Nelle ultime ore si sta discutendo molto della manovra fiscale promossa dal governo Draghi che, a detta del Consiglio Europeo, sarebbe in ritardo con la consegna del bilancio. Nella marmaglia delle dicerie in proposito, la più stramba che mi è capitato di sentire è stata quella di un tizio che sosteneva: “Vogliono mettere una nuova tassa sui tamponi! Siamo alla dittatura sanitaria!” All’inizio non ho dato molto peso a quelle parole. Era probabilmente la solita fake news. Roba da sorriderci su, malcelando magari un pizzico di rammarico. Quando però poi ho capito a cosa quell’affermazione si riferisse per davvero, il mio sorriso si è subito trasformato in una risata sonora.
Come ormai sappiamo, il Green Pass (oppure, per l’appunto, un “tampone” negativo al Covid-19) è diventato obbligatorio per tutti i lavoratori dipendenti (ma non per i loro datori di lavoro) a partire dallo scorso 15 Ottobre. A torto o a ragione, ciò ha scatenato proteste, nonchè situazioni sovversive e ad altissima tensione come l’assalto alla sede della CGIL. Cose davvero brutte, che il governo si sarebbe pure potuto evitare se solo si fosse preso il coraggio delle proprie responsabilità sociali imponendo l’obbligo vaccinale per tutti. Se si dà la facoltà di scegliere tra vaccinarsi o meno, infatti, mi sembra inevitabile che chi sceglie la seconda opzione possa pretendere di essere messo nelle condizioni di poterlo fare davvero, richiedendo la gratuità del tampone.
In tutto questo frastuono di informazioni, fatti brutti e tensioni sociali, c’è però sempre la manovra fiscale di cui parlavo prima e che sta prendendo fortemente piede sia nei piani del governo che nell’agenda dei media. Ormai l’associazione mentale Draghi–Green Pass–Tamponi-Covid Test è così consolidata nella testa di tutti noi, che non si riesce più a comprendere bene nemmeno le notizie. Perché è vero che nella proposta di bilancio si parla di una tassa sui tamponi, ma non su quelli che servono a capire se uno si è preso il Covid.
Sto ovviamente parlando della tassa sugli assorbenti mestruali, che in inglese prende il nome di “tampon tax.” Un caro vecchio false friends, insomma, che ha permesso in tre microsecondi di dare vita ad una meravigliosa fake-news da bar. Ad illuminarmi sulla questione è stato “Il Post”, il quale è stato fra i primi a rilanciare la notizia della riduzione della tassa sui tamponi assorbenti proposta dal Movimento 5 Stelle.
Come mostra il grafico qui sopra, l’Italia è al quinto posto per quanto riguarda la percentuale di impatto dell’IVA sul costo complessivo degli assorbenti mestruali. In altre parole, avere le mestruazioni in Italia costa molto più che in altri ventidue paesi dell’Unione Europea. Sarà meglio ricordarselo in quei giorni, quantomeno per chi ama viaggiare. Visto che al momento l’aliquota IVA sui tamponi in Italia è al 22%, per farla breve, il M5S ha recentemente proposto di abbassarla al 10%. Sembrerebbe un bel passo avanti per l’Italia, anche se si tratta di un passo ancora breve e sicuramente tardivo.
Come spiega il già citato articolo de “Il Post”, infatti, già nel 2019 un emendamento di bilancio della Boldrini parlava di abbassare l’IVA sui tamponi vaginali al 10%. L’allora Presidente della Commissione di Bilancio ritenne che non valeva la spesa per l’impresa: le casse dello Stato avrebbero subito una forte perdita economica. Dopo essere stato bocciato, però, l’emendamento proposto dalla Boldrini fu in parte reintegrato, determinando una riduzione della tampon tax italiana del 5%, ma solo sugli assorbenti biodegradabili e lavabili. Ecco perché oggi un pacco di assorbenti comuni non costa mai meno di tre euro.
Evidentemente, qualcuno ha ritenuto che il vero problema del bilancio pubblico italiano non sia tanto l’evasione fiscale, quanto preservare il diritto dello Stato a lucrare sulle mestruazioni della gente.
Abbassare l’IVA del 10% è sicuramente un’ottima mossa, ma non è ancora abbastanza. In Italia gli assorbenti vengono classificati come beni di lusso invece che come beni di prima necessità. Quale donna non ha mai desiderato il lusso di soffrire fisicamente, e magari anche psicologicamente, ogni 28 giorni? Roba da ricchi quindi? Non credo proprio. A questo punto, c’è solo da sperare che il Consiglio Europeo accetti la nostra proposta di bilancio.
Tarantina per nascita, sociologa per scelta, classe 1992. Attiva da anni nell’ambito associazionistico e nel settore accademico, ho da sempre un occhio di riguardo per la mia sopravvivenza materiale. Ho lavorato in campagna e nei ristoranti, ed ho fatto l’educatrice in bicicletta. Tutto ciò solo per raggiungere il mio scopo primordiale: vivere di comunicazione. Mi piacciono i social, che studio e pratico. Nutro anche una (in)sana passione per la fotografia ed il disegno, che cerco testardamente di ibridare al mio lavoro ogni volta che posso. Quando ero piccola, mi sono costruita la casa di Hamtaro da sola con una scatola da scarpe. Ma poi mia madre me l’ha buttata via.