Menlo Park, California – 7 gennaio 2025. Una data che potrebbe segnare uno spartiacque nella storia di internet, o almeno così la dipinge Mark Zuckerberg, CEO di Meta, nel suo annuncio a effetto che ha scosso il mondo digitale. Libertà di espressione, questo il mantra ripetuto come un rosario, mentre il colosso dei social media svela una serie di cambiamenti radicali alle sue policy di moderazione dei contenuti, meno restrittivi, meno verificati, meno protezionisti. Tutto molto americano. Però.
Però queste modifiche, a un’analisi neanche particolarmente attenta, sembrano più una non sottilissima manovra per assecondare il vento politico che tira forte dagli Stati Uniti, dove il neo-eletto presidente Trump si prepara a tornare alla Casa Bianca forte di un risultato di sette milioni di voti superiore al precedente. E adesso andremo a vedere un po’ il perché.
Il primo colpo di scena, anche se quello che stupisce meno, è l’abolizione del programma di fact-checking a cura di terze parti sulle piattaforme meta attive negli Stati Uniti. Via gli esperti, addio alle verifiche indipendenti. Ora a decidere cosa è vero e cosa no sui social Meta saranno gli utenti stessi, attraverso un sistema di “Community Notes“ che ricorda da vicino quello già implementato da Elon Musk su X (ex Twitter).
Un sistema che, a detta di molti, rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio, amplificando la disinformazione, ma che anche nel migliore dei casi semplicemente non può funzionare, visto che le note sono “votate” dagli utenti iscritti al programma notes. In un panorama polarizzato letteralmente anche su qual è il colore del cielo come quello dei social, una maggioranza assoluta su di un qualunque argomento è praticamente impossibile da trovare, tant’è che i report in merito dichiarano che il 90% delle note su X non viene mai approvato, e quindi non viene visualizzato dagli utenti.
“È fantastico”, ha twittato un entusiasta Musk, che vede in Zuckerberg un nuovo alleato nella sua crociata contro la “censura” online. Censura brutta e cattiva tranne quando gli fa comodo ovviamente, come sta succedendo in questi giorni con le polemiche degli stessi suoi amici MAGA contro i visti di soggiorno lavorativo tech H1B, nel corso delle quali molti opinionisti si sono trovati de-verificati e shadowbannati su X per essere stati in disaccordo con lui. Oppure quando sospende gli account dei giornalisti come nel caso di Jaqueline Sweet di The Intercept.
Ma non è solo il fact-checking a finire nel mirino di Zuckerberg. Se Meta si fosse limitato a quello, avremmo potuto parlare di un pragmatismo grossolano utile a sopravvivere in uno scenario dove l’amministrazione eletta è sia storicamente violenta che da sempre ostile alla piattaforma, e dove è stato messo a capo della Federal Communications Commission Brendan Carr. Questi è un fedelissimo di Trump che vuole rivedere la section 230, ovvero quella legislazione USA che protegge i social media dalle responsabilità legali sui contenuti generati dai loro utenti e fornisce alle aziende che li gestiscono una discrezionalità ampia sulla moderazione (qualcosa mi dice che questa riforma non andrà avanti).
Per quanto riguarda Meta, invece, i cambiamenti arrivano anche nelle sue policy a riguardo de cosiddetto “linguaggio d’odio” da parte degli utenti, le quali subiranno un drastico restyling, con un allentamento delle restrizioni che ha fatto suonare più di un campanello d’allarme. Via il termine “hate speech”, troppo forte (seriamente), meglio “hateful conduct”, che suona quasi come un invito a un evento sociale (magari una fiaccolata) o più semplicemente come una indicazione che verranno attenzionati solo i comportamenti protratti nel tempo (quanto tempo? dipenderà da chi sta alla Casa Bianca probabilmente). E poi, chi l’ha detto che l’odio crea un ambiente di intimidazione?
Tempo fa la rivista Screen Rant fu costretta a rimuovere il nome dell’autrice da una recensione che dava un voto medio, non basso, al nuovo gioco preferito della manosfera redpill/incel perché questa si era ritrovata vittima di una campagna di doxxing social e le stavano arrivando minacce di morte (avete letto bene: minacce di morte per un voto non sufficientemente alto a un videogioco). E questo è solo il primo esempio recente che mi viene in mente sui risultati nefasti dell’hate speech online andando a memoria. Non voglio tornare indietro di dieci anni e parlare di Gamergate.
Sicuramente non c’è nessuna criticità sull’hate speech. D’altra parte, il problema è sicuramente solo quello di avere una generazione che si offende o spaventa troppo facilmente. La prima volta che ho sentito ‘sta stronzata era il ‘95. La lessi in un libro di Robert Huges, il quale stava parlando dei post adolescenti di allora; per capirci, quelli che ora sono cinquantenni e passano le giornate a lamentarsi (proprio sui social) della troppa sensitivity dei genZ. Fatevi due conti.
Zuck, evidentemente però, la pensa così: il linguaggio non può fare tutti questi danni. D’ora in poi quindi sarà possibile riferirsi alle donne sulle piattaforme Meta come “oggetti domestici o proprietà” (casualmente dopo tutto il casino del “Your body, my choice” di Nick Fuentes) e accusare le persone LGBTQ+ di essere malate mentali. Libertà di espressione all’americana, armi in mano, che sia l’open carry in stile texano (non lo nomino a caso) o il cyberbullismo. Però qualcosa mi dice che i contenuti pro Palestina continueranno ad essere segati dall’algoritmo.
Le nuove policy di Meta non risparmiano naturalmente neanche i sistemi automatici di moderazione, che ora si concentreranno solo su violazioni gravi come terrorismo, sfruttamento minorile e droga. Invece bullismo, disinformazione medica, incitamento all’odio, libri bruciati, diffamazione, campagne di doxxing e aggressioni verbali coordinate su larga scala? Cose futili, evidentemente, snowflakes che non siete altro. Meglio quindi lasciare che gli utenti se la vedano tra loro, in un Far West digitale dove vince il più forte. O chi urla di più, o chi ha più amici con molto tempo libero cronicamente online, incidentalmente [insert irony here] demografiche che si incrociano spesso con quelle redpill/complottiste/maga che sono tra i principali componenti di gruppi di odio e disinformazione online persino dall’epoca pre boom social (4chan anyone?).
Ora non prendiamoci in giro: la moderazione è il fack checking sule piattaforme Meta erano già de facto assenti da tempo, con una proliferazione di gruppi d’odio e disinformazione che negli ultimi due anni era stata esponenzialei insieme, ovviamente, a una completa inutilità del sistema di segnalazioni è alla pressoché assenza di moderazione. Ma una cosa è un sistema che funziona male, un’altra è questa dichiarazione di intenti esplicita, così squisitamente politica anche nella forma, che questo sistema lo rimuove completamente.
Le reazioni, naturalmente e per fortuna, non si sono fatte attendere. Organizzazioni per i diritti civili come GLAAD hanno espresso forte preoccupazione, denunciando un passo indietro nella lotta alla discriminazione e alla disinformazione. Esperti di social media come John Wihbey della Northeastern University mettono in guardia sui rischi di un’eccessiva deregulation, che potrebbe avere effetti devastanti sulla qualità del dibattito pubblico e sulla sicurezza degli utenti. Questo solo per citarne alcune, ma di reazioni alle parole di Zuck ne arriveranno molte altre, con il quotidiano online ritannico The Guardian che sta già fornendo un’ottima copertura sulle problematiche di tutta la faccenda.
Zuckerberg però sembra andare dritto per la sua strada, incurante delle critiche. “È tempo di tornare alle origini”, ha dichiarato, citando un fantomatico “punto di svolta culturale” legato alle recenti elezioni. Fun fact: le origini di Facebook sono quelle di una piattaforma creata per votare quanto fossero attraenti le sue compagne dell’Ivy League dopo che s’era preso un due di picche al pub (la prima versione, Facemash, venne chiusa da Harvard per sospetti di bullismo), non so se lui si renda conto di quanto questo sia poeticamente organico al grande attuale nodo di svolta negli USA.
Svolta corrispondente, appunto, all’ascesa al potere di un presidente che ha fatto di disinformazione, bullismo, sessismo ed incitamento all’odio le sua armi vincenti. Mentre il mondo osserva con un misto di incredulità e preoccupazione, una domanda sorgeva spontanea: quel che resta del Metaverso di Zuckerberg sarà davvero un luogo di libertà e di espressione o si trasformerà in una giungla digitale dove regnano solo l’odio e la disinformazione? Lol. Scusate. Questa era una domanda del cazzo, visto che la risposta la conosciamo già.
Se, come ho già fatto notare, si fosse trattato di un semplice allineamento “pratico” o “di sopravvivenza” sul mercato – anche comprensibile per un’azienda che negli ultimi anni ha sbagliato tutto (il fallimento del Metaverso e della realtà aumentata, il peggior LLM in circolazione, l’incapacità di aggregare i loro messenger, ecc)- sarebbe stata sufficiente l’eliminazione del programma di fact checking sgradito alle destre e rimuovere Nick Clegg dalla board, l’uomo che fu tra i responsabili del ban di Trump da Meta, sostituendolo (come è accaduto) con il repubblicano Joe Kaplan, già trait d’union tra Meta e Maga in tempi non sospetti. Ma si è fatto di più: l’inserimento nel CdA di personaggi ultra-conservatori come Dana White (presidente UFC e finanziatore di Trump di lunga data) e la rivisitazione drastica delle policy di condotta sul linguaggio è un manifesto politico vero e proprio. Uno da cui difficilmente si torna indietro.
Inoltre come nota finale tutto questo corrisponde alla rimozione dei limiti algoritmici generali per i contenuti politici, finora penalizzati nei feed. Mi pare un pattern fin troppo chiaro, corroborato dal trasferimento del team di moderazione dalla wokissima (dicono i trumpiani) California al Texas, luogo in cui hanno spostato le operazioni tutti gli opinion leader e imprenditori di destra USA (da Musk a Joe Rogan).
Ciliegina sulla torta? Nel suo post su Threads in cui annunciava il cambio di rotta Zuck ha parlato di “virtue signaling” per chi abbandona le sue piattaforme di reazione alle nuove regole. E nella recentissima intervista a Joe Rogan ha detto che a molte aziende USA manca “energia mascolina“. Vocabolario reazionario. Puro e semplice.
Meta sta, volutamente o meno, dirigendosi a diventare non come X, che è percepito come il feudo personalista di quello squinternato di Elon Musk, quanto come il russo VK, da anni rifugio delle più impresentabili tra le destre estreme e strumento di propaganda del regime putiniano, a sua volta venduto come rifugio della libertà di parola in Occidente (qualche anno fa, durante il nostro salvinismo più nero, ci finiva tutta la gente che qui credeva alla sostituzione etnica e alle altre fesserie su invasioni, taxi del mare e speronamenti di ONG).
E chi sta creando una normalizzazione pseudo-razionalista di tutto questo, usando espressioni come “pragmatismo” o affini, è perlopiù sempre qualche comico che non fa ridere, gente che usa la parola woke senza conoscerne il significato, una penna del Foglio o qualche sedicente analista/esperto del webbe che sogna di guidare un cybertruck. Tutta gente a cui, fidatevi, non vorreste dare le spalle (oddio ho elencato categorie sovrapponibili?). I veri quesiti da porsi a mio parere (quindi giusti) sono quali saranno le reazioni a quello che sta succedendo, dall’alto e dal basso.
Cosa farà l’Europa, ad esempio. Visto che i social devono adeguare le normative alle legislature locali e qui da noi i cittadini sono molto più tutelati dalle forme di abuso digitale rispetto agli USA (non è un caso se Zuck nel suo video per il nuovo corso abbia accusato la UE di limitare la libertà di parola).
Quali saranno le azioni/reazioni legali: già Meta in passato ha dovuto sostenere cause e querele per non aver limitato i gruppi di odio organizzato.
Come si comporteranno gli inserzionisti, che storicamente non amano le piazze troppo tossiche (non per questioni etiche, ma per brand safety e perché tendenzialmente un pubblico ostile compra meno) e lo hanno dimostrato con la fuga da X che ha fatto incazzare quel frignone di Musk (ma l’ex Twitter ha un decimo degli utenti di Meta, quindi è un canale che non viene considerato rilevante per l’adv).
Oppure: i complottisti smetteranno di dire che Zuck è un rettiliano ora che gli ha cucito due piattaforme e mezza addosso (Threads non lo si può prendere ancora del tutto sul serio)? Ma soprattutto cosa faranno gli utenti appartenenti alle fasce più penalizzate dalle nuove politiche? Si organizzeranno e utilizzeranno la barricata della non-moderazione per reagire in maniera sufficientemente borderline all’inevitabile aggressione in arrivo? Creeranno pagine di disinformazione satirica AI based in cui Zuckerberg fa informazione filo palestinese? (non è veramente una domanda, ve lo sto suggerendo, sveglioni: fatelo voi sennò lo faccio io).
O si limiteranno a migrare su Bluesky? E in ultima battuta Bluesky saprà cogliere l’occasione per diventare il rifugio sicuro di chi ha terminato la scuola media senza troppe difficoltà, e quindi assurgere finalmente a un ruolo rilevante nel panorama delle app sociali?
No friggin’ idea, baby. Ma saranno tempi interessanti. Buonanotte e buona fortuna.
Consulente di comunicazione, social media, SEO ed e-commerce. Grafico, web designer, impaginatore, copertinista e addentrato quanto basta in tutto ciò che riguarda l’Internet. Appassionato di narrativa, arti visive e cinema di menare. Nerd. Gamer.
Vivo e lavoro come freelancer in provincia di Taranto, il mio profilo professionale è su www.absolutezero.it