Quando un rapporto finisce in tragedia: amore tossico e cultura patriarcale

L’omicidio di Giulia Cecchetin è, in ordine di tempo, l’ultimo femminicidio compiuto in Italia. Considerato che, in media, vengono uccise in Italia una donna ogni tre giorni, è altamente probabile, potremmo dire quasi certo, che quando leggerete questo articolo sarà la penultima o forse, purtroppo, ancora peggio.

Questo omicidio è nondimeno diverso da tutti gli altri. Ovviamente non per le modalità della morte. I maschi italiani, le cronache criminali lo testimoniano, prediligono modalità di uccisione cruente, triviali, potremmo dire animalesche: quasi sempre con coltelli, con le mani, con strumenti contundenti, raramente con armi da fuoco. Anche in questo dimostriamo di essere un Paese arretrato. Giulia è stata ammazzata con venti coltellate inferte con particolare violenza, accanimento e cattiveria.

Dati ufficiali relativi al fenomeno del femminicidio in Italia dal 2000 al 2020. Photo credit: L’Ego-Hub.

La particolarità, utilizzando un eufemismo, dell’omicidio è la presenza d’una testimonianza della vittima stessa di poco tempo prima la sua uccisione. Ad una amica Giulia disvelò, tramite un messaggio vocale lasciato nella segreteria del telefono d’una amica, i suoi sentimenti, il suo pensiero sull’assassino e sulla sua relazione. Ammettiamo che l’ascolto non è facile perché riguarda una persona ammazzata, per di più entrando nell’intimità d’una conversazione privata, destinata a restare ignota se non alle persone coinvolte nella conversazione.

Voci critiche si sono elevate sull’utilizzo o, meglio, sulla messa in onda di questa telefonata, addirittura arrivando ad accusare le radazioni che l’hanno finora trasmessa di fare informazione trash e/o similia. Potrebbe essere vero e corretto. Ciò nonostante, quelle parole, proprio connesse ad una relazione patologica dalla quale è germinata l’uccisione di una ragazza, è di decisiva importanza, trattandosi di una sorta di testimonianza postuma della vittima. L’altra persona coinvolta nella relazione ha invece già “parlato” mediante la condotta criminale, ovvero tramite il suo delitto.

La vicenda del femminicidio, la storia criminale comprova, è estremamente complessa, in quanto espressione d’una forma patologica del patriarcato che contraddistingue e caratterizza la società italiana, ma non solo. Purtroppo, riferendosi al mondo occidentale, non siamo l’unico Paese ove, con tale frequenza, le donne vengono uccise da uomini cui erano legate da relazioni affettive. Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, i femminicidi sono perpetrati da uomini con i quali, nel passato, le vettime erano legate da relazioni, talvolta sentimentali, talaltra più o meno occasionali.

Una certa psicoanalisi (per tutti, vedasi il recente studio di Laura Pigozzi, “Amori tossici”) e la pratica dei centri antiviolenza insegnano e testimoniano che i femminicidi siano la punta dell’iceberg d’una cultura maschilista appunto brutalmente patriarcale. Un patriarcato culturale dal quale quale emerge la matrice del maschilismo italico, come ha mostrato in forma quasi poetica e leggiadra l’ultimo, splendido film di Paola Cortellesi.

Fra le persone, uomini e donne, si instaura cioè un rapporto perverso, molesto, mortificante, umiliante, patologico nel quale tutti e due giocano un ruolo. Quando la donna si rende conto in quale girone dantesco sia precipitata, ne può uscire solo con con estrema difficoltà. Anche perché il sistema giuridico e sanzionatorio non offre soluzioni valide, efficaci, dirimenti e risolutive. Qualcuno recentemente ha asserito che Giulia non avrebbe riconosciuto che la violenza del suo fidanzato potesse cagionare anche la sua morte. Questo non pare verosimile, salvo a reputare che esistano uomini come quel famoso personaggio di Robert Luis Stevenson nel romanzo “Dr. Jekyll e Mr. Hide”. Un vecchio romanzo di fantascienza, per l’appunto.

Il punto è però che noi sappiamo sempre chi abbiamo di fronte, fin dal primo istante. Però spesso lasciamo correre perché tutte le relazioni, ancorchè tossiche, tendono a coniugare i rispettivi godimenti psicoanalitici, adoperando la terminologia del famoso psichiatra Jecques Lacan. Ognuno di noi è in effetti a conoscenza di relazioni nelle quali la coppia si basa e si struttura su, appunto, amori tossici che la società per molti versi tollera, accetta e non sanziona. Gli stessi mezzi di comunicazione di massa, ancora oggi, tendono a raffigurare e descrivere questi eventi criminali come fortuiti, espressione di amori o di sentimenti molto forti che paiono “costringere” il maschio appunto al delitto, all’omicidio.

Quante volte, ancora in questi giorni, abbiamo letto articoli e/o resoconti di femminicidi descritti come delitti passionali, come condotte germinate dall’incapacità emozionale di comprendere la portata dell’azione criminale. Il primo difensore dell’assassino di Giulia ha pubblicamente sostenuto che il reato non fosse “premeditato” in quanto l’uomo l’avrebbe amata e le avrebbe preparato, se non erro, dolciumi. Quindi un uomo innamorato che, in preda ad un raptus, avrebbe commesso un gesto inconsulto. Peccato (per i sagaci commentatori) che le dinamiche criminali al contrario raccontano ben altro.

Il saggio scientifico “Amori tossici” (2023) della piscoanalista Laura Pigozzi. Photo credit: Rizzoli Editore.

La reazione della società civile e della politica è altrettanto irrazionale, totalmente svincolata dal substrato emozionale e psicologico nel quale questi delitti maturano. Da una parte si tende, ogni volta, a prevedere forme di aggravamento della sanzione penale, come se questi uomini eviterebbero di commettere questi orrendi delitti solo perché spaventati dalla eventuale condanna. Soluzioni che comprovano l’incapacità, per certi versi volontaria, di comprendere il fenomeno. Le stesse forze politiche ancora, nella quotidianità del dibattito, si oppongono ad una profonda e radicale revisione dei programmi scolastici, introducendo l’educazione sessuale e sentimentale come materia di insegnamento.

Non è un caso, probabilmente, che queste forze politiche siano le stesse che prospettano, nella concreta formulazione del programma politico, visioni della società maschiliste, omofobe e reazionarie oramai superate persino dal messaggio culturale del mondo religioso cattolico, il quale incredibilmente esprime e propone soluzioni innovative (seppur non del tutto rivoluzionarie) rispetto il panorama desolante offerto dalle tesi di moltissime forze politiche.

D’altronde, negli strumenti di comunicazione, nei programmi televisivi, nelle pubblicità, le donne sono raffigurate come strumenti del piacere e dell’interesse maschile. Come sdoganato dal (non) compianto ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il messaggio della politica e dei media di mainstream diventa chiaro: la donna sarebbe, in sostanza, un qualcosa al servizio della società e dei desiderata maschili.

Dall’altra parte, si reputa che l’uomo sia non solo ovviamente l’autore del crimine, per fortuna, non sempre mortale, ma anche il principale artefice della vicenda e che la donna sia totalmente in balia delle volontà perverse e criminali del partner maschile. Onestamente pare troppo facile, ma sopratutto troppo semplice: sono proprio i grandi numeri che attestano che il fenomeno di cui stiamo parlando non ha solo a che vedere con le responsabilità giuridiche dei singoli. Si tratta di un fenomeno sociale, virale, e quindi culturale, che coinvolge tutt*.

Tornando al caso concreto, il dramma del femminicidio Giulia Cecchettin, come quell’audio comprova, manifesta ed esprime magnificamente l’attuale e reale società italiana, nella quale regna e predomina la solitudine, il conformismo reazionario, la paura del nuovo e del diverso, un maschile impaurito e quindi violento ed arrogante, un femminile diversamente impaurito da una collettività che offende quotidianamente la dissomiglianza, appunto, del femminile da chi nei fatti ambisce a controllarlo.

Giulia Cecchettin ed il suo assassino, l’ex findanzato Filippo Turetta. Photo credit: Corriere della Sera.

Giulia non ha trovato nel suo Paese esempi e stimoli per essere se stessa e per pensarsi probabilmente diversa dal modello e dai desiderata d’un certo predominante maschile. Da parte sua, l’assassino è anch’esso una vittima di se stesso e della propria paura di vedersi diverso da quel genere di maschio richiesto a gran voce dalla cultura patriarcale dominante.

Ben altro che un inasprimento delle pene sarebbe sufficiente e necessario per impedire il quotidiano ripetersi di questi eventi criminali. Solo che, allora, il Paese dovrebbe avere il coraggio di svecchiarsi, modificare i propri valori costituenti, fondativi, cancellando mille anni di arretratezza e di sottomissione al messaggio cristiano cattolico, che gli stessi vertici del Vaticano lentamente stanno cambiando ed aggiornando.

Riposa in pace, Giulia.

Lascia un commento