Ma che bel cancello: gatekeeping reazionario ed egemonia mediatica

In un mio recente articolo pubblicato proprio qui su Deep Hinterland, ero partito dal caso della preside di Tallahassee, in Florida, licenziata per aver mostrato il David di Michelangelo ai suoi studenti per parlare dell’egemonia culturale conservatrice negli USA, e di come in Italia la narrativa su questi eventi fosse stata completamente ribaltata in ottica anti-progressista e anti-woke, con una certa complicità – volontaria o meno – anche di figure “di sinistra”.

Facevo quindi notare che questo ribaltamento di significato fosse organico ad alimentare tutta una serie di idee spauracchio come la dittatura del politicamente corretto, nonché narrative tossiche e/o fallaci come la cancel culture, sulle quali costruire slogan utili per attaccare posizioni poco gradite, spesso raccontandole in maniera fantasiosa, o per fare muro contro istanze incompatibili con il proprio frame ideologico.

Che questo tipo di tecniche narrative siano organiche ad un certo tipo di propaganda politica – partendo dal già citato uso che i conservatori USA ne fanno da 40 anni – è anche troppo evidente (qui un parallelismo tra le già citate J.K. Rowling e l’attivista anti gay anni ’70 Anita Bryant).

Tornando in Italia, per esempio, il social media manager della Meloni, Tommaso Longobardi, ha fatto della lotta al politicamente corretto il suo mantra almeno da inizio 2022 ma gli esponenti più vocali del suo partito avevano già intrapreso questa direzione da un’abbondante anno prima.

Lo so cosa state pensando ma niente face shaming per favore

Questo fenomeno  e la sua applicazione in ottica di derubricazione del dissenso, lo abbiamo visto di recente, quando vari bootliker governativi e vecchi arnesi post-fascisti si sonno messi ad urlare alla cancel culture non appena Bersani ha fatto notare come non fosse il caso di tenere foto di Mussolini nei palazzi di governo. Ad usare il termine “cancel culture” per primo in quel caso era stato Ignazio La Russa, uno che colleziona memorabilia di un dittatore che uccideva gli oppositori e mandava la gente nei forni e che fa revisionismo storico sul nazismo un giorno sì e l’altro pure

È la classica argomentazione di retroguardia, simile ai famigerati crimini dei partigiani che vengono richiamati a ogni 25 aprile (ci siamo vicini), oppure ogni volta che si parla di Fosse Ardeatine. L’abbiamo visto proprio di recente, con una operazione di revisionismo sovranista sull’accaduto, ad opera del nostro governo e basata interamente sull’uso di un certo vocabolario specifico.

Ma la cosa sembra andare più a fondo di così.

Potrebbe non essere un caso, in effetti, che la comunicazione post-fascista si sia mossa in questa direzione durante l’avvicinamento tra Fratelli d’Italia e Donald Trump (ci arriviamo in un secondo) o che il picco di diffusione di questa narrativa in Italia stia avvenendo proprio ora: un momento storico in cui la propaganda russa è al massimo, specie su outlet politici legati a doppio filo a posizioni putiniane (tanto per capirci, Fratelli d’italia era un partito graniticamente pro-Russia prima della sua recente giravolta governista pro-Ucraina). Neanche un anno fa, infatti, si scriveva delle manovre nostrane dell’oligarca Konstantin Malofeev (quello accusato di inviare soldi alla Lega tramite Savoini) e di come egli si stesse muovendo insieme a Steve Bannon (ex spin doctor di Trump ed altra figura tendenzialmente filo-Putiniana, anche se tanti atlantisti oggi fanno finta di non ricordarsene[1]) proprio allo scopo di diffondere ulteriormente le narrative tossiche su politicamente corretto e cancel culture.

Ci chiedevamo quindi quand’è che anche la sinistra reazionaria – composta perlopiù da nostalgici URSS convinti che Putin sia comunista – sarebbe entrata in quel gioco. Oggi sappiamo la risposta: ci sono arrivati in meno di un anno. Ben prima del già citato Giuseppe Conte, ha aperto la strada in quell’ambito il post-stalinista Marco Rizzo ed i rossobruni di testate come La Fionda.

A Putin bloccare le istanze progressiste ha sempre fatto comodo per facilitare l’ascesa delle destre più o meno estreme in occidente, che con lui hanno costantemente avuto un rapporto privilegiato (le prime notizie solide sono del 2015, ma a scavare si va ancora più indietro). Da Trump ai filorussi italiani è stato un percorso organico.

Se servissero pezze d’appoggio

L’ombra di Trump[2] e la sua strana aderenza agli interessi di Putin in questa storia, per altro, non è soltanto utile a farci notare ancora una volta l’organicità tra narrative reazionarie occidentali e propaganda russa (curiosamente parecchio rilevante proprio nel contesto dello scandalo Cambridge Analytica che ha caratterizzato l’elezione dell’ormai ex Presidente degli Stati Uniti[3]), ma è correlata ad un caso ancor più legato alla percezione delle narrative anti-woke da parte dell’opinione pubblica.

Sto parlando della causa per diffamazione intentata alla Fox News di Rupert Murdoch da Dominion, il gestore delle macchine per il voto elettronico utilizzate nell’ultima elezione presidenziale USA, dove Trump è stato sconfitto da Joe Biden.

Secondo l’accusa, gli outlet conservatori di Murdoch (sodale dell’ex Presidente e repubblicano della prima ora, non c’è bisogno di dirlo) avrebbero costruito un sistema di disinformazione e manipolazione mediatica talmente strutturato da convincere realmente la popolazione che le elezioni erano state truccate (ricordo qualche povero fesso che ci credeva anche qui in Italia, prima di diventare, manco a dirlo, filo-putiniano). Ciò che ne è venuto fuori è un dossier di più di un milione di pagine, che potrebbe potenzialmente mettere in ginocchio il media mogul australiano[4]. Ora, indovinate un po’ chi è stato il principale megafono mediatico delle retoriche anti-woke e dei pericoli della cancel culture in Occidente? Bravi: proprio Fox News. 

Ricordiamo ancora il caso del “Bacio di biancaneve”. Un articolo pubblicato su di un sito locale di San Francisco e retwittato un centinaio di volte al massimo definiva l’omonima giostra dedicata a Biancaneve presso il parco di Disneyland come “controversa.” Ebbene, questo semplice articoletto d’opinione era finito nei titoli dell’emittente di Murdoch, che lo descriveva come se si fosse trattato uno scandalo di scala nazionale, con tanto di manifestazioni di piazza (inesistenti!) che chiedevano la chiusura del famoso parco giochi. 

Seriamente

Ovviamente non era vero quasi niente. E, neanche a dirlo, qui in Italia era stato rilanciato da tutti. Non dico senza uno straccio di fact checking, ma senza neanche badare alla correttezza delle traduzioni, un po’ come l’intervista a Jennifer Aniston di cui ho già scritto qualche giorno fa.

Ma il punto è che un apparato mediatico così strutturato può costruire delle narrative fasulle e farle passare come credibili un un’ampia fascia di popolazione, specie in demografiche meno dotate di strumenti per riconoscere la propaganda. Così come si è riusciti a convincere qualcuno che le elezioni USA del 2020 siano state truccate, allo stesso modo lo si può persuadere che i woke cattivi vogliano distruggere il suo sistema di valori, rimuovere i libri, film o serie TV con cui è cresciuto, sostituire i bianchi con non bianchi oppure cambiare forzosamente il sesso dei suoi figli (di complotto gender avrete già sentito parlare).

Intanto nel mondo reale, negli USA, oltre ai consueti ban di libri a tematica queer di cui parlavo qui, passa una legge anti drag queen. In molte biblioteche pubbliche non si trovano i libri di Harry Potter non perché l’autrice J.K. Rowling sia transfobica, ma perché vengono considerati blasfemi da alcune comunità. In almeno una decina di Stati americani il diritto all’aborto è di fatto negato e la già citata Florida è un buco nero per i diritti civili.

Negli UK, nel frattempo, si rimuove dai palinsesti un episodio dell’ultimo documentario di David Attenborough perché considerato troppo ecologista (il Guardian parla di “fear of rightwing backlash”) e si licenzia il commentatore sportivo Gary Lineker perché critica le politiche migratorie del governo conservatore.

In Italia, il governo attuale sta letteralmente facendo guerra a giornalisti e intellettuali a suon di querele[5], si fanno leggi contro gli attivisti climatici e viene dichiarato di voler moderare la crescita salariale (nell’unico paese europeo dove i salari sono già calati negli ultimi 30 anni, seriamente). Si può andare in prima serata su Canale 5 a dire che è lecito insultare la gente per motivi razziali o di genere se lo si fa solo per scherzare, anche se per qualche motivo battute sulla religione non se ne possono fare mai. Ci siamo appena presi una reprimenda del Parlamento Europeo per discriminazioni contro le famiglie arcobaleno in relazione ai recenti fatti di Milano[6], mentre il canale ufficiale Youtube di Disney Channel, solo in Italia, ha dovuto disattivare i commenti per il trailer della nuova versione live action de La Sirenetta a causa del numero di commenti razzisti riguardo al casting di un attrice afroamericana (ripeto, solo per l’Italia, se invece cercate la versione del trailer in lingua originale vedrete che non è stata necessaria alcuna moderazione della community).

Ma tu guarda

Ogni singolo avvenimento tra quelli appena citati ha una matrice evidente che va dal conservatorismo reazionario all’estremismo religioso, col frame ideologico comune dell’estrema destra a fare da cerniera, nazionalista e xenofoba. Esattamente come nella Florida del David.

Di cancellazioni reali ad opera della mob woke al contrario non se ne vedono granché nonostante le continue alzate di scudi. Solo per citare alcuni casi: la succitata Rowling, su cui oltre la certezza della transfobia ci sono anche sospetti di antisemitismo, continua a lucrare sull’i.p. di Harry Potter senza problemi. E’ infatti stato recentemente stato lanciato un videogame ispirato al franchise e si sta anche parlando di reboot TV della saga. Inoltre, nessuno ha impedito che venissero tradotti in serie TV anche i suoi romanzi con elementi più marcatamente transfobici, tipo i libri di Cormoran Strike.

Ezra Miller continua ad essere il Flash dell’universo cinematografico DC Comics con una serie di indagini pendenti lunga quanto un braccio che vanno dall’aggressione ai rapporti con minori, nonostante le legittime proteste dei fan. 

Joe Rogan ha un podcast su Spotify con 14 milioni di iscritti e le sue opinioni transfobiche e reazionarie sono note. Durante la pandemia da covid-19 aveva posizioni no-vax al punto da promuovere l’uso dell’ivermectina (che, ricordiamolo, è tossica per gli umani). Nessuno si è azzardato a toccarlo. Il suo contratto con la piattaforma è, al contrario, il più lucrativo in assoluto nella storia dei podcast.

Bobby Kotick, ovvero l’uomo che ha insabbiato (e secondo alcuni anche facilitato) per anni la rape culture dentro Activision Blizzard, ha subito zero conseguenze per le sue azioni e continua a macinare soldi tramite un’azienda che ha letteralmente distrutto la vita a un numero imprecisato di dipendenti donne (se vi siete persi questa storia fatevi un favore e recuperatela).

Kanye West ha detto pubblicamente cose aberranti, dal proclamarsi fan di Hitler fino ad affermare che la schiavitù negli USA fosse stata una “scelta” da parte degli stessi schiavi. Sì, ha ha perso qualche contratto con gli sponsor e lo hanno preso in giro anche i fan, ma il suo faccione da babbeo spunta fuori comunque di continuo su tutti i media.

Andrew Tate, influencer/podcaster reazionario e misogino, recentemente arrestato in Romania per violenza sessuale, era stato bannato da Meta e Tiktok per dei video in cui giustificava la violenza sulle donne (i suoi fan hanno ovviamente urlato alla cancel culture anche lì, come per ). Ma i suoi contenuti continuano ad essere virali tramite account di fan o di sue società secondarie. La sua presenza in rete non si è ridotta di un microgrammo e si è preso l’endorsement pubblico del campione dei pesi medi UFC, Israel Adesanya (e il CEO Dana White dichiarava: “We don’t do anything ‘woke’ over here”).

E questi sono le personalità ampiamente riconosciute come tossiche. Andando invece nel sacro mondo della satira troviamo gente come Bill Burr (uno dei miei comici preferiti, per la cronaca, al netto del boomerismo), che va sul palco a fare battute terribili su donne e trans (atleti in particolare) e sulla cultura woke in generale ma continua ad avere una presenza televisiva invidiabile. Collabora infatti con la Disney (è apparso in due episodi di The Mandalorian) e con tutta una serie di autori di ambito progresissta (neanche un anno fa è stato guest in Reservation Dogs di Taika Waititi). 

Oppure Jimmy Carr, che è stato capace di fare battute live del tipo “Nessuno parla della persecuzione degli zingari durante l’olocausto perché a nessuno piace parlare dei lati positivi di quel periodo”. E la sua carriera vola, con presenze televisive fisse e con i suoi video che diventano reel o tiktok con una viralità invidiabile. Per non parlare di Dave Chappelle che continua a lavorare tranquillamente nonostante i suoi stand-up dichiaratamente trans-escludenti

Entrambe le liste potrebbero proseguire.

Per molti di questi personaggi troverete in giro titoloni del tipo “La cancel culture con [tizio] ha fallito”, che sembrano ignorare il fatto che la cosiddetta cancel culture sembri aver fallito con tutti, sempre. Sembrerebbe quasi che non ci sia in giro tutta quella egemonia culturale della sinistra woke che ci vogliono raccontare. 

Perché, seriamente: su chi si sarebbe abbattuta ‘sta benedetta cancel culture?

Quando si chiedono esempi di cancellazione reale a quei tipi di personaggi che si sono reinventati gatekeeper contro i woke cattivi, saltano fuori sempre esempi come quello delle statue degli schiavisti da parte del movimento Black Lives Matter (specialmente dopo l’omicidio di George Floyd). Queste però hanno avuto molto più a che fare con le tensioni razziali sistemiche negli USA e negli UK e con un pessimo rapporto tra certe comunità ed il loro passato (immaginate una statua di Priebke vicino le Fosse Ardeatine), che con una volontà di cancellazione della storia (che non c’è stata, come non c’è stata quando sono state abbattute le statue di Lenin nei paesi ex-URSS, e mi pare che in quel caso nessuno si sia lamentato).

Oppure qualcuno parla di proteste borderline da parte di qualche gruppo isolato di studenti contro un determinato autore che non gli aggrada e che, oltre a essere ben distanti dall’essere una culture, in molti casi sono bufale. Altri parlano delle riedizioni edulcorate dei libri di Roald Dahl o Agatha Christie, che non ha richiesto nessuno a parte il reparto marketing delle case editrici. A volte salta fuori il caso di Trump bannato da Twitter, che però è stato un episodio di autotutela della piattaforma contro i problemi legali[7] che potevano nascere dai tweet dell’allora già ex Presidente (non c’è bisogno di linkare la storia di Capitol Hill del 2021, vero?).

Oppure vengono ricordati, come ultima spiaggia, fatti del tutto scollegati dal concetto in sé, tipo la fine prematura delle carriere di personaggi come Kevin Spacey o Louis CK durante il picco del movimento #MeToo[8], i quali non hanno perso lavoro per posizioni controverse o idee politiche non gradite ai progressisti ma per comportamenti sessualmente preadtori verso i colleghi (il primo ha subito almeno un procedimento penale). Nessuno voleva lavorare più con loro perché erano persone sgradevoli, non perché la folla ha chiesto che venissero rimossi a causa delle loro opinioni (CK tra l’altro ha ripreso a fare stand-up dopo un paio di anni dai fatti e nel 2022 ha vinto un Grammy).

In uno dei casi più recenti, l’allontanamento della docente e filosofa Kathleen Stock all’Università del Sussex veniva spacciato come un procedimento motivato da posizioni transfobiche quando in realtà era la docente stessa ad essersi dimessa perché semplicemente ai suoi corsi non andava più nessuno e si era resa parecchio antipatica ai colleghi (lo ha dichiarato lei stessa al Guardian neanche un anno dopo). Stupefacente come una generazione cresciuta in mezzo alla diversità, etnica o di genere, non sia interessata alle lezioni di vecchi che gli dicono quanto questa diversità sia sbagliata, ah?

A badare bene molte delle richieste di cancellazione che vengono ascritte alla woke mob sui social sarebbero mere campagne di boicottaggio, prassi vecchie come il mondo, spesso ininfluenti. E trovo sempre stranissimo come queste istanze di una base verso un prodotto controverso (come nel recente caso del videogioco Hogwarts Legacy, che comunque ha venduto come il pane) diventino sempre cancel culture quando raccontate dai conservatori, mentre quando sono loro stessi a invocare boicottaggi a destra e a manca se ne parla come di liberalissimi diritti di critica (sulla distorsione dell’idea conservatrice di libertà torneremo rapidamente). Ma la doppia morale dei reazionari non è l’argomento di questo articolo.

Qui abbiamo Marco Gervasoni, docente universitario conservatore e maître à penser della destra twitteriana italica, che chiamava “uomo” Elly Schlein, grande fan di Meloni e Salvini, mentre invita in maniera molto liberale a boicottare l’Adidas per le posizioni pro lgbtq+

Argomento che è invece di una certa chiarezza, dopo tutti questi esempi, è quello che, tornando all’assunto iniziale, l’invenzione di spauracchi come la dittatura del politicamente corretto e la cancel culture da parte delle destre reazionarie (sulla cui rappresentazione nemmeno loro riescono a mettersi d’accordo) e il successivo inserimento forzoso nel vocabolario comune a suon di mass-media compiacenti, sembrerebbe servire a una cosa sola: derubricare e demonizzare i discorsi avversari. L’ha fatto esplicitamente anche lo stesso Putin (per tornare alla propaganda russa) quando ha denunciato le posizioni europee post invasione Ucraina, paragonandosi alla Rowling.

Cosa invece vorrebbero le istanze progressiste tanto osteggiare dalle destre mondiali? Semplicemente inclusione e diritti, in un mondo sempre più multietnico e dove le minoranze vedono la strada dell’emancipazione sbarrata da forbice sociale e impoverimento progressivo (che come abbiamo visto con il tetto ai salari, fa parte dell’idea programmatica della destra odierna), e dove il riconoscimento dell’autodeterminazione passa anche attraverso il linguaggio e la cultura.

Tutte cose da cui i conservatori sono terrorizzati per vari motivi. Le leggi, approvate o solo proposte nella Florida che copre il David o nel Tennessee anti-drag-queen (per non parlare dell’est Europa più filo russo), stanno là a testimoniarlo

Simili narrative sono strumenti utili a portare avanti agende politiche razziste ed omofobe spacciandole per libertà di espressione (nell’accezione libertaria del termine, ovvero una molto infantile, verticale e ultra-individualista legge del più forte) e spostare l’attenzione dalle censure vere che restano esclusiva di una parte specifica. È espansione di egemonia culturale, che passa attraverso un linguaggio connotativo (quindi contenente già un significato secondario, in questo caso peggiorativo) e il panico morale basato su fringe cases che vengono raccontati come sommovimenti popolari. Non sono neanche tecniche nuove, come scrivevo nella chiusa del mio precedente articolo. 

Sembra letteralmente una nuova versione di E allora le foibe? da tirare in faccia a qualunque istanza progressista (tipo, chessò, poter riconoscere entrambi i membri di una coppia come genitori del proprio figlio).

Con la differenza che nel caso della colonizzazione istriana in effetti una tragedia terribile c’era stata. Qui al massimo abbiamo un episodio di qualche vecchia sit-com che non viene più trasmesso per non ridurre gli ascolti dell’emittente (ma che un paio di mesi dopo sarà disponibile su qualche accessibilissima piattaforma di streaming).

E che tutto questo stia funzionando così bene proprio qui in Italia (ripetiamo che l’equivoco sul David di Michelangelo a Tallahassee è avvenuto perlopiù solo negli storytelling italiani), anche a sinistra (dai già citati reazionari post-stalinisti fino alle femministe radicali anti-trans, anti-GPA e anti intersezionali[9]), o che sia diventata una prassi nell’outrage marketing di vari guru della qualunque che infestano i social e nei clickbait anche dei sedicenti fact checker (come un recente imbarazzante articolo di Open sulla Cleoparta di Netflix), ci restituisce il quadro di un paese frammentato in gruppetti dipendenti dal bisogno di difendere il proprio orticello (dicesi sindrome da accerchiamento), dove i diritti acquisiti per sé, con le lotte del passato, invece di essere punto di partenza per ulteriore progresso diventano scudi contro quelli di chiunque altro. E poco importa se per difenderli bisogna mutuare metodi, linguaggi e narrazioni che normalmente si dovrebbe invece combattere.

E se ci pensate un attimo, anche solo tornando al discorso sulle famiglie arcobaleno, che secondo certe dichiarazioni toglierebbero diritti a quelle tradizionali (esattamente come?), la contrapposizione tra diritti è proprio quello di cui la destra da sempre riempie le proprie retoriche.

Chiedetevi ancora come mai questi ora sono alla guida del Paese.

Note
[1] Indovinate un po? Altro grande “difensore” dai pericoli della cancel culture e protagonista del momento in cui Giorgia Meloni ha avuto l’illuminazione repubblicana.
[2]Come figura, non come personalità politica, essendo lui fondamentalmente un pupazzo (link in italiano qui).
[3]
Incidentalmente è del 2017 un articolo su Medium in cui si analizzano i legami economici tra Robert Mercer (finanziatore di Trump che avrete scoperto se avete aperto il link precedente) e proprio Vladimir Putin.
[4]E sapete cos’altro è presente in abbondanza nei canali Fox? Esatto: la propaganda russa. Curioso, ah?
[5]
E questo, tra le altre cose, ci fa essere 58esimi al mondo nell’indice della libertà di stampa.
[6]Nella classifica europea dei paesi più lgbtq+ friendly siamo al 33esimo posto, addirittura sotto l’Ungheria di Orban.
[7]Le piattaforme sono parzialmente responsabili per i contenuti pubblicati, checché ne dicano le normative d’uso. Esiste una letteratura giuridica consistente in merito, ricordiamo il caso di Facebook per gli eventi Kenosha.
[8]Si era parlato di cancellazione anche per Harvey Weinstein e R. Kelly, gente su cui pesano condanne definitive per violenza sessuale.
[9]Che meriterebbero un discorso a parte anche solo per il loro essersi date il gomito con gli stessi liberal-conservatori che le vorrebbero chiuse in cucina durante le polemiche sul DDL Zan, ma non lo prenderò certo io.

 

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