamento di Sonic e Detective Pikachu, ma soprattutto il prossimo film animato dedicato a Super Mario con Chris Pratt nella part dell’idraulico più famoso del mondo e Jack Black in quello della sua arcinemesi Bowser, riaprono una nuova stagione dei film tratti da un videogioco.
Ma, a differenza degli anni passati, oggi i processi produttivi sembrano dotati di una maggiore consapevolezza verso il processo di traduzione da un media ad un altro. Questo è avvenuto in parte per via del fatto che lo stesso mondo dei videogiochi si è avvicinato, nel tempo, verso il cinema, ma anche a causa della maggiore importanza che è venuto ad avere il linguaggio videoludico all’interno della cultura pop tutta.
Detto questo, la mania degli americani di adattare i videogiochi in prodotti cinematografici non è ovviamente una cosa recente. Per scorgerne gli albori dobbiamo giungere all’ormai lontano 1993 e fare i conti con Super Mario Bros, il primo adattamento del platform della Nintendo a cura di Rocky Morton e Annabell Jankel.
Noto ancora oggi come uno (s)cult (ovvero un film che è talmente una ciofeca da diventare oggetto di culto fra gli appassionati), contiene al suo interno, però, punti di interesse, soprattutto per quanto riguarda l’approccio adottato alla traduzione. Essendo il medium videoludico formalmente molto differente da quello cinematografico, infatti, i registi scelsero solo vagamente di ispirarsi al concept del gioco.
La nota missione di salvataggio della principessa Peach diventava nel film un racconto dalle forte tinte cyberpunk, dove i due fratelli Mario vengono prima calati nel contesto reale di Brookline, dove esercitano la professione di idraulici, per poi giungere in un mondo distopico che a tratti ricorda quello di Blade Runner. Il nemico dei due italoamericani è Bowser, una tartaruga nel videogioco originale che però diventa un rettile senziente nel film, intenzionato a riportare al potere una razza di dinosauri in via di estinzione.
Per via di tutti questi cambiamenti, nel film si perdono ovviamente tutti i colori e le tonalità da cartoon che caratterizzavano la saga videoludica di riferimento. Ma qua e là spuntano ogni tanto riferimenti e citazioni: dal dinosauro Yoshi alla Bob-omba. Il cast è d’eccezione, con Bob Hoskins e Dennis Hopper nei panni di Mario e Bowser, i quali però anni dopo dichiararono entrambi di essersi pentiti di aver accettato quei ruoli.
Il Super Mario del 1993 si rivelò in tutto e per tutto un flop, tra situazioni assurde ed estetiche camp, ma proprio in virtù dell’esser stato un progetto storto ed assurdo, con il tempo, si guadagnò il titolo di cult. Nella sua assurdità, c’è inoltre da dire, il film capiva già la profonda distanza che intercorre, da sempre, tra videogiochi e cinema. In virtù di questo, seppur dalla forma sghemba, questo film già aveva in sè una consapevolezza traduttiva.
Tradurre un prodotto mediatico nei termini di un altro medium non significa riportare filologicamente la sua materia di origine, ma adattarlo e vivisezionarlo, coglierne il cuore e trarne ispirazione. Per citare una famosa frase di Jodorowksy, partorita durante la scrittura del suo defunto Dune, “il miglior adattamento è sempre figlio di uno stupro”.
Ed infatti proprio in virtù della sua natura di cult e della fama acquisita negli anni, il nuovo film animato di Super Mario sembrerebbe proprio ripartire da un riadattamento profondo dei tropi narrativi che hanno caratterizzato i videogiochi da cui è tratto.
Seppur con maggiore consapevolezza e rispetto versa l’opera originale, anche il nuovo Super Mario infatti si fonda sulla storia di due idraulici che da un modo come il nostro giungono in un mondo fantastico. Quindi anche nel nuovo film tutto parte dalla costruzione di un nuovo contesto, di un nuovo mondo, consci dell’utilizzo di un altro linguaggio e consapevoli che, diversamente dal videogioco, questo lungometraggio animato sarà fruito dallo sguardo passivo, e non interattivo, degli spettatori.
Frequento l’ultimo anno di DAMS a Palermo, dopo aver concluso un percorso all’accademia di cinema Griffith, a Roma.
Studio da tempo la cultura pop e le sue, svariate, manifestazioni. Su di queste ho organizzato pure 3 seminari all’Università di Palermo.
La mia rubrica approfondirà le dinamiche e i linguaggi dell’arte popolare, con particolare attenzione a come, oggi, questi vengano percepiti dai nuovi media e le nuove generazioni.