Palagiano, il paese dal quale provengo e sul quale ho già scritto negli scorsi articoli pubblicati qui su Deep Hinterland, è un centro abitato di poco più di 16 mila persone, geograficamente insediato in quella che a me piace definire “l’ascella dello Ionio”. Il paese fa parte della provincia di Taranto, da cui dista poco meno di 40 km.
Ideologicamente inquadrato tra Pleasantville e gli anni Sessanta, Palagiano è un paese prevalentemente agricolo (io stessa sono figlia di braccianti), che vive le sue giornate all’insegna della campagna e, a tratti, del caporalato. L’economia agricola di Palagiano è estremamente settorializzata. Essa ruota intorno alle clementine, che puntano ad avere una denominazione di origine protetta non solo per il loro particolare sapore, ma anche perché il terreno in cui vengono piantate è l’unico del territorio pugliese capace di permetterne la coltivazione.
Purtroppo, però, Palagiano non gode di una fama imprenditoriale. Più persone hanno provato ad interrogarsi su questo aspetto e l’unica possibile risposta logica è che, a causa dell’Italsider (una realtà economica di cui parlerò più avanti in questo articolo), il paese non abbia avuto modo di fare questo switch e si sia creata una polarizzazione tra contadini e operai.
Nel 1950 lo Stato Italiano, utilizzando la cassa del Mezzogiorno, investì al Sud elargendo fondi per l’agricoltura attraverso la riforma fondiaria (Legge n. 841 del 21 ottobre 1950). Questa riforma prevedeva l’assegnazione di una ‘casa colonica’ con poderi grandi sei o massimo dieci ettari a chi: 1) stava soffrendo la fame, 2) subiva le tensioni sociali causate dal dopo guerra, e soprattutto 3) era più o meno informalmente disposto a iscriversi al partito della Democrazia Cristiana. Mio nonno, che era un assegnatario nell’agro di Conca d’Oro (la frazione di Palagiano dove si sono sviluppate tutte le Enteriforme), lo raccontava sempre con le lacrime agli occhi: per avere la campagna ha dovuto cancellarsi dal PCI ed iscriversi alla DC.
Lo scopo della riforma era quello di mettere a disposizione questi terreni, che in futuro sarebbero stati gestiti dai figli degli assegnatari e avrebbero dato vita ad un processo economico. Contemporaneamente, lo Stato Italiano ha anche investito in quello che ad oggi è considerato il siderurgico più importante d’Europa proprio nello stesso territorio. Insomma, avere un “tot” di ore lavorative, un salario garantito, assicurazioni su infortuni e malattie a vita, era sicuramente più allettante dell’incertezza campagnola; così i miei zii nel 1960, all’epoca ventenni, andarono a lavorare all’Italsider.
Questa sicurezza economica ha impedito di sviluppare quelle capacità creative tipiche imprenditoriali che, come il sociologo Schumpeter ci insegna, avrebbero permesso al paese di non essere oggi così ‘triste’ e poco capace di reinventarsi. Fatta questa premessa, che approfondiremo dopo per scoprire lo stato in cui versa Palagiano al giorno d’oggi, lascio immaginare al lettore cosa possa rappresentare un luogo del genere per l’immaginario occidentale odierno.
Tuttavia per cercare, come dicevo nello scorso articolo, di rendere più “leggera” l’atmosfera di Palagiano durante lo scorso periodo natalizio, in paese sono sbucate fuori tutte queste deliziose lucine colorate. Un bel giorno, mentre portavo la buonanima della mia cagnolina a fare i suoi bisogni, mi sono imbattuta in un albero di ulivo secolare. Piantato all’interno di una rotonda all’ingresso del paese, l’albero era ricoperto di luci. Queste hanno prontamente catturato la mia attenzione, cominciando a generare una molteplicità infinita di domande nella mia testa. Prima fra tutte: “Perché rendere bella una cosa che fondamentalmente è brutta?” La cosa fondamentalmente brutta è Palagiano, e anche se gli metti le lucine resta sempre brutta perché è la sua anima ad essere brutta.

A quel punto la mia curiosità era arrivata alle stelle, quindi volevo sapere quali altri punti del paese fossero illuminati a festa e come.
Noi pugliesi lo sappiamo bene che le luci creano un’atmosfera magica, rendendo tutto più bello. Basti pensare alla festa delle luminarie di Scorrano (La cosiddetta “Notte delle Luci”) o semplicemente alla sfilata 2020 di Dior a Lecce.
Ogni festa patronale pugliese, infatti, è caratterizzata da un gioco di luci pensato per quella determinata occasione, e se non ci sono le luci non si può dire che ci sia stato il Santo.
Infatti, la mancanza di luminarie nel mio paese durante quest’anno di pandemia è stata avvertita tanto. Tutti i rituali collegati alle festività religiose che sono mancati nel corso del 2020 hanno reso il soggetto Palagianese, in relazione al contesto, triste, e di fatto l’atmosfera che si respirava in era come l’ombra dell’esempio di Köhler nel libro di Tonino Griffero:
“Un’ombra vien gettata sul nostro ambiente, di riflesso, potremmo dire, cambia anche il nostro umore; un senso di freddo ci investe e la nostra mente sembra ottenebrata.”
Ed è proprio tenendo conto dell’esperienza della pandemia che alla maggior parte della popolazione di Palagiano non è dispiaciuto avere le luminarie natalizie. Ovviamente, ma questo solo perché siamo effettivamente gente molto brutta, alcuni hanno ricollegato la scritta “Xmas” adiacente al municipio al corpo fascista della marina militare Decima Massa, sbraitando ed inveendo contro l’amministrazione come solo su Facebook si può fare. Per comprendere cosa intendo “con brutta situazione atmosferica” mi aiuterò ancora una volta con una citazione da “Atmosferologia: estetica degli spazi emozionali” di Tonino Griffero.
Secondo l’autore: “le atmosfere sono sì sentimenti ma sentimenti anzitutto esterni, effusi in una (ancora imprecisata) dimensione spaziale e vincolati a situazioni” intese come “uno stato di cose molteplice e caotico, discriminabile da altri proprio grazie alla sua peculiare tonalità atmosferica. […] sono sentimenti spazializzati, cioè, la qualità spaziale di uno spazio vissuto, intendiamo qui lo spazio che esperiamo nel mondo della vita e rispetto al quale la geometria piana si rivela del tutto cieca. Incapace cioè di giustificare, ad esempio, l’ampiezza non solo metaforica del silenzio domenicale o l’angustia di un soggiorno ma anche, banalmente, per chi va e chi torna. Proprio questo senso extradimensionale […] porta alla luce una contrapposizione fondamentale: mentre lo spazio fisico fatto di luoghi e distanze misurabili gode di un’astratta uniformità lo spazio ‘vissuto’ rivendica un’assolutezza e irreversibilità legate al corpo-proprio e al nostro agire.”
Quindi, sempre in base all’autore, è possibile affermare che “sono gli spazi stessi a sviluppare una loro potenzialità, che può influire sui sentimenti. Questa potenzialità degli spazi [si può] chiamare atmosfera.” Avendo lo spazio una sua determinata tonalità emotiva, tanto come spazio interiore quanto come paesaggio, mi permetto di descrivere il mio usando le parole di Calvino in Lezioni Americane, come un “mondo di pietra”. Uno spazio che va incontro ad una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmia nessun aspetto della vita.
Come sostiene la sociologia urbana, lo spazio pubblico viene quindi identificato con un “vuoto” non ancora appropriato da nessuno e che va quindi riempito con le persone che conferiscono valore allo spazio che stanno riempiendo. Detto ciò, e pur vero che queste persone sono dotate di sentimenti, i quali a loro volta danno vita a situazioni atmosferiche ben definite. In questo senso, può risultare più chiaro per il lettore capire cosa intendo quando dico che l’anima di un paese come Palagiano può essere, come effettivamente è, molto brutta.
Rimane però una domanda: “perché cercare di rendere bella una cosa che è fondamentalmente brutta?”
Quando mi trovo invischiata in questa situazione atmosferica di Palagiano, mi sento trasformata in un individuo blasé (concetto introdotto dal sociologo Georg Simmel, il quale indica l’incapacità di reagire a sensazioni nuove con la dovuta energia) dalla “mente annebbiata.” Questa “mente annebbiata” è quella che Griffero dice essere l’espressione letterale della percezione atmosferica di un mondo rattrappito, nel quale ogni previsione diviene impossibile, nella cui grigia indifferenza ci si sente depressi e soli. Visto che in tali condizioni del mondo si sentono solo i suoni, si produce “un sentimento di irrealtà, di un fluttuare nello spazio vuoto”, anche perchè “quando siamo trasportati all’interno di una determinata impressione, non guardiamo verso di essa, ma semmai a partire da essa”.
Ed è da qui che provo a guardare cosa succede al mio corpo nel qui ed ora menre osservo le lucine di Palagiano. Secondo Sloterdijk, quando a prevalere sono sentimenti di noia e spensieratezza ci troviamo di fronte a delle “novità che stanno per verificarsi. Sono tracce precoci di transizione verso uno stato di sospensione dell’Essere, e verso un flusso temporale distaccato da ogni obiettivo fisso.” Questa noia è frutto della mancanza di input che pervade il mio paese.
Mi spiego meglio. Il paese versa in uno stato di degrado non indifferente. Soprattutto vedere che sono stati spesi molti soldi per illuminare dei luoghi che sono pieni di sporcizia di tutti i tipi, con un verde inesistente, strade dissestate e marciapiedi impraticabili porta una qualsiasi persona dotata di giudizio critico a chiedersi la più semplice delle domande: “Perché?”
Un aspetto che distingue radicalmente il mio paese da tutti gli altri, per esempio, è la mancanza di un centro storico. No, non scherzo. Diverse scelte politiche edilizie hanno portato alla mancata preservazione del centro storico, il quale è andato pian piano scomparendo. Lì dove c’erano vecchie case ora ci sono abitazioni nuove. L’unico stabile storico, rimasto fuori da queste riforme è il Palazzo Ducale, tuttavia è in totale stato di abbandono.
Purtroppo, il Palazzo Ducale è un immobile di proprietà privata. Quindi è stato impossibile per le amministrazioni pubbliche poter partecipare a qualunque forma di sovvenzionamento per poterlo ristrutturare in quanto bene comune. Quando un individuo non si sente in ‘armonia’ con il contesto in cui vive, si identifica come un reietto dimenticato dalla società, si sente legittimato a disprezzarlo e questo porta inevitabilmente all’incuria, alla voglia di distruggere quell’oggetto che inconsciamente gli causa dolore, ma soprattutto alla mancanza di rispetto per il mondo in cui si vive e per gli altri.
Quella che vedete nella foto qui sopra è invece l’area giochi per i bambini sita nella zona 167 di Palagiano: il quartiere Bachelet. È solo una delle aree del paese, perché tutto il paese è così, poco rispettato. L’amministrazione per cercare di arginare il problema ha risposto con uno dei peggiori metodi che possano esistere per disincentivare gli atti vandalici e microcriminalità: le telecamere. Questa scelta politica non rispecchia altro che uno dei tipici strumenti di potere utilizzati per gestire gli spazi pubblici, come viene ampiamente spiegato in “Città e Potere” da Valentina Cremonesini.
Il punto è che l’uso di questi metodi semi-coercitivi non risolve assolutamente il problema. Lo sposta casomai, gli conferisce la possibilità di svilupparsi altrove senza dare una concreta alternativa sociale. A Palagiano, anche se ormai è diventato uno stereotipo che si tramanda di generazione in generazione, va tanto di moda prendersela con gli adolescenti poiché vengono automaticamente associati al degrado per ciò che fanno: sedersi sui gradini, sui marciapiedi, sulle poche panchine integre, a bere e a fumare magari canticchiando la canzoncina del momento.
In inverno si fa la stessa cosa, ma parcheggiati nelle auto. Se quello che il paese offre in termini di servizi per gli adolescenti sono bar, distributori automatici, pizzerie, panchine, tabacchini e droga, direi che non ci sono poi così tante alternative.
Caterina A. Nicolini
