Parto da Roma per dipanare i nodi dell’ansia, per mettere mano al groviglio delle mie perenni preoccupazioni. Vado in Calabria, sono in cerca di una traccia, di un indizio, di un’illuminazione da cui ripartire e spesso mi capita di averla lì.
C’è stato un tempo in cui, per ragioni d’ispirazione artistica, mi sono recato di frequente a San Demetrio Corone. Partivo dal Tirreno cosentino, dalla Marina di Fuscaldo, per andarmi ad affacciare su di un costone dello Jonio della Calabria. San Marco Argentano era la tappa intermedia per arrivare ai miei amati mosaici della Chiesa di Sant’Adriano a San Demetrio Corone. Tagliavo per Mongrassano Scalo e via a salire attraversando l’altra arbëreshë Santa Sopia d’Epiro.
A San Marco ricordo una chiesa, cosa mi abbia colpito di questa chiesa rimarrà sempre un mistero. Ne ho ancora un’immagine piatta, come di una carta ritagliata, con le sue nicchie e le rotondità vagamente barocche. L’ho riprodotta innumerevoli volte ed emblematicamente diverse.
Tornerò a San Marco!
Di San Marco Argentano, centro urbano storico, evito qui di ripercorrere la complessa vicenda: le origini neolitiche, la città di Argentanum citata da Livio, lo sviluppo normanno giunto fino a noi. Vicende che meriterebbero altra attenzione ed attenti approfondimenti che non mi competono.
La mia San Marco è innanzitutto il paese-campagna in cui la mia famiglia si riforniva di ottimo olio di oliva per l’intero anno a venire.
Ma ora cerco altro, non saprei dire esattamente cosa. Provo a perdermi ancora una volta in questa campagna d’argento, di ulivi e di viti a perdita d’occhio.
Ripercorro la stessa strada, ancora come un detective di tracce artistiche. Rifletto che sono trascorsi impietosamente circa vent’anni e decido di fermarmi finalmente poco oltre San Marco.
In questo percorso dell’anima non è mai mancato uno sguardo veloce, mai distratto però, sull’Abbazia di Santa Maria della Matina, lungo la Strada statale 283 delle Terme Luigiane.
Questa volta mi riprometto di scattare delle foto dell’Abbazia, quella che Roberto il Guiscardo ha fondato nel sec. XI.
Sono fermo sul ciglio della strada, abbasso il finestrino per fotografare comodamente dalla mia auto in sosta, quando vengo intercettato da un gentile signore che m’invita a prendere il giusto tempo per visitare anche gli interni dell’Abbazia: “Sono il proprietario, Michele Valentoni, discendente del generale borbonico Luigi Valentoni, che per meriti di guerra ha ricevuto in dono nel 1815 i manufatti dell’antica Abbazia e poi ha provveduto a comprarne i terreni circostanti.”
Cominciamo a chiacchierare amabilmente di ricordi e di buoni propositi per il futuro. Scopro che La Matina è oggi anche un’azienda agricola con diverse produzioni biologiche di olio extravergine di oliva, frutta e cereali, nonché vini Magliocco DOP. Che tutta l’area risulta un distretto di produzioni biologiche o naturali, che poi è un innovare guardando alla genuinità del passato.
Si sta facendo sera e Michele mi permette di scattare ancora qualche foto all’interno dell’Abbazia, nella cantina e nel bellissimo hortus conclusus, prima che il buio cali su questo luogo di antica meditazione e di rinnovata operatività.
Ci ripromettiamo di incontrarci ancora per una più ampia intervista, magari a ridosso dell’estate, e per un più completo reportage fotografico sull’Abbazia.
Prima di riprendere la strada in direzione Tirreno, mi spingo qualche chilometro oltre su di un pendio dai nomi strani e fors’anche poetici: Serra d’Asino, Ghiandaro, Valle Vecchia, Cacce. Ma il buio incombe e l’estate è ancora lontana. Decido di rientrare a casa.
Dal sacro al profano il passo è breve; sulla strada provinciale 270, in aperta campagna, m’imbatto in una pasticceria che ha il nome di un grande generale francese. Potrebbe essere una Waterloo per i miei ripetuti tentativi di mettermi finalmente a dieta. Così prima decido per un banalissimo cappuccino serale, ma infine affondo i miei dispiaceri, nell’ordine, in: un maritozzo, un bignè al pistacchio, un topolino al cioccolato. È una disfatta! La dieta può attendere giorni migliori, o peggiori, dipende dai punti di vista.
Così sconfitto decido di ripiegare definitivamente verso il mare. Rivedo un’ultima volta la sagoma nera dell’Abbazia, le luci in alto di San Marco Argentano, poi solo quelle rare delle auto che incrocio verso Guardia.
Arrivo al mare che è ormai un nero indistinto con il cielo.
Note
Tutte le foto presenti nell’articolo sono originali di Massimo Maselli (2024).
In tempo di pubblicità occulta e di influencers, l’autore e la Redazione di Deep Hinterland ci tengono a precisare che le citazioni presenti nel testo non hanno alcuno scopo commerciale o promozionale, ma mere finalità divulgative artistico-culturali.
Cosentino di nascita, sopravvivo a Roma, estrema propaggine di Calabria. Artista visivo, da qualche anno in prestito alla fotografia, mi accorgo di continuare a dipingere anche quando scatto foto. La verità è che non capisco mai nelle cose che faccio dove inizia e finisce la pittura, dove la scenografia, la ceramica, la scultura, la fotografia. Capita pure di essere premiato, così è successo nel 2005, nell’ambito della III Biennale Internazionale della Magna Grecia di San Demetrio Corone (CS). Ho voluto che il dipinto presentato in quell’occasione, “Bastardo a Sud”, fosse l’immagine emblematica della mia rubrica su DEEP HINTERLAND: quale immagine migliore per i miei “percorsi artistici marginali”?